Anche Luke Cage, serie che introduce il terzo personaggio che sarà parte della serie The Defenders, è un lungo film in tredici puntate.
Come nelle altre serie prodotte congiuntamente da Marvel e Netflix, lo scenario è urbano e il protagonista ha come scopo quello di proteggere se stesso e il suo quartiere più che quello di salvare il mondo.
Luke Cage (Mike Colter) sbarca il lunario come può. Dopo gli eventi di Jessica Jones ha lasciato il quartiere di Hell's Kitchen per Harlem, dove si mantiene malamente con due lavori: di giorno garzone di barbiere da Pop (Frankie Faison), una vera e propria istituzione del quartiere, di notte lavapiatti all'Harlem Paradise, locale gestito dal ganster Cornell Stokes, detto anche Cottonmouth (Mahershala Ali).
Se non avete seguito Jessica Jones non temete, non c'è molto da sapere, ci viene quasi subito detto e mostrato che Luke ha la pelle a prova di proiettile ed ha un forza sovrumana. Lui però vorrebbe restare solo fuori dai guai, mantenendo un basso profilo, poiché ha i suoi segreti, collegati in parte al motivo per cui ha i suoi poteri, ma anche più remoti.
Se a Luke l'intento riuscisse non ci sarebbe narrazione. Da grandi poteri non derivano sono grandi responsabilità, ma anche grandi guai, che correranno incontro a Luke come un treno che ha le belle forme di Mercedes Knight, detta Misty (Simone Missick), detective della polizia di New York che sta cercando di incastrare Cottonmouth, cercando di scoprire, insieme al suo collega Scarfe (Frank Whaley) le prove della rete di traffici che il boss gestisce anche con la complicità della cugina, la consigliera comunale Mariah Dillard (Alfre Woodward).
Luke verrà quindi trascinato suo malgrado in uno scontro con Cottonmouth e i suoi scagnozzi, tra i quali spicca Hernan Alvarez detto Shades (Theo Rossi), il quale però in realtà sin da subito chiarisce che lui risponde direttamente all'uomo nell'ombra, il misterioso Diamondback.
Più o meno da solo, sicuramente non aiutato dalla polizia, che lo insegue come criminale, Luke cercherà di risolvere la situazione, contando sull'aiuto di Claire Temple (Rosario Dawson), già presente nelle altre serie Netflix, e il cui ruolo qui cresce in importanza nella storia.
Dico cercherà perché in realtà non sembra che Luke possa fare molto, nonostante i suoi poteri.
La sfida continua di un uomo solo contro tutto e tutti potrebbe essere il tema centrale della serie. Ma quello che non quadra è che da un lato i suoi nemici non sembrano poi essere delle aquile o godere di chissà quale potenza, il che porta dall'altro lato a non capire come tutto non si chiuda in poche battute.
Stirata e mandata avanti la storia a forza di strappi logici, si arriva al momento in cui la vera minaccia entra in scena senza particolari patemi, e senza dubitare per un instante che il cattivo non abbia alcuna speranza.
Ma se il cattivo mangia la polvere, i tredici episodi alla fine si riducono a un grande dilatato episodio pilota, perché tanti dei presupposti del primo episodio rimangono, con uno scostamento minimo rispetto alle condizioni di partenza.
Certo, qualcuno muore, qualche posto salta in aria, e sappiamo di più delle origini segrete di Luke, ma è ben poco. In film di due ore si è raccontato molto di più.
Non è il ritmo dilatato, non schiavo dei tempi pubblicitari per esempio, gestito in grande libertà, il problema. È la scarsità di contenuti dell'approccio dello showrunner Cheo Hodari Coker, il vero problema.
La serie ha una confezione elegante. Omaggia e aggiorna visivamente la blaxploitation degli anni '70, dandone una versione con un mood anche sonoro sicuramente al passo con i tempi. Strizza l'occhio ai fan il modo in cui cerca di risolvere il rapporto con l'estetica pacchiana del Luke Cage delle origini, e con scelte cromatiche che richiamano spesso il giallo e nero del costume originale, ma sotto la confezione non aggiorna i contenuti.
Se musiche e fotografia sono il punto di forza della serie, non solo la sceneggiatura non esce dallo stereotipo, ma anche tanti espedienti narrativi risultano ingenui e forzati.
La serie a fumetti ideata nel 1972 da Archie Goodwin e Roy Thomas (testi) e da John Romita Sr. e George Tuska (disegni), fu la prima pubblicazione della Marvel dedicata a un personaggio afroamericano ma ovviamente narrava la sua epoca. Pur con qualche stereotipo era comunque molto attenta al proprio tempo.
La serie Marvel/Netflix è praticamente la trasposizione dei contenuti di quella serie, con l'aspetto esteriore di un prodotto del 2016. Ma molto è cambiato, non tutto in meglio, e narrare di afroamericani oggi non può essere fatto con il linguaggio di ieri. Possiamo accettare l'idea che il Marvel Cinematic Universe sia un posto che, per certi versi è il nostro mondo, ma per altri è quello degli anni '70?
Forse tutto nasce dall'ibridazione di concetti e personaggi nati tra gli anni '60 e i '70, calati quasi di peso nel mondo attuale. Ma se con il mondo Avengers e le altre serie Netflix il contrasto non appariva così evidente, generando quasi una piacevole ucronia, con Luke Cage il meccanismo s'inceppa. Se l'ambizione delle serie Netflix è quella di raccontare il versante realistico del Marvel Cinematic Universe, questa manca di molto l'obiettivo. C'erano grandi potenzialità nel narrare dei problemi degli Stati Uniti di oggi, alla luce di quanto raccontato dalla cronaca, ma sono state disperse.
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