I Nemor sono giganteschi cavalli azzurri, vanto della comunità rurale dei Feilgrim. Nascono solo ne pressi del villaggio di Berengar, e solo ai bambini maschi di dieci anni prescelti dagli stessi Nemor è concesso di instaurare un legame con loro e di allevarli. Solweg Ammund, sfidando ogni tradizione, si traveste da maschio e partecipa alla scelta, stringendo un istintivo ma fortissimo legame con una giovane puledra di nome Tara. Le inflessibili regole della comunità, però, si frappongono immediatamente fra le due, che non dovranno più vedersi. Solweg dovrà essere punita e la scelta per Tara sarà rimandata di un anno.
Dal forte contrasto fra la voglia di libertà e di seguire i propri sogni da un lato, e la rigidità di una comunità stagnante chiusa in un perbenismo che cancella ogni possibilità di ricerca della felicità e relega le donne in posizione subordinata agli uomini dall’altro, parte Rosalba Troiano per narrare La regola dei Nemor. Alcuni dettagli dell’ambientazione e il legame con una razza di cavalli molto particolari sono molto vicini a quanto narrato da Mecedes “Misty” Lackey nei suoi romanzi ambientati nel mondo di Valdemar, ma l’ispirazione dalla scrittrice americana è più sul punto di partenza che sullo sviluppo della storia. E la storia, per quanto ingenua per un lettore adulto e poco convincente in alcuni snodi narrativi, contiene abbastanza problemi da catturare l’immaginazione di un bambino intorno ai 10 anni, che è il lettore ideale della Troiano. La comunità arretrata, anche secondo gli standard di un mondo più grande che viene citato solo di sfuggita, e la quantità infinita di regole spesso assurdamente severe vengono messe in discussione da una bambina che mostra, con il suo mascherarsi prima e il suo rifiuto di arrendersi poi, quanto sia importante lottare per ciò in cui si crede. Più debole il principale antagonista, il personaggio di Horaz Brock, prima severissimo, poi complice di Solweg nel trovarle un rifugio, e infine nuovamente giudice inflessibile nonostante le rivelazioni sul suo drammatico passato, che muta un po’ troppo atteggiamento per essere davvero convincente. Poco chiara la funzione dei Nemor, importanti per la comunità al punto da definirne la struttura sociale senza che però venga indicato il motivo di questa centralità. Analogamente poco caratterizzato Pertil, necessario per la sopravvivenza di Solweg ma privo di una reale profondità. Più interessante la vicenda di Misty, la sorella perduta di Solweg, a cui viene ripetutamente accennato e che si scopre determinante non solo per la vita della protagonista ma anche per una maggiore comprensione delle relazioni fra diversi personaggi e di quel mondo chiuso che è Berengar. Il finale, incentrato su una frattura insanabile, è un po’ troppo sbrigativo pur lasciando aperto uno spazio per la speranza soddisfacente per i giovani lettori.
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