Prologo
La notte non era mai stata così fredda e piovosa, e nel bosco era persistente l'odore di terriccio bagnato. Non c'erano animali in giro, come se avessero captato il pericolo e si fossero rintanati al sicuro. Mentre correva, anche lei avrebbe voluto un posto in cui rifugiarsi, come quando da bambini si gioca a nascondino e un amico urla: "tana!". Ma quello che stava vivendo non era un gioco.
Tutto sembrava andarle contro, mentre scappava da quei mostri. Era veloce, certo… ma non li avrebbe mai seminati, e questo lo sapeva. Tuttavia la voglia di vivere era troppa per rinunciare senza nemmeno aver provato.
Il vento freddo e le gocce di pioggia le colpivano la pelle nuda e ustionata. Aveva cercato di combattere, ma i suoi poteri non potevano niente contro di lui. Il terreno disconnesso le fece prendere una storta alla caviglia, ma nemmeno questo la fece desistere: con un gemito di dolore continuò la sua fuga. Doveva vivere. Voleva vivere. Sapeva che molti… troppi, prima, avevano cercato di sopravvivere senza riuscirci, ma lei doveva provare comunque. Corse ancora, con i muscoli che bruciavano e i rami degli alberi che le graffiavano il viso e le braccia scoperte. I segugi ringhiavano e abbaiavano, sempre più vicini. Se si sforzava, riusciva quasi a sentire il tanfo che li accompagnava ovunque. La paura la travolse e il battito del suo cuore aumentò, il palpito fu – per un attimo – l’unica cosa che udì, oltre al ritmo incessante della pioggia. Il cielo era solo una macchia scura e ombrosa sopra la fitta foresta, puntellato da poche stelle e unico testimone del suo tentativo disperato. Corse ancora, ma sapeva che il suo corpo non avrebbe retto a lungo. Davanti a lei, l'unica strada era ripida e in salita. Non aveva altre possibilità: si arrampicò, cercando di essere veloce per mantenersi a distanza dai segugi che le davano la caccia. Le braccia le tremavano e le gambe cedevano ad ogni passo per la fatica, ma non si sarebbe arresa. Avrebbe continuato fino alla fine. In fondo, era stata addestrata per questo. Aveva passato tutta la vita ad allenarsi per superare prove difficili, si era rotta tutte le ossa del corpo per migliorare ed essere insuperabile in tutto ciò che faceva, ma mai avrebbe creduto che la sua preparazione l’avrebbe portata a quel preciso momento. Era stato il suo istinto a spingerla a lasciare tutte le sicurezze della sua casa per andare alla ricerca di… beh, nemmeno lei sapeva cosa. Non aveva detto niente a nessuno, fuggendo nel pieno della notte, e adesso si trovava in quella situazione. Mentre ancora si arrampicava sul terriccio umido e friabile, pensò che, se avesse preso decisioni diverse, magari non sarebbe morta. Magari, in quello stesso momento, sarebbe stata al sicuro nella palestra in cui aveva passato la maggior parte della sua vita. La salita terminò, ma non la corsa. I segugi, abilissimi nel loro fiuto, si erano avvicinati considerevolmente alla loro preda, grazie alle zampe robuste che li portavano ovunque senza fatica. Per sfortuna della ragazza, il loro obiettivo era proprio lei…
Dopo aver respirato profondamente ed essersi guardata intorno, continuò ad allontanarsi. Era una guerra persa in partenza, ne era certa, e la caviglia dolorante non faceva altro che rallentarla. Il suo passo, dapprima ritmico e veloce, era stato sostituito da una camminata incespicante, impacciata, mortale. Il suo corpo non avrebbe retto a lungo.
Le rimaneva una scelta… una sola possibilità per non morire completamente. L’idea le aveva solleticato il cervello fin dal primo momento, ma sapeva che sarebbe stata la sua ultima spiaggia, quindi non l’aveva presa in considerazione: avrebbe potuto cedere il suo Dono, il potere che faceva parte di lei fin dalla nascita, e lasciarlo a qualcun altro. Qualcuno che avrebbe sempre portato una parte di lei con sé. Era vietato donare il proprio potere da quando l’assemblea degli anziani lo aveva reputato “pericoloso”. Lei non ne sapeva molto, ma era certa che quella decisione fosse stata influenzata da una Leggenda annunciata molti anni prima; trasgredire a quella decisione andava contro a una delle più importanti leggi dei Nāyaka, il suo popolo, ma in quel momento poco le importava di disubbidire. Di certo non avrebbero potuto farle niente di peggio rispetto a quello che aveva intenzione di farle lui. Quindi era deciso: invece di morire per mano sua – come gli altri prima di lei – abbandonandosi semplicemente al suo destino, decise di donare il suo potere e morire da semplice essere umano. Niente velocità o forza, niente resistenza… ma soprattutto, niente più controllo dell'aria… quel potere che aveva amato dal momento stesso in cui lo aveva scoperto, non avrebbe più fatto parte del suo spirito. Sapeva che, una volta abbandonato, il Dono sarebbe volato lontano e un’altra persona lo avrebbe accolto dentro di sé, mutandolo e adattandolo. Chissà, magari sarebbe stato capace di creare potenti fiamme o di parlare con gli animali… nessuno poteva saperlo.
Non c'era tempo da perdere. Si fermò dal suo inutile tentativo di sopravvivere e alzò le mani al cielo. Non sapeva come funzionasse, nessuno glielo aveva insegnato, ma era brava a improvvisare. Forse bastava il volerlo o concentrarsi completamente su di esso, fatto sta che quando il suo potere si divise da lei, quando il Dono lasciò il suo corpo, lei cadde a terra stremata. La forza che l'aveva accompagnata durante la corsa svanì, rimpiazzata solo dal dolore e dalla stanchezza. Era questo che sentiva: dolore. Non seppe per quanto tempo rimase a fissare il cielo nero prima che lui - e ancor prima i segugi – la raggiungessero…
La pioggia batteva a ritmo irregolare sul suo viso e quasi non si accorse di essere stata tirata su di peso.
“Eccolo”, pensò. “L’uomo che metterà fine alla mia vita”.
La guardava con i suoi occhi di ghiaccio, privi di emozione e calore. La fissò da capo a piedi con aria annoiata, come fosse un oggetto insignificante trovato lì per caso. Poi, un piccolo e terrificante sorriso spuntò sulle sue labbra. Non disse nulla, non ce n'era bisogno. Sapevano entrambi cosa sarebbe successo. I segugi, che avevano formato un cerchio intorno a lei, ringhiarono contemporaneamente. Lui fissò quello più vicino e aggrottò le sopracciglia in un misto di confusa raffinatezza. Il suo sorriso vacillò per un attimo, ma quando tornò a posare lo sguardo sulla ragazza, si ripresentò saldo e freddo come prima; nessuna emozione.
I suoi fedeli cani da caccia lo avevano avvertito che lei non aveva più quello che cercava, ma non sarebbe importato. Stava arrivando la fine, l'avrebbe uccisa comunque, ma almeno non avrebbe ottenuto quel che voleva… quel che voleva da tutti i Nāyaka: il loro Dono. Lui voleva il potere, voleva mettere il resto del mondo in ginocchio… e quale modo migliore di rubare il Dono più potente da ognuno di loro, e scagliarlo contro i suoi nemici?
I segugi ringhiarono ancora e si avvicinarono lasciando le impronte sulla fanghiglia, pronti ad attaccare, ma si fermarono e attesero l’ordine. Proprio quando lei pensò di essere pronta a morire, sentì la sua voce. Era fredda, distaccata proprio come si sarebbe immaginata e, nonostante si trattenne dal farlo notare, le fece venire i brividi lungo la schiena. «Suvvia, non è così che trattiamo gli ospiti» disse, guardando uno ad uno i suoi fedeli servitori a quattro zampe.
Poi posò i suoi occhi di ghiaccio sulla giovane donna e, sotto il suo sguardo, un dolore allucinante la travolse al centro della testa, irradiando scintille di strazio insopportabile per tutto il corpo. Infine fu solo buio.
Dal momento in cui il Dono fu liberato nell'aria cercò il suo nuovo corpo. Vagò, allontanandosi sempre più dal bosco, diretto verso l'unica persona da cui sarebbe potuto andare. Miliardi di individui nel mondo, eppure scelse lei, che non era forte o coraggiosa, affascinante o potente. No, niente di tutto questo. Sarebbe potuta passare per un'adolescente come un'altra, ma di certo non era niente del genere: il cuore era la reale ragione per cui venne scelta. Il suo cuore puro, che fra miliardi aveva attirato su di sé l’attenzione. Quando quella sera di novembre il Dono la raggiunse, non solo la vita di Alex cambiò per sempre, ma fu lo stesso anche per il resto dei Nāyaka.
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