Malasanità messicana in Un mostro dalle mille teste di Rodrigo Plá, vincitore nel 2007, del Leone del futuro per l'opera prima con il lungometraggio d'esordio La zona.
Un thriller che camuffa sotto la confezione del genere la denuncia sociale.
Sonia Bonet (Jana Raluy) ha il marito Guillermo (Daniel Cubillo) malato di cancro. L'uomo potrebbe però guarire se fosse sottoposto alle giuste cure. Ma in un sistema gestito con criteri privatistici, basato sui rimborsi delle assicurazioni, sono necessarie delle approvazioni che stentano ad arrivare.
Sonia contatta più volte il medico del marito, il dr. Villalba (Hugo Albores), ma questi si nega fin troppe volte. La molla comincia a tendersi. Quello che sembrava un normale iter burocratico assume gradualmente le sembianze di un muro di gomma. Dietro la facciata collaborativa si cela il misterioso diniego di un diritto elementare.
La donna, esasperata, decide quindi di cercare di persona il medico, insieme al figlio Dario (Sebastián Aguirre Boëda). La molla, fin troppo compressa, scatta e con una pistola in pugno Sonia decide a suo modo di lottare per il diritto negato.
Va detto che la storia di Sonia è sia la denuncia delle storture che possono essere provocate in un sistema dalla malafede, sia una chiara condanna di una progressiva spersonalizzazione dei rapporti con il malato.
Il film corre come un treno con 75 minuti serratissimi. Il punto di vista non è solo quello di Sonia, ma cambia, grazie anche a un montaggio che interseca la linea temporale di alcune sezioni, mostrandoci da diverse angolazioni gli eventi.
Per rendere al meglio il senso di distacco dei testimoni degli accadimenti il regista usa il cambio di messa a fuoco, per evidenziare come dal distacco si possa arrivare al coinvolgimento, anche proprio malgrado.
Un film impegnativo e impegnato, da vedere per riflettere sul mondo di oggi e decidere quale futuro vogliamo per la nostra salute.
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