Ci sono favole moderne e favole antiche, e poi ci sono le favole di casa Disney. Colorate, dolci, senza tempo, adatte a tutta la famiglia, con uno schema preciso, rodato, riconoscibile che a ogni nuovo viaggio portano lo spettatore in un mondo fantastico, dove si può tornare bambini e sognare per un paio di ore.
Il drago invisibile non fa eccezione. Siamo al fianco di Pete, un bimbo di 5 anni, alla volta di una vacanza con mamma e papà, quando accade la tragedia. E siamo sempre lì quando spaesato il piccolo si guarda in giro, cerca aiuto e… in suo soccorso compare un drago verde! Lo chiamerà Elliot e con lui stabilirà una sintonia che segnerà entrambi per sempre. L’idillio un giorno verrà incrinato per mano dell’uomo. Quell’uomo cresciuto, teoricamente con esperienza e saggezza, nei fatti ottuso e disattento, che in nome del dio-denaro distrugge, rispetta poco e spesso non osserva. Il lieto fine arriverà, prima però molto dovrà succedere.
Lo dicevamo in apertura, Il drago invisibile è una vera storia firmata Disney pertanto farà alternativamente trattenere il fiato e sciogliere il cuore a grandi e piccini. Perché il migliore amico di Pete è solo potenzialmente pericoloso: i suoi comportamenti saranno talmente teneri da provocarci sospiri, moine e commenti a scena aperta. Il nostro tifo sarà solo per lui e per quei pochi umani così sensibili e buoni da schierarsi coi giusti, guarda caso numericamente inferiori e più deboli.
Il film scritto da Toby Halbrooks e David Lowery (che ne ha curato anche la regia) è un racconto che tocca i temi dell’amicizia, della famiglia e della crescita (soprattutto interiore). Assistiamo, infatti, alla nascita di una convivenza atipica che sarà scardinata dall’arrivo di personaggi le cui azioni metteranno in risalto la solidità del legame tra Elliot e Pete, e la maturità di quest’ultimo nel momento – obbligato – dell’emancipazione. È il trionfo dei sentimenti, degli istinti e dell’amore che sia genitoriale, fraterno o amicale.
L’opera è il remake dell’omonima pellicola del 1977, basata sul racconto breve scritto da S. S. Field e Seton I. Miller, ed è caratterizzata da una narrazione veloce, tipica delle avventure epiche, slegate da un luogo e un periodo preciso. Il suo cast sembra nato per vestire quei panni. Robert Redford, qui un anziano che affascina i bimbi del paese con leggende di draghi, ci ricorda nostro nonno quando ci regalava aneddoti di un passato remoto riuscendo a conferire loro un’aura magica, quasi surreale. E il piccolo Oakes Fegley è così convincente da indurci a credere che sia cresciuto come Pete. Un fragoroso applauso se lo merita inoltre chi ha scelto di non dare voce a Eliot ma gli ha donato un manto lucido e morbido. I suoi toni fluo ci rammentano quanto sia irreale, mentre espressioni e gesti ci fanno provare immensa tenerezza. Vorremmo tutti avere condiviso l’infanzia con un drago verde. Sappiamo – ahinoi – non sia accaduto.
Il drago invisibile ci commuove e lascia una sensazione di leggerezza, fa riemergere il fanciullo che abbiamo sepolto nel profondo e ci rammenta che non si deve mai smettere di sognare.
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