Andrea Atzori, laureato in Storia all’Università di Cagliari, è l’autore della storia fantasy per ragazzi intitolata Iskìda della Terra di Nurak, edita da Conghades Edizioni, e del romanzo ŠRDN – Dal bronzo e dalla tenebra, uscito lo scorso novembre 2016 per la Acheron Books.
Già intervistato precedentemente su queste pagine, abbiamo chiesto all’autore di rispondere alle domande per un’altra breve intervista in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo.
Ciao, Andrea! Ti do il benvenuto su Fantasy Magazine. Mi piacerebbe iniziare con una domanda molto semplice per permettere ai lettori di conoscerti meglio; chi è Andrea Atzori? Quali aggettivi utilizzeresti per descriverti in breve?
Salve a tutti, è sempre un piacere tornare da queste parti. Aggettivi. Più di tre di solito sono vietati, quindi direi solitario, scorbutico e testardo. Ottimo, no?
Parliamo di scrittura, poiché molti lettori di Fantasy Magazine potrebbero anche essere aspiranti scrittori e volerne sapere di più su quest’argomento; quanto tempo dedichi quotidianamente alla scrittura? Quanto tempo impieghi, in linea generale, per realizzare la prima stesura di una storia? Prendi appunti su carta o preferisci scrivere al PC direttamente?
Mi alzo alle sei tutte le mattine e dalle sette alle undici scrivo. Di solito questa parte della giornata è dedicata all’inedito di turno, la sfida che necessita concentrazione, porte chiuse, sangue e sudore. Amministro il resto della giornata tra gli altri progetti, a volte traduzioni, a volte editing, a volte altri inediti con tempistiche meno pressanti, più email e social network. In tutto, temo siano dalle otto alle dieci ore al giorno, a volte di più. In fondo, è il mio lavoro. Il tempo necessario a una prima stesura dipende da quanto è lunga, ma andiamo dal singolo mese ai sei mesi di lavoro. Scrivo al PC, ma spesso le idee migliori o le scalette nascono sul taccuino.
Non è mai facile trovare l’ispirazione; potrei chiederti di spiegarci come hai trovato l’idea per la trilogia di Iskìda? Come sono nati i personaggi? C’è un personaggio di Iskìda al quale sei particolarmente legato? In quale dei tuoi personaggi rivedi maggiormente te stesso?
Non vorrei infrangere il mito romantico dell’autore, ma Iskìda è nata per lavoro. Tornato dall’Inghilterra dopo gli studi editoriali, avevo bisogno di lavorare e voglia di mettermi alla prova, sia come editor che come scrittore. Ho contattato diversi editori, in Italia e in Sardegna, e l’unico che si è dimostrato disposto a prendermi in considerazione come collaboratore è stato Edizioni Condaghes.
La Condaghes sognava un fantasy ispirato alla Sardegna, e io in tre giorni ho stilato un breve setup, con idea generale e personaggi di quella che sarebbe diventata una trilogia da oltre mille pagine. Era semplicemente il momento giusto, e l’ispirazione è venuta da sé: ero pronto per esprimere in un’opera complessa quelle che erano le mie influenze artistiche, letterarie, cinematografiche, ludiche, e di renderle uniche attingendo all’anima della mia terra. Il personaggio che preferisco è Alise, dalla seconda stagione in poi. Quello in cui più mi rivedo… non saprei. C’è una parte di me in ognuno di loro, non potrebbe essere altrimenti.
Ti sei ispirato alla tua terra d’origine, la Sardegna, per l’ambientazione della saga. Perché hai deciso di incastonare i paesaggi e le tradizioni della tua terra in una storia di genere fantasy? Come mai hai scelto di scrivere una storia fantastica e non – per così dire – una storia di genere storico o romantico ambientata in Sardegna?
Si dice che gli scrittori sardi possano scrivere solo di Sardegna. Non è vero. Ma lo fanno spesso e volentieri. In parte, come detto, è stato il caso, la necessità di impugnare un’occasione lavorativa preziosa che mi veniva offerta. Dall’altra, il fantasy è stato sempre il mio genere, quello in cui mio sono formato da lettore, e in cui più mi ritrovo nella finzione letteraria. Da questo punto di vista, la Sardegna non sarebbe stata abbastanza per portarmi a scrivere. È stata la sfida della rielaborazione fantastica l’unica che mi interessava, in relazione alla mia terra: janas, giganti, demoni, maschere, antichi riti, e i monumenti archeologici più imponenti del bacino del Mediterraneo Occidentale. La Sardegna è una terra fantastica di per sé.
Ho una curiosità che mi è balzata in mente dopo aver visto un film di Woody Allen, Midnight in Paris, in cui il protagonista, interpretato da Owen Wilson, è uno sceneggiatore hollywoodiano che allo scoccare della mezzanotte, fra le vie di Parigi, ritorna indietro nel tempo e ha la possibilità di incontrare il suo scrittore preferito in assoluto, E. Hemingway. Sulla base di ciò, se anche tu potessi avere la possibilità di incontrare e far leggere un tuo libro a uno scrittore o scrittrice del passato per riceverne un giudizio qualsiasi, chi sceglieresti? E perché?
Non lo farei. Semplicemente perché non gli importerebbe nulla di leggerlo, né di essere disturbati da chicchessia, ancor meno dall’aspirante di turno (e nel mio piccolissimo so cosa vuol dire). Quando sono gli autori stessi a proporci un romanzo, a volte capita che li si guardi con diffidenza. I romanzi devono nascere, trovare la loro strada, e se in questo durante capiteranno all’attenzione di un grande autore, solo così forse potrebbero avere una possibilità di stupire con sincerità. Inoltre, quale libro? I miei romanzi sono tutti diversi tra loro, e sceglierne uno che mi rappresenti sarebbe una forzatura. Un romanzo che viene scritto ora potrebbe deludere tremendamente il lettore che ha amato un romanzo che è venuto prima, per genere, per la storia che sceglie di narrare o per mille altre varianti che invece sono necessarie a me, in quell’esatto momento della mia vita, per scrivere la storia che voglio scrivere. Tralasciando anche questo però, se volessi pensare a uno scrittore che per caso incappasse in un mio libro e dicesse “Mah, non male ‘sto qui”, sarebbe uno scrittore del presente. Philip Pullman, per Iskìda. Cormac McCarthy per tutto il resto.
Iskìda ha attirato l’interesse di un Premio Oscar e pare proprio che presto diventerà un film a tutti gli effetti. Secondo te perché ci sono poche case cinematografiche italiane interessate alla realizzazione di pellicole ispirate a storie di genere fantasy? Pensi che ciò possa essere ricollegato al fatto che tale genere letterario non abbia radici profonde in Italia o pensi che sia una questione principalmente legata al budget economico, problemi tecnici, effetti speciali etc.? Esponi in breve la tua opinione.
Domanda spinosa. Il fattore produttivo e di budget giocano sicuramente un forte ruolo: anche volendo, non si potrebbe. La domanda però diventa: se si potesse, lo faremmo? Io dico di sì, ma solo recentemente, con l’arrivo al cinema della mia generazione e di quella X, cresciute con modelli artistici diversi dalle generazioni precedenti, senza temere i sincretismi più disparati, sia da un punto di vista di generi trattati che di regia. I recenti Lo chiamavano Jeeg Robot e Il racconto dei racconti ne sono una prova. Il vento sta cambiando. (P.S. di Iskìda è in realizzazione un teaser. Se si arriverà alla produzione di un lungometraggio, nessuno ancora può dirlo).
È uscito nel mese scorso il tuo nuovo romanzo, ŠRDN – Dal bronzo e dalla tenebra, per Acheron Books. Come racconteresti la trama del romanzo ai lettori che non hanno ancora avuto modo di leggere la quarta di copertina? Come e quando è nata questa nuova storia?
È ambientato dell’Età del Bronzo ed è la storia di un capo guerriero, Karnak, delle genti Shardan (gli antichi nuragici). Questi torna in patria dall’Egitto per fare fronte all’apocalisse che la minaccia e che rischia di annichilirla: l’invasione degli Incubi; dei Mamuthones dalle dimensioni titaniche che – rompendo i sacri sigilli che li relegavano nel regno degli inferi – iniziano a sgorgare sulla terra. È un romanzo cupo, brutale, tragico, che è nato in risposta alla convocazione di Acheron Books. Nel 2014 la Acheron mi chiese se ero disposto a scrivere un altro fantasy ispirato alla civiltà nuragica e alle tradizioni sarde, ma con taglio più adulto. Non era mia intenzione scrivere ancora di Sardegna, ma non mi sono tirato indietro.
Quanto, secondo te, questa storia potrebbe risultare diversa rispetto a Iskìda? Da scrittore, ad ora pensi che il tuo modo di scrivere e raccontare una storia sia in qualche modo migliorato o, magari, cambiato dalle prime pubblicazioni?
Il fatto che i due romanzi parlino entrambi di Sardegna nuragica non dovrebbe trarre in inganno. Sono due opere completamente diverse. Iskìda è una saga di ampio respiro, epica, scura a tratti ma solare nel procedere verso una rivalsa, dove le tradizioni sarde e le figure del folkore sono descritte in chiave fiabesca; non per nulla Iskìda è stata considerata un YA. Al contrario, ŠRDN è un dark-fantasy ai limiti dell’horror, dove non c’è pietà, non c’è redenzione, non c’è perdono; dove le figure tradizionali della Sardegna stessa vengono reinterpretate in maniera scabra e talvolta irriverente. Questo si rispecchia anche nella scrittura. Ogni mio romanzo è diverso da quello precedente; si cambia, si cresce, si migliora, e la propria “cassetta degli attrezzi” si amplia, in modo che per ogni opera si possano scegliere e adoperare quelli più appropriati.
Hai altri progetti letterari nel cassetto o al momento hai deciso di dedicarti solo ed esclusivamente a ŠRDN?
ŠRDN è già vecchio… L’editore non me ne voglia, ma tant’è. Come diceva Calvino – frase che non la smetterò mai di ripetete: l’unico romanzo che appartiene a uno scrittore è quello che deve ancora scrivere
. Al momento ho tre inediti completi, uno in fase di ristesura e due all’attenzione di varie agenzie; diversi setup pronti a essere sviluppati in romanzo e una sceneggiatura per fumetto. Il mio lavoro non può risiedere nel passato. È la mia vita, è il mio presente, il mio divenire. Lo scopo di scrivere non è pubblicare, è scrivere. E soltanto dedicando anima e corpo al proprio lavoro, forse, si riuscirà a pubblicare. Il contrario no, non funzionerà mai (per fortuna).
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