Un intero romanzo sui giocatori di ruolo è qualcosa di raro, se non proprio unico al mondo. Perché ti sei imbarcato in un'opera del genere?
Ora è facile dire "perché non c'era." La verità è che La stanza profonda sgorga direttamente da Muro di casse: dopo aver provato a rendere giustizia, con lo strumento del romanzo, a una sottocultura negletta, demonizzata e spesso repressa, che invece era una importante avanguardia culturale, come quella dei rave party, è venuto naturale passare a quella dei giochi di ruolo. Apparentemente lontanissima dalla free tekno, ha invece in comune con essa la gratuità, la non competitività, l'obiettivo di creare "mondi altri" e lo stigma sociale – ancorché di diverso tipo – che l'ha accompagnata.
Nel corso del romanzo sei riuscito a toccare pressoché tutte le cose importanti da dire rispetto al gioco di ruolo: il primo regolamento di Gary Gygax e la formazione aziendale, il clima da "caccia alle streghe" col sospetto di induzione al suicidio e il legame che i giochi di ruolo hanno con i MMORPG e i videogiochi attuali da milioni di utenti. Ti immagino con una corposa checklist che man mano hai depennato via via che inserivi questi elementi nel romanzo. Sbaglio?
Sì, è andata proprio così, anche se non subito. Prima c'era da buttare giù un po' di vicenda, far ingranare il romanzo per capire se era fattibile, se poteva sgorgare. Quando ho avuto tre o quattro scene davanti – sicuramente la prima discesa nella stanza del protagonista, uno dei giri nella provincia desolata, l'arrivo degli sbirri – ho fatto documentazione, scaricando gli ebook di tutti i saggi esistenti sui GdR e da lì ho cominciato a stilare una lista di "issues" da toccare, provando a essere più completo possibile. Via via che scrivevo, la lista invece che diminuire aumentava, perché mi rendevo conto di quanti temi cruciali toccassero i giochi di ruolo. Alla fine ho ne ho anche omessi alcuni, come le varie interpretazioni psicologiche della pratica ruolistica, per evitare che la troppa teoria annacquasse il romanzo e la prospettiva storica, che era quella che mi interessava maggiormente esplorare.
Ritieni di aver scritto un romanzo generazionale, un po' come la serie Stranger things all'italiana? Fra 20 anni sarà incomprensibile?
Credo, e spero, di no. Vedo che dieci anni dopo Gli interessi in comune, il mio romanzo d'esordio, che alcuni definirono, pure, generazionale, è ancora letto, citato, cercato. Cerco sempre di partire da un campo minore, che sia una sottocultura o un preciso momento storico, per cercare di arrivare a un discorso più ampio.
C'è nel romanzo uno scambio di battute apparentemente veloce e che invece ho trovato particolarmente denso: i giochi di ruolo sono un rito per entrare nell'età adulta? O sono un rito per allontanarla? La tua risposta qual è?
La penso un po' come i miei personaggi: se da un punto di vista strettamente sociologico i giochi di ruolo sono più un rito che un gioco (così come, facendo un riferimento al libro da cui è sgorgato questo, ovvero Muro di casse, i rave sono più un rito che intrattenimento), dall'altro lato non è ovvio stabilire quale sia lo scopo di questo rito: lo scopo visibile ovviamente è divertirsi; quello latente creare mondi altri, il che può a sua volta avere vari scopi, sia di aderenza – si sperimenta onde, poi, diventare adulti – che di distacco – si sperimentano realtà altre proprio perché ormai, da adulti, si è incanalati in una realtà precisa.
A proposito di rapporto fra reale e virtuale, in più di un’occasione tracci dei parallelismi tra le “schede del personaggio” dei giochi di ruolo e il profilo social media, che è la parte di noi che decidiamo di interpretare. La distinzione reale/virtuale ha ancora senso?
Sicuramente è cambiato il peso che ha il "virtuale" nelle nostre vite, e appena questo peso cambia non è più così certo che si possa parlare di virtuale. Mi affascinava molto, e ho cercato di riflettere su questo nella Stanza profonda, il fatto che già negli anni '70, con strumenti del tutto analogici come matite, schede e dati, si potessero creare "campi d'azione virtuale condivisa" come quelli delle campagne dei giochi di ruolo. Quando Gygax e Arneson idearono Dungeons & Dragons volevano solo creare una variante dei wargames, invece diedero vita a qualcosa di avanguardistico, che è andato ben oltre le loro stesse previsioni e ambizioni.
Intrecciati al tema dominante dei giochi di ruolo ci sono, in modo più nascosto, altri spunti, come l’evoluzione della periferia urbana in termini di urbanizzazione e immigrazione (memorabili i ragazzini di Agarthi). Come mai questa irruzione del reale?
Mentre scrivevo La stanza profonda realizzavo di star raccontando anche un arco temporale di trent'anni, dato che nella prima parte abbiamo il protagonista che per dieci anni cerca, invano e tra varie peripezie, un gruppo per giocare, e poi, nella seconda, la storia del gruppo della "stanza profonda" che gioca per vent'anni intersecandosi a vari eventi della storia dei GdR. È venuto naturale riflettere su come fosse cambiata la provincia italiana, dove tali eventi erano ambientati, in tutto questo tempo, e di fronte ai fatti – una desertificazione che è il frutto del passaggio prima da uno scenario rurale a quello industriale, e poi da quello industriale a quello postindustriale senza essere riusciti a reinventarsi in alcun modo – ho capito che da lì sarebbe sgorgata la seconda linea tematica del romanzo. Mi interessava la contrapposizione tra i mondi – immaginari – creati nella stanza con sempre maggiore pregnanza e dettaglio, e il mondo – reale – che invece andava dissipandosi là fuori; anche da questa riflessione è nata l'idea di usare la Wasteland di Eliot come ulteriore leitmotiv interno al libro.
A proposito… chiudi il romanzo con una citazione di Dostevskij sul fatto che si diventa vecchi perché si abbandona il tavolo da gioco (e non il contrario). Tu giochi ancora?
In realtà è una traduzione di Dostoevskij tratta da Kata Kumbas: era l'epigrafe finale di quel manuale e mi aveva sempre affascinato, come altre cose di quel gioco, per la naturalezza con cui mescolavano contenuti "alti" (ricorderei anche lo spessore iniziatico di quel gioco) con un fantasy invece scanzonato.
Ho smesso di giocare, dopo vent'anni consecutivi più un'altra decina di gioco sparso nell'infanzia e nella prima adolescenza, cinque anni fa, quando gli impegni lavorativi legati all'attività letteraria sono diventati totalizzanti. Ogni tanto scatta un piccolo revival.
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