Alice è arrivata alla fine del suo lungo viaggio cominciato dieci anni fa quando, priva di sensi, si è risvegliata coperta solo dal telo di una doccia, in una villa a Raccoon City. Non aveva alcuna memoria del suo passato e i ricordi non sono più riemersi, tanto da temere di aver vissuto sempre nell’apocalisse zombi causata dal terribile Virus T. Ma Alice è ancora l’unica a poter salvare l’umanità, ormai ridotta a poche migliaia di persone, dall’estinzione totale. Nonostante il tradimento di Wesker e la perdita delle sue capacità sovraumane, un inaspettato informatore le rivela qual è l’unico modo per distruggere l’Umbrella: deve tornare nell’alveare da dove l’epidemia è cominciata e mettere la parola fine all’incubo.
Resident Evil tra alti e bassi, con i suoi sei capitoli è probabilmente la saga cinematografica tratta da un videogioco che più ha convinto sul grande schermo. Merito in primo luogo di Milla Jovovich credibile al pari di un uomo nel menare le mani, fatto non così scontato nel 2002 quando l’esalogia ha avuto inizio. Arrivata all’età di 41 anni decisamente in gran forma si diletta anche in Resident Evil: The Final Chapter in imprese atletiche oltre i limiti della fisica. Purtroppo come spesso accade il 3D non aiuta e, in questo caso, neppure la regia di Paul W.S. Anderson, troppo presa tra tagli e cambi di piano che rendono impossibile allo spettatore una visione completa di un qualsiasi combattimento corpo a corpo. Molto meglio invece le scene di battaglia di gruppo, dove per una volta viene lasciata in pace l’epicità de Il Signore degli Anelli, nonostante le colate di fuoco incandescenti da alte torri.
Il merito infatti di Resident Evil: The Final Chapter è di essere un film coerente con il proprio passato, essendosi limitato a dare una sbirciatina di quanto gli stava accadendo intorno in questi anni, giusto per rendere efficace questo finalone strombazzante. Paul W. S. Anderson che, oltre alla regia, come per Resident Evil, Resident Evil: Afterlife e Resident Evil: Retribution, si occupa in The Final Chapter anche di soggetto e sceneggiatura, non si può dire certo autore che vada tanto per il sottile, ma qui ingrana una marcia in più. Alice è diventata una sorta di Xander Cage tra salti acrobatici, sparatorie e cazzotti da orbi con i mostri più disgustosi e giganteschi. La tamarraggine è così funzionale al film che non ha alcun senso parlare di buchi di trama o di poca verosimiglianza, e la sola cosa che ci chiede è di divertirci lasciandoci andare all’onda/orda.
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