La spada era piantata su un cumulo di terra smossa.

Un piccolo colle bruno, sassoso, nel prato d’un vivido verde smeraldo, di quel verde che, solo poco prima di un temporale estivo, ricopre i terreni incolti.

L’antico cimitero, delimitato da un colonnato, era poco più di questo, un prato lasciato alle cure del vento e della pioggia, dal quale emergevano, coperte di muschi e rampicanti, le sagome delle spade appartenute ai re, ai cavalieri di sangue reale vissuti nel passato, ai nobili più importanti lì sepolti.

Oltre il colonnato, che reggeva un porticato di marmo bianco, si vedeva l’ampio panorama della Pianura, le cui linee allungate e regolari venivano interrotte da quelle disuguali della città e da quelle svettanti del palazzo reale che si ergeva, a poca distanza, al di là dei giardini.

Quasi posate sulla piana, le nubi premevano le une contro le altre, grigio contro grigio, in una mutevole battaglia, lasciavano sfuggire a tratti un rapido raggio di sole e subito lo inghiottivano.

Si era alzato un vento impetuoso e il rombo del tuono si faceva sempre più vicino, annunciando che di lì a breve la tempesta si sarebbe scatenata.

Le prime gocce cominciarono a cadere, tracciando sul cuoio di quell’unica spada nuova piccole strie scure.

Il corteo funebre si era già disperso da tempo, ma sotto al porticato di pietra candida erano rimaste due persone, un uomo anziano, dalla figura tarchiata e dalle spalle ricurve, e una giovane donna minuta, avvolta nell’abito bianco del lutto.

Le folate di vento scuotevano gli abiti leggeri della ragazza, le gettavano sul volto ciocche dei ricci ribelli d’un castano rossiccio, ma lei neppure se ne rendeva conto, gli occhi fissi su quella spada che nessuno avrebbe mai impugnato e che era appartenuta, anche se per poco, all’uomo che lei avrebbe dovuto sposare.

Kelsian Allereth, il figlio del re delle Pianure, era morto. Quella spada che ora trafiggeva il terreno era stata l’ultimo dono del re e avrebbe dovuto difendere Kelsian durante la Prova per completare il cavalierato. Non era servita. Non era bastata a riportare il giovane a casa, non era stata sufficiente per salvarlo. E ora costituiva la sua lapide, come tributo al suo rango e al suo stato.

Kelsian era morto lontano dalle Pianure, a poca distanza da Palàistra, dalla quale era partito per assolvere la Prova che lo avrebbe reso cavaliere.

La stagione calda e la distanza avevano tolto ai suoi cari anche il conforto di rivederlo un’ultima volta, prima di affidarlo alla terra: erano stati quattro giovani cavalieri a riportare dalla Città degli Studi le sue ceneri e la spada, ancora lucente nel fodero, insieme agli oggetti appartenuti al principe.

L’uomo anziano, come la ragazza, per lungo tempo era rimasto immobile, con lo sguardo rivolto verso il piccolo cimitero. Il suo volto era indurito, quasi senza espressione.

Fu lui che per primo si mosse, quando le gocce di pioggia si fecero grevi e rade e il vento portò verso di loro l’odore tipico della grandine. Lentamente si avvicinò alla giovane, le porse una mano, ma lei non diede segno di accorgersi della sua vicinanza.

– Aerys, è meglio tornare indietro – le disse stancamente. Solo allora gli occhi della giovane si spostarono su di lui, smarriti. Da dietro la cortina di capelli, il volto della ragazza appariva ancora più pallido. Aerys non possedeva una bellezza prorompente, ma aveva tratti delicati e quasi infantili: il volto segnato dalle lacrime avrebbe potuto essere quello di una bambina, ma l’espressione, carica di dolore e insieme determinata, era quella di una donna con già troppa vita alle spalle.

– Avrei voluto porgerti la mano in un’occasione diversa – le disse ancora l’uomo, invitandola a lasciare il cimitero, ma Aerys scosse il capo, decisa a non muoversi.

– Al mio matrimonio con Kelsian? Avreste fatto la stessa fatica, Maestà – rispose con un tono acre, che non le era mai appartenuto.

Il sovrano, Stewil Allereth, emise un sospiro sconfitto. Di nuovo alzò lo sguardo verso la tomba che conteneva quel poco che restava di Kelsian, il suo figlio maggiore. Il suo erede.

– Forse non ha più importanza, Aerys, ma riconosco i miei errori. Ho sbagliato tutto, con te e con lui.

La ragazza deglutì e strinse le labbra, nello sforzo di controllarsi.

– Dov’è Ellesia? – chiese, mutando apparentemente discorso.

Allereth si appoggiò a una delle colonne, come se il peso di quella domanda lo schiacciasse. – È ripartita all’alba. Le ho chiesto io di non presenziare alla cerimonia. – Gli occhi grigi del re incontrarono quelli della ragazza, del colore del muschio. – Ho ritenuto fosse meglio così: alle esequie di un principe c’è posto solo per una promessa sposa, e quella eri tu, non lei. Mi sembrava giusto almeno concederti questo.

Aerys tirò su col naso. – Già… la forma, almeno, è salva – rispose caustica.

Il vecchio re sollevò lo sguardo verso il cielo sempre più cupo. Le labbra erano strette in una smorfia di dolore trattenuto.

– Ho perso un figlio. Della forma non può interessarmi di meno, ragazza. – Fece una lunga pausa, come ipnotizzato dalla pioggia. – Il mio dovere di sovrano mi ha impedito troppe volte di fare le scelte giuste come padre. E ora so che me ne pentirò per sempre.

La voce di Aerys risuonò dura. – Avete ancora un figlio. Garal è ancora vivo e ha bisogno di voi.

Allereth sorrise amaro. – Tu mi odi, vero? Credimi, avrei preferito mille volte che mio figlio sposasse te e non Ellesia. Ma esistono situazioni in cui un re non può scegliere le vie del cuore, ma solo quelle della politica.

La giovane esitò. – Non ha più importanza, vi pare?

Per un lungo istante l’aria fu piena soltanto dell’odore acre dei fulmini e del rombo del tuono. La pioggia sferzava il piccolo cimitero e giungeva battente sulle lastre marmoree del porticato, trascinata da folate gelide.

– La verità – riprese lei, – è che a me resterà solo il rimpianto e a voi solo il rimorso, perché non sapremo mai che cosa avrebbe fatto Kelsian al suo ritorno. Avrebbe accettato di sposare Ellesia? O avrebbe rinunciato al trono per me? Di fronte a questo – disse indicando la spada, ora grondante di pioggia, – l’unica cosa che conta è che Kelsian è stato amato ed ha amato. Niente e nessuno, nemmeno Ellesia, potrà portarmi via questa certezza.

Allereth sospirò. – C’è una cosa che Kelsian non ti ha mai detto. Era già disposto a rinunciare al trono, quando mi comunicò il vostro fidanzamento. Io ero contrario alla vostra unione e lui determinato a sposarti, al punto di lasciare la corona a Garal. Cedetti, diedi il mio benestare e non mi sono mai pentito di averlo fatto. In questi mesi la mia opinione su di te è cambiata molto, ti sei dimostrata degna di diventare regina. Kelsian aveva ragione.

Aerys era sbalordita, Kelsian non le aveva in effetti mai detto nulla. Era incredibile scoprirlo in quel frangente, dopo tutto quello che era accaduto.

Il sovrano proseguì. – La giovane donna che ho davanti ora non è la ragazzina ribelle che conoscevo allora. In poco tempo hai imparato più di quanto mi aspettassi. Tuo padre sa quanto mi sia costato accogliere la proposta di Ellesia e tradire la tua fiducia.

Un’altra rivelazione. Suo padre, il generale Ardan Duwin, non aveva mai fatto cenno agli scrupoli del re, si era limitato a comunicarle che il fidanzamento era stato rotto per motivi superiori alla volontà del re e di Kelsian.

Aerys voltò le spalle ad Allereth, ponendosi sulla soglia del porticato. Si lasciò percuotere dalle ondate di pioggia, che le incollarono i vestiti addosso e i capelli al viso.

La tempesta peggiore stava dentro di lei, e aveva ancor meno potere su di essa che contro l’uragano che investiva Leris.

Era stato tempesta l’amore per Kelsian, una tempesta che l’aveva travolta all’improvviso. Tempesta era stata la reazione del re, quella di suo padre, che si erano opposti con tutte le forze al loro amore.

Tempesta il lungo periodo in cui Kelsian era ripartito per Palàistra, per terminare gli studi e lei, combattendo contro se stessa e contro tutti, aveva impiegato ogni energia per mostrarsi degna del principe. Mesi di studio, di nuove regole, di lotta contro la natura libera del suo spirito. E, appena vinta la battaglia, una nuova tempesta, scatenata dall’arrivo di Ellesia.

Aerys la rivide, come il primo giorno che si era presentata a corte. Ellesia Allereth, nipote nel re. Quando era entrata nella sala da pranzo, dove già tutti erano riuniti, era calato un silenzio irreale. Alta, fasciata in un abito nero, i capelli, talmente scuri da sembrare viola, che scendevano fin quasi a toccare il suolo. Non sembrava neppure camminare. Danzava, sensuale e armoniosa, col viso illuminato da un sorriso che ad Aerys parve subito di trionfo.

Ellesia era da poco rimasta vedova del reggente di Karil, la regione confinante a est con le Pianure, un uomo che aveva sposato soltanto cinque anni prima e che era già avanti con gli anni.

Ora, investita lei stessa della reggenza, era tornata in patria per una visita, ma era stato chiaro fin dall’inizio che c’era qualcosa di più, nelle motivazioni che l’avevano portata a Leris.

Ellesia.

Aerys respirò a fondo l’odore della grandine, rabbrividendo nell’abito fradicio.

Si era persino dimenticata del re, che a sua volta restava in silenzio alle sue spalle.

Ellesia. La sua rivale. La donna che in pochi minuti aveva distrutto mesi di sogni e fatiche.

Allereth con passo stanco si accostò alla ragazza e dolcemente la riportò in un punto più riparato. Aerys non si oppose, si sentiva improvvisamente spossata e incapace di fare resistenza. Sulle sue spalle bagnate calò il tepore di un mantello, quello che il re si era tolto per riscaldarla. Non si era accorta nemmeno di tremare.

– Anche se dici che non ha importanza, voglio che tu sappia tutta la verità. È vero che Ellesia, portando il nome degli Allereth, ha avanzato su Kelsian dei diritti indiscutibili, ma anche tua madre è parte del casato. Avrei potuto rifiutare la proposta appellandomi a questa lontana parentela. La legge non specifica precedenze di nessun tipo.

Questa scoperta ridestò Aerys dal suo torpore. Spalancò gli occhi, lampeggianti d’ira. – E allora perché non l’avete fatto?

Allereth scosse il capo, sempre più svigorito. – Ellesia ha offerto qualcosa di più che un matrimonio: la riunificazione delle Pianure. – Il tono di Allereth assunse un’inflessione piatta, come se stesse recitando frasi ripetute decine di volte. – Siamo in ginocchio, da quando c’è stato il terremoto. Karil non è stata colpita quanto noi.

Aerys cominciava a comprendere. La regione di Karil, fino un centinaio d’anni prima, era stata solo una regione delle Pianure del Sole. In seguito a un problema di successione, tuttavia, il regno era stato diviso in due parti, una sottoposta a Leris e una alla città di Cadret. Ellesia, in qualità di reggente, avrebbe potuto restituire Karil al governo degli Allereth, in uno dei momenti peggiori della storia delle Pianure. Quella che era stata una delle zone più floride delle Terre, infatti, era uscita devastata dal violento terremoto che alcuni anni prima aveva squassato il continente, aprendo il profondo Baratro che ora separava Terreverdi dalle regioni del Sud. Tutti i villaggi lungo la linea di rottura erano stati distrutti e, a distanza di tempo, la ricostruzione era ben lontana dall’essere completata.

Allereth, in effetti, aveva preso l’unica decisione possibile per un re, accettando che Ellesia si proponesse come sposa per l’erede del trono, per ricostituire l’antico regno delle Pianure.

– Ellesia però non è stata tanto generosa da offrire ugualmente aiuti, ora che i suoi progetti matrimoniali sono sfumati – osservò aspramente la giovane. Aerys si trovò a pensare quanto poco le importasse comprendere le motivazioni del sovrano. Sapeva solo del proprio dolore, reso ancora più acuto dal precipitare degli eventi delle ultime settimane. La prospettiva di perdere Kelsian e di vederlo sposato con un’altra donna non era stato nulla, in confronto all’ineluttabilità della sua morte, tuttavia le decisioni di Allereth avevano esacerbato il suo animo. Poco contava quel recupero in extremis, col quale aveva permesso a lei di prendere posto ai funerali con la famiglia reale e aveva chiesto a Ellesia di lasciare la città.

Una nuova domanda, sorta improvvisamente, la turbò. Fissò il re, che teneva chino il capo ingrigito. – Garal ora è l’erede al trono. Che cosa farà Ellesia? – domandò. Si rese conto che, no, forse non odiava il re, quel padre addolorato e precocemente invecchiato, ma il suo potere e il suo ruolo, che lo avevano reso pronto a separarla da Kelsian e disposto a sacrificare qualunque cosa in nome delle Pianure, sì.

Allereth pareva aver atteso quella domanda e sul suo volto si dipinse un sorriso amaro che ne accentuò le rughe. – Come ti ho detto, Ellesia è ripartita. Garal ha solo sedici anni ed Ellesia ne ha il doppio. – Fece una pausa. – Non ha accettato questo ripiego, perché sa che il suo dovere è garantire una discendenza a Karil e aspettare altri sei anni potrebbe renderle difficile…

Aerys gli afferrò un braccio, incredula. – Sei anni? Metterete a rischio anche Garal, facendogli perseguire il cavalierato? –

Allereth chinò il capo. – È stato Garal a decidere. Palàistra gli ha offerto la facoltà di scegliere se affrontare o meno la Prova, quando sarà il momento. Ora è l’unico erede e gli stessi Magistri si rendono conto… – Allereth prese un respiro profondo e si liberò dolcemente dalla stretta convulsa di lei. – Aerys, – disse mesto, – purtroppo qualche volta accade: qualcuno perde la vita affrontando la Prova. Ma sono incidenti. Kelsian è stato disarcionato, è caduto sulle rocce, non è neppure arrivato alla meta.

Aerys si irrigidì. Quei particolari sulla morte di Kelsian, che Allereth le stava rivelando, facevano parte del segreto che copriva la Prova del Cavalierato. Nemmeno lui avrebbe dovuto saperne nulla, ma forse, per riguardo al re, i cavalieri che avevano condotto la salma erano stati autorizzati a parlarne. La giovane gli fu grata d’averglieli rivelati, ma la sua mente, quasi in uno stato febbrile, registrò subito una profonda incongruenza.

– Non ho mai conosciuto nessuno abile in sella come Kelsian – disse, quasi tra sé. – Possibile? Possibile che sia bastato così poco? – Aerys era ormai scossa da brividi incontrollabili, dovuti in parte agli abiti zuppi e in parte al turbamento. Intorno a loro era calata un’oscurità irreale, mentre la tempesta muoveva rapida le nubi in una grottesca danza.

– Anche i migliori cavalieri possono perdere il controllo – replicò il re, lentamente, quasi a voler calmare la ragazza con la voce, come si fa coi cavalli irrequieti.

– Non posso crederci.

Gli scrosci di pioggia diminuirono all’improvviso, lasciando solo il lieve ticchettio di quiete e monotone gocce.

Aerys ancora ripeteva a se stessa le proprie ultime parole. No, non poteva credere a una bugia così palese.

– Kelsian da ragazzino domava gli stalloni – riprese. – Ero ancora una bambina e ne ero perfino gelosa, perché mio padre non faceva che lodarlo per la sua abilità. Avrei voluto essere un maschio per vedere mio padre altrettanto fiero di me. – Scosse con vigore la testa. – No, Kelsian non si sarebbe mai fatto disarcionare. Deve essere successo qualcosa durante la Prova, qualcosa che Palàistra non vuole farci sapere!

Allereth replicò con lo stesso tono pacato. – Non puoi dare la colpa a Palàistra per quello che è accaduto. Da secoli il cavalierato si ottiene con la Prova, e centinaia di uomini ne escono indenni. Io stesso ho affrontato, molti anni fa, un incarico, e ora sono qui davanti a te. Ti posso assicurare che il Supremo non avrebbe mai permesso all’erede al trono delle Pianure di correre reali pericoli. Non ho altre spiegazioni che un incidente, e credo nella sincerità di quanto ci hanno riportato da Palàistra.

Cadde un lungo silenzio tra i due. Anche il vento, che fino a quel momento aveva fatto da sottofondo al loro dialogo, taceva. Tutt’intorno, la natura pareva singhiozzare, percossa dall’uragano.

– Io non ci riesco. Non conoscendo Kelsian. E poi ho montato io stessa Aiela, non esiste cavalla più mansueta e intelligente. – Guardò il re. – L’ho vista nelle stalle, ieri mattina, ed era illesa. Perché? Se fosse caduta avrebbe riportato qualche ferita, e invece ha affrontato tutto il viaggio fino a Leris.

La voce del re si fece più dura. – Dobbiamo solo rassegnarci. Discorsi come questo non ci riporteranno comunque Kelsian.

Aerys si animò, in preda all’agitazione. – Non ci riesco, a rassegnarmi! A voi, che siete suo padre, come può bastare una spiegazione così sommaria? Se Kelsian fosse caduto in un’imboscata, o in combattimento, avrei capito, ma così… Non posso che pensare che Palàistra e il Supremo ci nascondano la verità sulla sua Prova. Come potete accettare di non sapere di più?

Questa volta Allereth si infuriò. – Credi che non desideri conoscere la verità, almeno quanto te? – L’uomo con uno sforzo riprese il controllo. – L’intera politica delle Terre si basa sulla fiducia in Palàistra, nelle sue leggi e nell’imparzialità del Supremo. Non posso e non voglio mettere in discussione il suo operato. Se mandassi qualcuno a compiere indagini sarebbe gravissimo, per le Pianure e per tutte le regioni.

– E la morte dell’erede al trono di Leris non la è? – ritorse Aerys. – Il sospetto che Palàistra nasconda qualcosa sull’accaduto è altrettanto grave.

Allereth le rispose brusco. – Non manderò una commissione. Questo è tutto.

– Ma manderete Garal. Accettando pacificamente che corra gli stessi rischi di suo fratello.

Il re scandì le parole. – Non-esiste-alcun-rischio! – Poi, con un visibile sforzo per restare calmo, proseguì. – Cosa vorresti, ragazza? Che mandassi qualcuno con Garal? A Palàistra sono ammessi solo gli studenti, non posso inviarlo con una scorta. Dovrei inviare altri ragazzini inesperti come lui. Sarebbe inutile.

– Andrò io.

Il sovrano emise un gemito esasperato e fece per allontanarsi. – Ora basta. I tuoi sono solo vaneggiamenti.

Ma Aerys era determinata e lo seguì. – Sono figlia del vostro primo generale, sono diciassette anni che vivo tra soldati, marce, armi. So cavalcare meglio di un uomo, conosco tutte le regole militari.

– Sei una donna! – gridò Allereth, rosso in viso per la rabbia.

Aerys strinse i denti. – Non se ne accorgeranno. Non se sarete voi ad accreditarmi, come compagno d’armi di Garal. E se mi scopriranno, me ne assumerò io la responsabilità. Mentirò, se necessario, e voi e Garal ne uscirete puliti.

– Quanto credi ci metteranno i Magistri a capire?

Aerys trattenne il fiato. – Potrebbe non servire troppo tempo. Mi basterà restare a Palàistra fino a che non avrò scoperto la verità sulla prova di Kelsian. Sarà sufficiente. – Deglutì. Cominciava a intravedere nel re una certa indecisione. – Lasciatemi provare – lo supplicò. Titubante, si accostò per prendere una mano dell’uomo fra le sue, con un gesto di supplica. Sentì fra le proprie dita intirizzite il tepore di quelle di Allereth, grandi e nodose.

Il re scosse il capo in un cenno di diniego. – Ti scopriranno subito e la tua reputazione sarà rovinata per sempre. Non ne vale la pena.

Lei fissò il pavimento del porticato. – Non potrò sposare l’uomo che amo. Non mi occorre più una reputazione.

– Non potresti farcela nel cavalierato, ma potrei ottenerti la richiesta per studi letterari…

Aerys scosse violentemente il capo. – Devo entrare nel cavalierato. Tra gli studenti parleranno di sicuro di quello che è successo a Kelsian. Solo lì ho speranze di arrivare a qualcosa.

– Non riesci nemmeno a impugnare una spada! – sbottò il re. – Non basta aver guardato i soldati dalla finestra, sciocca!

Aerys socchiuse gli occhi furibonda. Sollevò l’orlo della veste in malo modo e a grandi passi, senza curarsi del fango che le insozzava scarpe e abito, si avvicinò alla tomba di Kelsian. Si fermò lì, guardando in direzione del re che l’aveva seguita sbigottito. La mano di lei corse sull’elsa della spada e l’avvolse.

Sotto alle sue dita il cuoio bagnato era scivoloso, e la giovane avvertì con quanta forza l’arma era stata piantata nel terreno. Sarebbe stato difficile smuoverla anche per un uomo, e con due mani.

Mai due mani sulla spada, se non in battaglia, riecheggiò nella sua mente. Era la voce di suo padre, che impartiva istruzioni ai nuovi soldati.

Abbiamo contro tutti, Aerys. Per avere quello che desideriamo dovremo mostrarci superiori a ogni loro aspettativa. Questo era Kelsian, il giorno che si erano salutati. Lo rivide, già sul cavallo, sorridente e fiducioso. Solo pochi mesi e sarebbe tornato, cavaliere, per sposarla. A lei restava il compito di far cambiare idea al re, a lui restava solo la Prova da superare, e poi, forte della nuova carica, avrebbe imposto al padre la decisione presa. Perché i cavalieri onorano le promesse.

La vostra promessa dovrà essere sciolta per motivi di stato. Kelsian capirà. Mi dispiace, Aerys. Quella era la voce di Allereth, quel dannato giorno in cui Ellesia era entrata nella loro vita. Fino al suo ritorno le cose resteranno come sono, ma quando prenderà il suo posto come erede al trono dovrà scioglierti dall’impegno e accogliere Ellesia come sua sposa. Non ci sono…

La mano di Aerys strinse saldamente l’impugnatura. In quel gesto la fanciulla raccolse tutte le sue forze, tutta la frustrazione, il dolore, la rabbia che aveva nel cuore.

Lentamente, come in sogno, la lama emerse dal terreno.

Aerys avvertì, dopo qualche attimo, l’arma libera dal peso del fango. Con un movimento fluido dell’avambraccio, che aveva visto fare da Kelsian tante volte, mentre provava la nuova spada di cui si sarebbe fregiato una volta terminati gli studi, puntò la lama verso il basso, ai piedi del re.

Garal arrivò in quel momento. Preoccupato per la lunga assenza del padre, era tornato al cimitero per cercarlo.

Rimase immobile, a osservare da lontano quella scena incredibile. Aerys, fradicia di pioggia, infangata, scarmigliata, che impugnava con fermezza inumana la spada di Kelsian. E il re, suo padre, col viso rigato dalle lacrime, davanti a lei.

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