- Vecchi dèi e nuovi mondi
- Problemi di memoria
- Il Cristianesimo ha qualcosa a che fare con tutto questo?
- Ma solo gli dèi soffrono di dimenticanza?
- Bibliografia minima
La letteratura fantastica sembra chiedersi da tempo, con tono più o meno ironico, quale sia il posto nel mondo che le antiche divinità pagane possono (o potrebbero) occupare oggi: e la risposta non è, in genere, molto positiva.
Il fantasy moderno e, in generale la letteratura fantastica, sono ricchi di dèi, semidei, figure mitologiche e mostri più o meno inventati, a cui gli autori si riferiscono con toni anche molto diversi tra loro: i personaggi divini possono essere oggetto di un ammiccamento ironico, come il vecchio dio Aldur che vaga su un carretto, o il più giovane Belar, costantemente ubriaco e circondato da belle ragazze, nel ciclo del Belgariad di David Eddings; il bizzarro Fizban, in Dragonlance di Margaret Weis e Tracy Hickman, è un dio, o ricorda di esserlo stato, una volta diventato Zifnab nel Ciclo di Death Gate degli stessi autori. Altrove, la divinità è intesa con una maggiore venerabilità o religiosità, come accade nelle varie opere del complesso Cosmoverso di Brandon Sanderson.
Un posto di riguardo, tuttavia, spetta a quelle divinità che non sono nate all’interno della fantasia di un autore, ma che derivano da un (vero) sistema religioso e si sono ritrovate (forse loro malgrado) come personaggi di libri di narrativa moderna.
Vecchi dèi e nuovi mondi
La modernità non sembra mettere gli dèi antichi a proprio agio: Percy Jackson ci presenta uno Zeus in completo gessato, un Poseidone in camicia hawaiana e un Ares in versione motociclista, apparentemente integrati nel passaggio dal loro mondo al nostro, ma questo caso è più unico che raro. Gli autori di fantastico sono in genere concordi: agli dèi il nostro mondo non piace più di tanto.
Neil Gaiman dedica un intero libro a questo tema: in American Gods (recentemente adattato in una serie tv), le divinità, appartenenti a mitologie di varie culture (o inventate dall’autore), affrontano una vera lotta contro la sopravvivenza. E questa volta il cattivo contro cui devono scontrarsi è più forte di qualunque loro nemesi mitologica, perché non combatte contro di loro ad armi pari: il problema fondamentale delle divinità, osserva l’autore nelle parole di uno dei personaggi, Whiskey Jack, è che gli dèi muoiono quando vengono dimenticati
(p. 457).
Il tema che Neil Gaiman mette in gioco in questo libro non è certamente una novità: dopotutto, già Plutarco, un autore del I sec. d.C., raccontava della morte del grande dio Pan. Nel 1600, Alessandro Tassoni aveva messo in scena, nel suo La Secchia Rapita, un Saturno decrepito, che non sembra godere più di tanto della sua immortalità. Nel poema eroicomico francese di fine ‘700 La Guerra degli dei di Évariste Parny, l’invecchiamento colpisce gli dèi più nei loro poteri che nel loro aspetto fisico: l’argomento sembra prestarsi bene al tono comico e ironico.
Ma con l’emergere dell’interesse per il folklore locale, nel primo Romanticismo, la necessità di dare dignità alle tradizioni popolari non permette l’utilizzo dello stesso intento dissacrante e ironico delle opere che, nei secoli precedenti, hanno preso di mira gli dei del pantheon greco e romano. Nell’Ottocento, il mito, soprattutto non classico, è una presenza inquietante, come dimostra Sheridan Le Fanu, che mette in scena il fantastico irlandese in una raccolta di racconti, In a Glass Darkly, in cui la presenza di un investigatore dell’occulto, il dottor Hesselius, anticipa molti elementi del contemporaneo genere del thriller soprannaturale.
L’unione tra i due filoni narrativi, ironico e grottesco da un lato, gotico (per non dire horror) dall’altro, è legata alla figura di Jean Ray, che recupera anche l’uso del mito classico, ma in una veste più drammatica: nel suo Malpertuis, la dimora che dà il titolo al romanzo, e che terrorizza il protagonista Jean-Jacques, è abitata (tra gli altri) da quello che rimane degli antichi dei, che in forme dissacranti sono sottomesse alla volontà di un occultista umano e rinchiusi in corpi che li intrappolano come sacchi. Così, la sposa di Zeus, Era, è dipinta come una vecchia quasi cieca e il titano Prometeo è una creatura scheletrica e orribile: al contrario, una delle Gorgoni si rivela come una delle pochissime divinità ad aver conservato la propria bellezza, in evidente contrasto con il mito originario.
Malpertuis descrive chiaramente lo stato in cui si trovano gli antichi dèi: gli dei devono la loro esistenza alla fede degli uomini. Se questa fede viene a mancare gli dei muoiono. Ma questa fede non si spegne con un soffio come la fiamma di una candela: si accende, arde, irradia luce e agonizza. Gli dei vivono di essa, da essa traggono la loro forza e il loro potere, addirittura la loro forma
(p. 283). Sull’idea della mortalità degli dèi può aver influito la fortuna della mitologia nordica, le cui divinità, a differenza di quelle greco-romane (che possono al massimo essere scaraventate nel Tartaro, o fatte a pezzi) possono morire a tutti gli effetti (anche l’Osiride egizio muore, ma ha un posto prenotato negli Inferi come sovrano).
Alcuni tra gli autori contemporanei preferiscono riprendere il tono ironico e grottesco e trattare la questione con tono leggero e scherzoso: così nel terzo volume delle Kane Chronicles, L’ombra del serpente, Rick Riordan (l’autore della serie di Percy Jackson) descrive un ospizio per vecchie divinità (egizie) che, dimenticate dal mondo e dai loro fedeli, lentamente svaniscono, perché non hanno più motivo di esistere, salvo poi riprendere vigore quando finalmente il mondo sente nuovamente bisogno di loro.
In American Gods, il tema è trattato in maniera molto più approfondita e con un’ironia evidente ma graffiante: gli dèi antichi, di qualunque mitologia, sono contrapposti agli dèi moderni, creati dalla fede nella possibilità di volare, di spostarsi ad alta velocità, di illuminare qualunque ora del giorno, in una lotta all’ultimo sangue per la sopravvivenza. I vecchi dèi si sono indeboliti perché non ricevono più il nutrimento, che può essere offerto in forme molto diverse, dal sacrificio, alla preghiera, al sangue dei morti in battaglia: un’idea trasversale, che sembra riprendere la conclusione di Malpertuis, ma che ritroviamo, per esempio, anche nell’italiano Luca Tarenzi, nel suo God Breaker. Se la morte degli dèi è un’ipotesi antica, altrettanto vecchio è il legame inestricabile tra la dimenticanza e la fine dell’eternità divina, ben chiaro in Malpertuis e in American Gods.
Problemi di memoria
Quello che è evidente in tutte le opere, più o meno ironiche, è dunque l’inadeguatezza dei vecchi dèi al nostro mondo: nella serie dedicata all’investigatrice dell’occulto Meredith Gentry di Laurell K. Hamilton, lo sforzo di adattamento delle corti di Faerie alla modernità segna il limite tra chi può sopravvivere (la dea della fama Concheen si ricicla come diva di Hollywood) e chi è destinato a sparire.
Tuttavia, questo può non essere sufficiente a garantire la sopravvivenza degli dèi, nuovi o vecchi che siano: come osserva ancora Neil Gaiman, l’America, e forse il mondo moderno in generale, non sono adatti agli dèi. Nelle parole di Shadow, il protagonista di American Gods, i vecchi dèi vengono ignorati. I nuovi sono accolti e subito dimenticati per essere sostituiti con quello che viene dopo
(p. 476). Anche le divinità di nuova creazione possono essere superate, come accade al dio del treno, anacronistico in confronto alla divinità che deriva dalla fede nella possibilità dell’uomo di volare. Gli dèi, osserva ancora Shadow, dipendono dal capriccio della gente.
La lezione di Malpertuis è stata ben recepita da Gaiman, si direbbe: il rapporto di dipendenza non lega gli uomini agli dèi, ma lavora esattamente al contrario. La responsabilità infatti ricade proprio sulle persone, secondo Shadow: è così che fanno gli uomini. Credono. E poi non si prendono la responsabilità della propria fede; evocano le cose e non si fidano delle evocazioni. Popolano le tenebre di spettri, dèi, elettroni, storie. La gente immagina e crede: ed è questa fede, questa fede solida come la roccia che fa accadere le cose.
L’idea qui espressa da Gaiman era già stata sviscerata in una trilogia molto particolare, il Ciclo del Sole Nero di C.S. Friedman, pubblicata tra il 1991 e il 1995, al limite tra fantasy, horror e fantascienza: in questi libri, ambientati in un mondo chiamato Erna, posto sul limite della nostra Galassia, la scrittrice ipotizza che la forza che pervade il pianeta, il fae, sia in grado di dare forma fisica a ciò che l’uomo crede e teme. Gli dèi, in questo caso, sono (almeno in parte) creati dagli uomini al loro arrivo su Erna, ma anche qui perdono la loro forza e il loro potere se dimenticati e possono quindi agire sugli umani per riappropriarsi di ciò che stanno perdendo. Il potere della fede degli uomini, incanalato in una chiesa che unisce tutti gli abitanti (umani) del mondo può arrivare a creare i concetti stessi di Dio e di demone, passando da una religione di tipo politeista a un monoteismo, non fondato da un Dio, ma da un uomo che intende creare un Dio.
Il Cristianesimo ha qualcosa a che fare con tutto questo?
Nella trilogia del Sole Nero, ciò che minaccia le vecchie divinità di Erna è una religione modellata (consapevolmente) sul Cristianesimo: il culto della Chiesa, intollerante nei confronti delle divinità politeiste, priva dei fedeli gli dèi e così facendo li indebolisce. Anche in questo caso, l’idea espressa da C.S. Friedman non è nuova: i filosofi pagani, soprattutto i neoplatonici, hanno sostenuto che il Cristianesimo sia responsabile della sparizione degli antichi dèi nei primissimi secoli di diffusione del culto cristiano.
Nella già citata Guerra degli Dèi di Parny, Zeus dichiara guerra proprio contro i cristiani, visto che il Dio cristiano ha cacciato gli dèi dal cielo e quindi dall’Olimpo: alla fine della guerra, sconfitti, gli antichi dèi saranno costretti a ritirarsi sul monte Parnaso, un luogo tutto sommato accogliente rispetto a quello che tocca ad altri loro corrispettivi letterari. Spesso, infatti, agli antichi dèi è concesso solo uno spazio in rovina, sinistro e fatiscente, come accade in Malpertuis, un luogo che lega quindi gli antichi dèi all’identificazione con esseri maligni, demoni o il diavolo stesso. Se gli uomini vogliono raggiungere gli antichi dèi, sono costretti ad affrontare dei labirinti, che simboleggiano il viaggio di iniziazione necessario per l’accesso al sacro: lo vediamo succedere, nella consueta forma leggera e ironica, per il Labirinto di Dedalo nella serie di Percy Jackson.
Se a volte, dunque, il Labirinto è un luogo fisico, in altre occasioni la distinzione tra i due mondi, quello degli dèi pagani e quello del Cristianesimo, è rappresentata da una barriera magica, che assomiglia a un labirinto le cui barriere non sono però visibili: è questo il caso delle Nebbie che avvolgono l’isola di Avalon nella serie a essa dedicata da Marion Zimmer Bradley. Nelle Nebbie di Avalon, primo libro del ciclo a essere pubblicato, il lettore scopre che per accedere all’isola è necessaria un’iniziazione e che solo le Sacerdotesse possono valicare il limite tra i mondi che separa Avalon dall’Ynis Witrin, su cui è presente una chiesa cristiana.
Lo scontro tra le due civiltà, celtica e romana e, soprattutto, tra il culto della Dea e il culto cristiano, raggiungono il loro culmine nel secondo volume, Le Querce di Albion, ma è nel terzo libro, La Sacerdotessa di Avalon, che il distacco diventa fisico: attraverso il sacrificio di un ibrido tra le due culture, il giovane Gawen, la Avalon fisica viene staccata dal mondo reale, e diventa accessibile solo tramite l’evocazione di un iniziato. Nel momento in cui il culto della Dea verrà dimenticato nel mondo ordinario, l’isola perderà ogni contatto con esso, sfumando quindi in leggenda.
Ma solo gli dèi soffrono di dimenticanza?
L’incapacità di adattarsi a un mondo in cui gli dèi non sono più (apparentemente) richiesti sembra dunque il motivo per cui essi progressivamente scompaiono e, di conseguenza, muoiono. La loro sopravvivenza può, però, essere garantita in qualche modo, venendo a patti con la nuova realtà. Così, nella Guerra degli dèi, alcuni dèi scelgono la resa pur di continuare a sopravvivere: il dio Pan decide di farsi battezzare e si riadatta come custode dei monasteri. In Gods Behaving Badly, di Marie Phillips del 2007, è il dio Eros che si converte al Cristianesimo. Anche nel momento in cui gli dèi riescono ad adattarsi alla modernità, il compromesso che devono accettare è per loro molto gravoso: spesso perdono il nome con cui erano conosciuti (un tema che ritorna con una certa frequenza nella serie della Hamilton) e in genere non sono più riconosciuti dagli esseri umani (come accade in American Gods).
Degli dèi rimangono nella memoria collettiva talvolta i nomi, talvolta le funzioni: è la loro essenza individuale ad assottigliarsi, perché modificata attraverso un passaggio continuo tra culture che si susseguono nel tempo e in spazi diversi. E forse, si può supporre, non sono solo gli dei a essere coinvolti in questo processo. Tutte le storie che li riguardano, i racconti del mito, potrebbero in qualche modo aver subito un processo simile?
Bibliografia minima
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Muriel Lafond, L’éternité c’est long…surtout vers la fin, in Mélanie Bost-Fiévet, Sandra Provini, L’Antiquité dans l’imaginaire contemporain: fantasy, science-fiction, fantastique, Paris, Classiques Garnier, 2014, pp. 437-450.
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Cecilie Flugt, Theorizing Fantasy: Enchantment, Parody and the Classical Tradition, in Brett M. Rogers, Benjamin Eldon Stevens, Classical Traditions in Modern Fantasy, Oxford University Press, 2017, pp. 47-62.
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Gary K. Wolfe, Fantasy from Dryden to Dunsany, in Edward James, Farah Mendleshon, The Cambridge Companion to Fantasy Literature, pp. 7-20
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Sarah Annes Brown, The Classical Pantheon in Children’s Fantasy Literarure, in Brett M. Rogers, Benjamin Eldon Stevens, Classical Traditions in Modern Fantasy, Oxford University Press, 2017, pp. 189-208.
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Jacques Van Herp, Aux Sources de Malpertuis, in Revue des lettres belges en langue française, 1997, pp. 217-223.
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Plutarco, De defectu oraculorum
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Alessandro Tassoni, La Secchia Rapita
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Évariste Parny, La Guerra degli dèi
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Rosalba Balsàno, Un Capolavoro dimenticato: Malpertuis, http://www.genovalibri.it/rubi_ferli/malpertuis.htm.
(tutte le citazioni dal testo di American Gods sono tratte dall’edizione Piccola Biblioteca Oscar Mondadori, 2003 e sono opera del traduttore Katia Bagnoli; la citazione da Malpertuis, tratta dall’edizione Urania 2016, è opera di Marianna Basile)
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