Dopo aver visto Trafficanti diretto da Todd Phillips, anzi già mentre lo vedevo, mi sono balzate in mente le parole di Luigi Pirandello, nella sua introduzione al Fu Mattia Pascal.
La considerazione di Pirandello è che la vita, in quanto vera per definizione, non ha bisogno di essere verosimile, mentre l'Arte ha necessità d'essere verosimile per sembrare vera.
Quindi accusare un prodotto artistico di essere assurdo e inverosimile in "nome della vita" è definito dall'autore siciliano "balordaggine". E conclude In nome dell'arte, sì; in nome della vita, no.
Ispirato all'omonimo libro inchiesta del giornalista Guy Lawson, il film è la storia di come due sprovveduti non solo si siano improvvisati mercanti d'armi, fornitori del governo USA (amministrazione George W. Bush jr. e Dick Cheney) in Iraq e Afghanistan, ma di come la loro cialtroneria sia stata permessa da un sistema di assegnazione degli appalti ancora più cialtrone e raffazzonato.Perché se è vero che i poco più che ventenni Efraim Diveroli (Jonah Hill, The Wolf of Wall Street) e David Packouz (Miles Teller, Divergent) sono riusciti a intrufolarsi con una società inesistente nella ricca torta delle commesse militari, è stato anche perché il sistema lo ha consentito.
Infatti dai fin troppo margini di discrezionalità, durante l’amministrazione Bush, enormi contratti senza gara ad aziende di "amici degli amici", il sistema venne aperto virtualmente a chiunque, mediante aste pubbliche in rete, sul sito FedBizOpps.
Come sempre il diavolo sta nei dettagli. Efraim, resosi conto che per piccoli appalti, briciole nella ricca torta, i controlli sono ridotti al minimo se non inesistenti, decide di entrare nel business, perché anche percentuali a una cifra o meno di un mercato di miliardi di dollari sono cifre che possono fare la differenza.
Quando David incontra a un funerale il suo vecchio compagno di scuola, è praticamente in bolletta. Sposato, con un figlio in arrivo, fa ciò che può con il suo lavoro di massaggiatore, cercando di diventare venditore di corredi da notte alle case di riposo per anziani.
Viene quindi attratto dalla proposta di aiutare Efraim nel suo giro di affari e, gradualmente, diventa anche bravo, pur nascondendo alla giovane moglie Iz (Ana de Armas) la vera natura del suo lavoro.
Vi ricordate Finché c'è guerra c'è speranza del 1974, di e con Alberto Sordi? Immaginatevi l'equivalente odierno della stessa cialtroneria, dello stesso approccio cinico ai problemi che si presentano ai due quando, gradualmente, il loro commercio si spinge dalla piena legalità sempre più in territori grigi e ambigui.
L'appetito vien mangiando, ma prima o poi si corre il rischio di cercare di ingoiare un boccone troppo grosso. Il boccone sarà "l'affare Afgano", una commessa così grande che persino grosse aziende del settore non riescono ad aggiudicarsela. Invece Efraim e David faranno di tutto per ottenerla, alleandosi con uno dei trafficanti più influenti del giro, Henry Girard (Bradley Cooper, anche produttore del film insieme a Philips), dichiarando tutto il falso possibile, entrando in qualcosa più grande di loro.
Come andrà a finire non è difficile prevederlo. Se c'è una morale nel film non è tanto quella scontata che non bisogna mai fare il passo più lungo della propria gamba, ma che le pieghe che può assumere la realtà sono parossisticamente superiori a ogni immaginazione.
La sceneggiatura che non perde un colpo riesce quindi a farci sospendere l'incredulità davanti alle assurdità dette e fatte non solo dai due protagonisti, ma anche da altri personaggi, complici o vittime dei loro imbrogli.
Il consolatorio finale del film appare invece posticcio rispetto a una storia che, alla fine, e lo si può leggere dal libro, ha visto nei due reali protagonisti i capri espiatori, le colpevoli vittime sacrificali assurte a simbolo dell'incompetenza del sistema che ha portato alle guerre in Afghanistan e Iraq, emblemi della loro insensatezza. Il libro ci rivela che il sistema poi è ancora in piedi, pertanto forse si è voluto dare un mezzo lieto fine a una vicenda che lieto fine non ha.
Una nota stonata in un film approcciato più o meno con lo stesso stile sboccato di Una notte da leoni, con dinamiche tra i personaggi del tutto simili, con "la banda" al centro delle relazioni. Questa volta invece al servizio di una narrazione che diventa satira politica e di costume, strizzando l'occhio sia a Wolf of Wall Street di Martin Scorsese che a Le Belve di Oliver Stone. Philips non ha i mezzi di questi due mostri sacri, ma come un nano sulle spalle dei giganti ci prova, portando comunque a casa un film che intrattiene con degli interessanti spunti di riflessione.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID