Le moderne operazioni di polizia internazionale, o le guerre se vogliamo uscire dall'eufemismo, si combattono da remoto.
Seduti in diverse stanze sono i protagonisti del film, a cominciare dalla colonnello inglese Katherine Powell (Helen Mirren) la cui giornata prevede di occuparsi di una missione di arresto di pericolosi terroristi latitanti a Nairobi.
Ad aiutarla gli APR (aeromobili a pilotaggio remoto) statunitensi, comunemente noti come droni, comandati in remoto dal deserto del Nevada dal capitano Steve Watts (Aaron Paul).
A sovraintendere alla missione una sorta di commissione di controllo, parte politica e parte militare, avente per ufficiale di collegamento l'annoiato e un po' distratto generale Benson (Alan Rickman). Le iniziali regole d'ingaggio sono chiare, l'Occhio nel Cielo echeggiato dal titolo originale del film, ossia il drone, dovrà solo osservare e dare il via libera a una squadra che al momento opportuno catturerà i proprio obiettivi.
Ma l'imprevisto è sempre in agguato e il cambiamento delle regole d'ingaggio darà vita a un lungo rimpallo di responsabilità tra militari e politici situati agli angoli estremi del mondo. Quando a complicare la situazione ci si mette la sfortunata presenza sulla linea di fuoco di una bambina, tutti si rivelano incapaci di prendere una decisione difficile, tutti a domandarsi se ci siano le coperture legali, prima che etiche, per autorizzare qualcuno a premere il fatidico grilletto.
Il diritto di uccidere, in originale Eye in the sky, è un film che cerca di sollevare uno spinoso tema. Ampia l'orizzonte di Good Kill di Andrew Niccol, che approfondiva sui piloti dei droni, per mostrarci anche le cosiddette "stanze dei bottoni". E ci mostra che, se gli esecutori sono pieni di dubbi, non tutti nella linea di comando sanno bene quello che fanno.
Come nel film precedente, racconta di uno scenario che solo qualche anno fa sarebbe stato affidato alla fantascienza, ma che l'avanzare della tecnologia ha reso realtà in tempi brevissimi.
E forse è proprio di questa impreparazione a un futuro che è diventato oggi che parla il film di Gavin Hood. Una impreparazione palese a tutti i livelli.
I militari da parte loro non sembrano avere dubbi, per la maggior parte almeno, mentre è il fronte politico, sempre attento all'impatto mediatico, a essere quello più ambiguo e titubante nell'assumere delle responsabilità.
Il film, da un punto di vista del racconto, è ben diretto e la storia ha dei buoni momenti di tensione. Qualche momento di retorica, specialmente nella sequenza che apre i titoli di coda del film, era evitabile. Complessivamente è un film solido, ben recitato e ben messo in scena, che ha il pregio di fare riflettere su temi complessi e di non facile risposta.
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