Siamo a Tokyo, durante un'apparentemente normale giornata. La guardia costiera è impegnata ad investigare attorno ad un misterioso yacht abbandonato nella Baia, quando qualcosa sembra fare capolino dagli abissi e attacca la nave che, di lì a poco, affonda. Dopo le prime indagini, secondo il Vicecapo Segretario del Gabinetto del Giappone Rando Yaguchi, sembrerebbe accertato il fatto che l'attacco sia avvenuto ad opera di una creatura vivente. L'incredibile ipotesi, inizialmente ignorata, trova effettivo riscontro quando i notiziari mostrano una enorme coda venire fuori dall’oceano. Qualche istante dopo un' immensa creatura raggiunge la costa distruggendo qualsiasi cosa incontri sul suo passaggio mietendo vittime ad ogni passo e accumulando danni irreparabili.
In seguito al rilevamento di forti livelli di radiazioni, si pensa che la creatura assorba energia dalla fissione nucleare e gli USA mandano Kayoko Ann Patterson a rivelare gli studi di Goro Maki, zoologo caduto in disgrazia, che aveva teorizzato l'apparizione del mostro, frutto di terribili mutazioni genetiche dovute alle contaminazioni radioattive. Si viene quindi a scoprire che lo yacht abbandonato apparteneva alla studioso, che lo aveva lasciato lì prima di suicidarsi, con i documenti relativi alla sua ricerca.
Il mostruoso essere, chiamato adesso Godzilla, continua ad evolversi diventando sempre più grande, forte e inarrestabile. Attaccato in una mossa combinata, assieme da forze USA e Giapponesi, Godzilla entra in uno stato d'ibernazione, dopo aver esaurito le forze.
Prelevati alcuni frammenti di dna dalla bestia, Yaguchi e il suo team iniziano a lavorare sulla possibilità di congelare la bestia usando un'agente coagulante presente nel suo sangue.
Una volta che l'animale riprende le sue funzioni vitali, alcuni uomini vengono incaricati di somministrare il coagulante e anche se molti moriranno nell’impresa. Godzilla, alla fine, è sconfitto.
Hideaki Anno è una di quelle tipiche persone che non lasciano indifferenti. C’è chi lo detesta e c’è chi lo venera, ma l’atteggiamento più comune (soprattutto tra i sui fan) è di odiarlo e amarlo insieme. Nel bene e nel male, però, anche i suoi critici più severi non possono evitare di essere sopraffatti dalla sua principale caratteristica: la necessità di comunicare. Anno ha un’urgenza incontenibile e insopprimibile di dialogare con gli altri, ed essendo un artista per farlo usa le sue opere. In tutti i suoi lavori ci vuole sempre dire qualcosa, non ci vuole convincere su una tesi o ingannare su un argomento, ci vuole solo dire qualcosa. A volte questa urgenza assume dei toni narrativamente così potenti da perforare gli occhi e il cuore dello spettatore, in particolare nelle sue opere più drammatiche, ovvero Punta al Top! GunBuster e Neon Genesis Evangelion, con le iconiche scene della morte di Smith o dell’orto di cocomeri. Ma ci sono due scene, sempre tratte dalle stesse serie, che rappresentano probabilmente i culmini dell’epos di Anno: la prima è la discesa su Giove per attivare la bomba BM-III, la seconda è l’Operazione Yashima per sconfiggere l’angelo Ramiel. Entrambe queste scene, di una potenza narrativa sconvolgente, hanno le loro radici in un film giapponese del 1954: Gojira. Queste scene hanno così tanti punti di contatto con Gojirada farle apparire come sue dirette discendenti: il bianco e nero, la foschia, la calata negli abissi, l’attivazione della bomba e la sua stessa forma, le linee verticali e il sacrificio nella prima scena, e le batterie di cannoni, il nemico gigantesco, l’avanzare lento, la distruzione della città, il raggio di fuoco, i piloni elettrici e i cavi dell’alta tensione nella seconda. Nessuna novità: Anno è un grande fan della saga di Godzilla.
Avendo interrotto la lavorazione di Rebuild of Evangelion, Anno si è potuto permettere di convocare il suo staff abituale anche in questa produzione: con il design di Mahiro Maeda, la supervisione agli effetti speciali di Shinji Higuchi, le musiche di Shiro Sagisu, la produzione artistica dello Studio Khara, Anno per Shin Godzilla ha rimesso insieme la squadra di Neon Genesis Evangelion. Il risultato è un film così stilisticamente simile a Evangelion che se prima la campagna di marketing Godzilla vs. Evangelion appariva semplicemente come un gioco, adesso che il film è uscito sembra una possibilità assolutamente concreta. Dopo la première cinematografica a invito tenutasi il 25 luglio 2016, alcuni critici giapponesi hanno scritto in anteprima delle recensioni per le loro testate: erano tutte più che entusiastiche, addirittura il giornalista di RO69 ha gridato al «capolavoro senza precedenti» seguito da svariati punti esclamativi. I commentatori occidentali, pur non avendo visto la pellicola, sono stati più moderati, ritenendo che probabilmente l’entusiasmo dei giapponesi è, appunto, dei giapponesi, i quali vedono in questo film qualcosa di eclatante per loro e solo per loro, e molto più «noioso e politicizzato» per il resto degli spettatori mondiali. Come al solito, la verità sta nel mezzo. Da un lato il film è assolutamente spettacolare sotto moltissimi aspetti, e visivamente è un instant classic, col suo uso straordinariamente avvincente di tutte le tecniche possibili, dalla ripresa in IMAX al filmato di repertorio, ai video su YouTube. Al contempo, però, la sua fruizione per una platea internazionale è effettivamente difficile, inficiata da un uso continuo di vistosi simboli e astruse metafore, nonché dalla scrittura estremamente verbosa: il film è totalmente parlato dal primo all’ultimo minuto, e a schermo appare una quantità inimmaginabile di scritte, sia didascalie sia materiali che i personaggi leggono. Per rendere l’idea, il copione del film è lungo 244 pagine, cioè oltre il doppio della dimensione standard per un film da due ore.
Al contrario degli statunitensi che ormai investono tutto sulla CG (computer graphic) arrivando a risultati grotteschi girati interamente in green screen,i giapponesi amano ancora la manualità, esemplificata dall’origami della gru rossa: nonostante sia stato ovviamente usato il computer per alcune scene tecnicamente difficili, nella maggior parte del tempo Godzilla è vero. È palesemente un costume di gomma addosso a un attore, o un pupazzo di plastica manovrato da un marionettista, o un robot in animatronics, certo, ma è fisico, è tangibile, e questa sensazione traspare totalmente attraverso la pellicola comunicando allo spettatore un senso di inquietudine intima e primordiale.
La scrittura di Shin Godzilla è di una ricchezza straordinaria. Praticamente ogni elemento del film è imbevuto di significato, aspetto che oggettivamente lo appesantisce, ma al contempo lo rende anche estremamente affascinante. D’altrondeGodzilla è sempre stato una allegoria della condizione attuale del Giappone, fin dal primo film del 1954 caratterizzato da quello che era il tema principale di quel periodo, ovvero la forte paura verso il nucleare. Questo nuovo film non fa eccezione, e oltre ai significati legati al nuovo, al divino, al reale e all’avanzare.
Anno ha intrecciato nella sua sceneggiatura almeno tre livelli di lettura simbolica del film.
Il primo significato è quello più evidente, colto anche dai recensori stranieri: la macchina burocratica e la sua pesantezza di fronte alle questioni militari. In un film composto per oltre un terzo da riunioni, tavole rotonde e trattative diplomatiche, è facile cogliere le critiche di Anno alla lentezza della burocrazia giapponese, caratterizzata da un formalismo e una rigidità irritanti e ben superiori alla pur criticata controparte italiana. Ancora di più l’inefficienza si nota al confronto con le potenze straniere e di fronte all’eventualità militare: il discorso di Anno è ambiguo, né pro-militarista né anti-militarista, e sembra voler aprire un dibattito con lo spettatore, soprattutto in un periodo in cui il Giappone sta riflettendo se modificare la Costituzione in tema di Difesa. Il secondo aspetto è quello colto maggiormente dai giapponesi e sottolineato di più sui media e nelle interviste con attori e registi: il rapporto fra Shin Godzilla e il terremoto del Tohoku del 2011. Le immagini delle barche accatastate, dei palazzi crollati, delle distese di macerie, delle tegole che sobbalzano, persino delle mappe coi livelli di radioattività, sono ricostruzioni estremamente vivide della distruzione post-terremoto, tsunami e incidente alla centrale nucleare 1F.
Forse, però, l’elemento simbolico più interessante è il terzo livello di lettura, ovvero il legame della trama con la storia giapponese: ci sono tantissimi elementi storici che emergono qua e là e che Anno ha rielaborato in forma metaforica nella sceneggiatura. Ad esempio, l’arrivo di Godzilla dalla baia di Kamakura è estremamente significativo, perché l’antica città di Kamakura è il luogo dove dal 1185 installò la sua sede lo shogun, cioè il generalissimo durante il Medioevo giapponese, praticamente il dittatore militare della nazione e re della guerra, e quindi di morte e distruzione: parallelismo immediato con Godzilla. Allo stesso modo, nel 1274 e 1281 gli invasori mongoli attaccarono due volte il Giappone dal mare, proprio come l’invasore Godzilla attacca due volte il Giappone dal mare. Tokyo è stata incendiata svariate volte, fra cui nel 1923 dopo il celebre terremoto del Kanto (lo stesso di Si alza il vento), e ancora oggi ha il soprannome di “città delle fiamme”.
Oltre agli avvenimenti storici, poi, numerosi sono i rimandi alla cultura giapponese, e spicca in particolare il cambio d’abito dei membri del governo. Dopo aver passato i primi venti minuti del film a discutere in giacca e cravatta in stanze silenziose, i ministri indossano una tuta e passano all’azione: non è solo un cambio d’abito, è un cambio di ruolo, di funzione e di atteggiamento mentale in un paese in cui, nel 1615, lo shogun Tokugawa Ieyasu varò delle leggi in cui imponeva quali vestiti e quali colori poteva o non poteva indossare ogni classe sociale. In Giappone l’abito fa il monaco.
Considerando che la sceneggiatura è stata scritta da Anno in persona, trovare gli attori giusti a cui farla interpretare era basilare per la riuscita del film, esattamente come in un cartone animato il character design si rivela un aspetto decisivo per la riuscita dell’opera, inoltre, non è possibile non tracciare dei parallelismi con le sue opere precedenti, e in particolare Evangelion. Ecco quindi che in Shin Godzilla gli unici tre personaggi femminili del cast sono identici in tutto ai tre personaggi femminili dell’anime del 1995. Il Ministro della Difesa (interpretata da Kimiko Yo) è una donna adulta e volitiva che si chiama Reiko Hanamori, che letteralmente vuol dire “Reiko del bosco di fiori”, di nuovo un nome romantico e floreale come per Misato Katsuragi, ovvero “Misato del castello di kudzu", personaggio con cui condivide totalmente il carattere oltre al ruolo militare.
L’inviata del Presidente degli USA è Kayoko Ann Patterson, di nuovo un nome triplo metà giapponese e metà straniero per un personaggio da madre giapponese e padre straniero, proprio come Asuka Souryuu Langley, a lei molto simile: bellissima ragazza (l’attrice è la splendida Satomi Ishihara) sempre perfettamente curata, vestita e truccata, è convinta di avere ragione e di essere migliore degli altri, e pronuncia la battuta più frivola del film, «dov’è Zara?», perché è stata spedita in Giappone in fretta e furia mentre era a un party, senza fare la valigia, e non ha altri abiti oltre al minidress da cocktail blu notte con cui fa la sua prima vivace apparizione (complementare a quello giallo con cui Asuka fa la sua prima vivace apparizione). Inoltre, il nome del personaggio è similissimo a quello dell’americana Jodi Ann Paterson, modella e playmate: non può essere un caso. Infine, il personaggio migliore del film: Hiromi Okashira, la funzionaria del Ministero dell’Ambiente interpretata da Mikako Ichikawa, con il suo caschetto corto mal pettinato e il viso completamente struccato con tutte le imperfezioni esposte in primo piano, sempre silenziosa, sempre ligia al dovere, sempre seria meno per un singolo piccolo sorriso alla fine: è palesemente Rei Ayanami. Alla Ichikawa, che forse regala anche la performance attoriale migliore del film, è affidata la battuta più importante della sceneggiatura, in purissimo stile Anno: «non siamo forse noi esseri umani ancora più spaventosi di Godzilla?»
Oltre a queste tre importanti donne, gli uomini sono meno interessanti: al contrario dei personaggi femminili molto simili alle loro corrispettive di Evangelion, lo Shinji Ikari e il Ryouji Kaji della situazione sono i loro esatti opposti, il primo combattivo e sempre in prima fila per sconfiggere il mostro, il secondo freddo e demotivante (rispettivamente interpretati da Hiroki Hasegawa e Yutaka Takenouchi). Gli altri, ministri e funzionari e impiegati e militari vari, formano una sorta di coro greco di voci che mandano avanti l’atmosfera del film, ma non la trama.
Eppure, nonostante il forte nazionalismo parte vero e parte satirico (“Giappone” e “questo Paese” sono le parole più pronunciate), nonostante la prolissità, e nonostante la scarsità di scene d’azione che lo pongono ai limiti del genere action di cui dovrebbe far parte, nonostante tutto Shin Godzilla non può non essere uno dei film dell’anno: per la sua qualità tecnica, per l’importanza del franchise, per la bellezza, per la forza, per il messaggio.
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