Nelle sale il 17 e 18 gennaio Segantini, ritorno alla natura, film di Francesco Fei, prodotto da Apnea Film e Diaviva, vincitore del Premio del pubblico sezione arte al Biografilm Festival di Bologna 2016.
Il docufilm, interpretato da Filippo Timi nel ruolo del pittore, da Alice Raffaelli in quello della moglie Bice Bugatti e dal piccolo Lorenzo Sartorelli, racconta la difficile vita dell’artista.
Segantini nel 1858 nasce ad Arco, terra irredenta dell’Impero austro-ungarico, in una famiglia disagiata con una madre, Margherita de Girardi, in condizioni di salute precarie e un padre, Agostino Segatini – sarà il pittore a cambiare il cognome -, troppo occupato a sostenere la famiglia con il suo lavoro di venditore ambulante. Alla morte della madre Agostino decide di mandare il figlio Giovanni a Milano dalla figlia Irene avuta nel primo matrimonio. Giovanni non ama Milano, soffre la costrizione imposta dalla città in cui girovaga senza un’attività precisa. Nel 1870 viene preso e trasferito al riformatorio Marchiondi, oggi Beccaria, e vi rimane fino al 1873 tentando la fuga nel 1871. Il fratellastro Napoleone di sente responsabile e lo prende sotto la sua custodia a Borgo Valsugana, offrendogli un lavoro come garzone nella bottega fotografica di sua proprietà. Segantini finalmente sperimenta una possibilità di vita, una realizzazione attraverso l’arte e da irrequieto quale è, decide di tornare a Milano, città ricca di stimoli culturali, per scoprire la propria dimensione. Trova lavoro presso Luigi Tettamanzi, artigiano decoratore, e presso il riformatorio Marchiondi, come insegnante di disegno. Così riesce a sostenere gli studi di pittura all’Accademia di Brera.
Il primo dipinto che viene notato all’Esposizione nazionale di Brera è il Coro di Sant’Antonio. Vittore Grubicy e Carlo Bugatti, apprezzandolo, decidono di sostenerlo e finanziarlo. Conosce la sorella di Carlo, Bice, sua futura musa e compagna di vita, con cui avrà quattro figli: Gottardo e Alberto nati a Pusiano in Brianza, sede del loro primo trasferimento dopo Milano e Mario e Bianca, nati invece a Milano durante una permanenza della famiglia nella città. La fama di Segantini cresce e aumentano le commissioni per quadri e opere. La sua pittura si evolve dal verismo lombardo che caratterizza i primi dipinti, al naturalismo che segna i dipinti di ambientazione contadina, l’ultimo dei quali Alla stanga, sottolinea il passaggio a una ricerca personale, che porterà l’artista a un simbolismo quasi mistico. Segantini ondeggia fra simbolismo e divisionismo, come ben spiegano le parole degli studiosi intervistati nel film: Annie Paule Quinsac, esperta dell’arte segantiniana, ma anche di Roberto Turrini, storico di Arco e di Franco Marrocco, direttore dell’Accademia di Brera, che offre un inquadramento storico del periodo.
Non ultimi i racconti di Gioconda Segantini, nipote dell’artista, che commenta le bellissime fotografie del maestro e della sua famiglia. Seguire la vita di questo vulcanico e irrefrenabile artista è appassionante, nonostante i momenti di fiction siano retorici, spesso melensi e a volte kitch (come la scelta di immaginare Segantini fantasma, o redivivo in visita al museo che ospita le sue opere, lacero di dolore per l’incompletezza del Trittico della Natura a causa della sua dipartita, o le passeggiate quasi bacchiche, inebriate dall’amore per le montagne dell’Engadina, luogo in cui si fermerà dopo una lunga ricerca e in cui troverà quella pace interiore da sempre cercata, o ancora la tomba della coppia Segantini davanti alla quale ci conduce la nipote raccogliendo un fiore). Interessanti le letture dei pensieri e delle riflessioni dell’artista, che offrono un’immagine di pensatore, di studioso mai stanco di analizzare se stesso, il circostante e di esaltare la Natura, vera divinità capace di condurre e trascinare un apolide, incontenibile come Giovanni Segantini.
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