Esistono luoghi contigui a quelli in cui viviamo ogni giorno, ma praticamente sconosciuti? Questo è in un certo senso Slade Alley, il vicolo nel quale, periodicamente, ci si accorge dell'esistenze di Slade House. Un pezzo di Inghilterra vittoriana nel bel mezzo di Londra. Pur se avulsa dal nostro spazio tempo, a Slade House capitano dei visitatori, dei personaggi con il loro bagaglio di problemi che sembrano sparire dal piano stesso dell'esistenza dopo essere entrati in contatto con gli occupanti della casa.
Le storie raccontate I custodi di Slade House di David Mitchell seguono dal punto di vista di questi visitatori l'esito del loro incontro con Slade House, fino al punto in cui se ne distaccano.
Emerge nel racconto, pian piano, la consapevolezza di essere portati dallo scrittore un passo avanti rispetto ai personaggi. E questa conoscenza emerge con forza, spinge il lettore sempre più avanti nella lettura, nella speranza che i personaggi lo raggiungano, scampando a un destino all'inizio ignoto, che scopriremo andando avanti.
Mitchell è così bravo nel tracciare il retroscena e le motivazioni dei suoi personaggi che non riusciamo a non appassionarci al loro destino.
C'è molta differenza da quanto avveniva nel racconto gotico, matrice primigenia di questo romanzo, nel quale il narratore ci metteva davanti a personaggi increduli, con quasi nessuna storia alle spalle, e a "orrori innominabili".
Qui non solo le vittime hanno una storia, ma anche il Male ha un nome, degli scopi da raggiungere. Siamo davanti a un male che ricorre a sotterfugi e costrutti pur di raggirare persone che le difese le hanno, non solo perché uomini e donne moderni, ma perché hanno qualcosa in più, delle caratteristiche tutte da scoprire che le rendono le uniche potenziali vittime del male di Slade House.
Mitchell gioca con gli stilemi della casa posseduta, dei multiversi, delle differenza di percezione della realtà, di bolle spazio-temporali, non creando un mondo secondario, ma una diversa versione del nostro mondo. Un mondo che ci basterebbe scoprire se dessimo retta alla nostra vista periferica e ai nostri istinti.
La trama della storia, se all'inizio sembra confusa, man mano che tutti gli elementi si assemblano ci pone davanti a una cosmogonia complessa, una mitologia che nulla ha da invidiare a quella di H.P. Lovecraft.
La differenza, nello stile di Mitchell è il gioco dell'apertura delle parentesi, dei piccoli indizi disseminati in frasi, passaggi che all'inizio sembravano del tutto ininfluenti. Parentesi la cui chiusura non mai nel momento che sembra più ovvio.
Invece alla fine tutto torna, e la composizione delle tessere del mosaico compongono un quadro generale travolgente. Tanto da fare venire voglia praticamente all'istante di rileggere l'intero romanzo per cogliere fonti, riferimenti e citazioni, per scoprire quanto brillante sia stato il gioco dell'autore.
Un romanzo da leggere e da rileggere.
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