Le stagioni di Louise, delicatissimo film di Jean-Francoise Laguionie, narra la storia di una signora anziana che, alla fine dell'estate, perde l'ultimo treno da Bilingen, la località di mare in cui è solita trascorrere le vacanze, per la città. Il paese è ormai deserto, non un'anima viva che possa darle aiuto, o possa farle compagnia, non un negozio aperto, il senso di abbandono avvolge Louise nei suoi sogni. Inizia così un percorso di solitudine che mette a nudo la protagonista e invita lo spettatore a riflettere sulla condizione umana e sulla vecchiaia.
Louise è costretta ad affrontare il cambiamento di quotidianità, a creare una nuova vita in uno spazio conosciuto, ma in una dimensione diversa. Il tempo perde il suo legame con la realtà, non ci sono coordinate, scansione di eventi a parte il naturale ciclo del giorno e della notte, delle stagioni. L'anziana signora, nonostante la desolazione e la rabbia iniziale, il cui significato si evincerà man mano che avanza la storia, sembra quasi voglia mettersi alla prova, sembra voler testare la propria capacità di sopravvivenza, la propria indipendenza. Tutto perde i contorni, l'atmosfera è surreale e le magnifiche immagini contribuiscono a straniare lo spettatore, cullato dalle onde, dai grigi blu del mare e del cielo.
Pochi personaggi popolano il film, qualche animale, un cane parlante peregrino, chiamato dalla protagonista Pepe, modificano la percezione di Louise sul passato, sul presente e sul futuro. Passano lentamente le stagioni, arriva l'autunno, poi l'inverno; nel frattempo Louise decide di costruire una nuova abitazione, più consona alle sue necessità: una baracca sulla spiaggia, che la metta in comunicazione costante con qualcosa di vivo, con una parte di sé forse poco considerata. Emergono le riflessioni, concesse per brevi cenni sul suo passato, sui rapporti amorosi e familiari: la vita della protagonista rimane privata, celata senza nessun godimento voyeristico, che appaghi lo spettatore, costretto a chiedere il permesso di presenziare. Louise è un personaggio schivo, non si mostra, non eccede. Il pubblico è condotto piano piano, quasi fra le fronde, alla scoperta di parti intime, talvolta dolorose, magari rimosse, che inspiegabilmente affiorano delicatamente provocando commozione, tenerezza, vicinanza emotiva e identificazione. Louise prende consapevolezza delle proprie piccolezze e fragilità e mai c'è un accenno mesto alla morte, come si potrebbe pensare. Quest'ultima non diventa angosciante, o orrorifica, esiste, come esiste la vita, come ci sono gli alberi, la sabbia, i rottami, l'acqua. Louise è al di sopra della vita e della morte, per certi versi sembra aver raggiunto quella pace interiore da tanti agognata. Ed eccoci di nuovo alla primavera, all'inizio dell'estate, al ritorno dei villeggianti. Il suo sguardo adesso è molto più sereno, rafforzato dall'imperturbabilità illuminata.
Meraviglioso l'accompagnamento e il commento musicale del pianista Pierre Keller e dell'orchestra di Pascal Le Pennac, che hanno sottolineato e addolcito i momenti importanti di questa pellicola.
La grafica rende le immagini intime, accennate, senza nessuna pornografia visiva, nessuna morbosità, i disegni sembrano prendere vita da fogli di cartoncino acquarellati a mano.
Le stagioni di Louise è un film da non perdere.
Unico consiglio: non portate bambini, si annoierebbero e rovinerebbero la visione a voi e agli altri spettatori.
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