1. Il corvo era nero
Il corvo era nero.
L’occhio del corvo ancor più nero, se possibile. Un pozzo cui affacciarsi e cadere.
Uno specchio di minuscola tenebra che rifletteva l’anima del mondo: la brughiera d’erica con i suoi umidi bagliori violacei; la nebbia ipnotica che risaliva il pendio; il cielo che cedeva a malincuore il proprio azzurro alla notte incombente.
Anche nell’occhio di un corvo, si meravigliò Thomas, era possibile trovare la bellezza necessaria a scaldare il cuore in una giornata come quella. E la bellezza, rifletté, sedeva tranquilla accanto alla morte.
Il corvo mosse il capo con uno scatto repentino, spezzando il corso sognante dei suoi pensieri. Altrettanto rapido, l’uccello infilò il becco tra la carne ormai fredda dell’uomo che giaceva nella brughiera, strappandone un pezzo grande quanto un pollice. Mentre ingoiava il boccone livido, sembrò fissare Thomas a sua volta, con lo stesso acuto interesse.
Un brivido corse lungo la schiena del ragazzo, che si strinse più forte nella pelliccia di montone. Non aveva paura dei morti. I morti erano oltre le Stagioni, non potevano più nulla: questo era quel che diceva suo padre, e lui credeva tanto alle sue parole, quanto ai suoi pugni duri e callosi. Ma c’erano le storie e c’erano i canti, ed entrambi dicevano che nell’Autunno vi erano più cose di quel che un uomo potesse immaginare: spiriti, ad esempio. E corvi che non erano solo corvi. Thomas credeva a quei racconti forse più che ai pugni di suo padre. I pugni erano duri, ma era stata sua madre a raccontargli le storie e tramandare i canti.
E questo corvo era strano.
Affondava i suoi artigli nel petto dell’uomo e tuttavia sembrava non perderlo di vista, come se l’uccello avesse qualcosa d’importante o urgente da comunicargli. Naturalmente non diceva nulla, si limitava a strappare pezzi di carne fredda dal cadavere che irrigidiva tra l’erica. Non esprimeva alcun timore, al contrario di Thomas; anzi, esibiva una malcelata arroganza nella propria determinazione. Forse era quel banchetto succulento a renderlo sfacciato.
Oltre al corvo e a Thomas, c’erano altri cinque uomini nella piccola valletta riparata. Quattro, se si escludeva il ragazzo che ora giaceva a faccia in giù nella terra umida, la schiena squarciata dall’ascia di suo padre fino all’osso. Tre, se non si voleva contare il vecchio, ma il vecchio aveva combattuto bene, e non aveva gridato quand’era caduto. Né aveva implorato pietà mentre la spada di Sieg gli troncava di netto la mano che reggeva lo scudo. Aveva addirittura sputato, come a sfidarlo, prima che Cet gli facesse saltare la testa a qualche passo di distanza; un fendente che era parso quasi elegante nell’indifferenza del gesto. Thomas pensò che fosse giusto contarlo tra gli uomini.
Da alcuni dei corpi spuntavano monconi di frecce spezzate. Quelle buone erano state recuperate: ogni cosa era preziosa nell’Inverno. E comunque non era saggio lasciare tracce: i Lupi della Signora avrebbero potuto tenere a mente le modalità d’impennaggio e riconoscerne l’autore, per poi dargli la caccia in ogni angolo di Evo. Così almeno affermava Cet, anche se Cet era di gran lunga meno degno di fiducia dei pugni di suo padre o dei canti di sua madre.
I corpi erano stati denudati, lasciando in mostra le ampie ferite che ne avevano causato la morte. A Thomas non dava fastidio: il freddo della sera teneva lontano il puzzo di sangue, sudore e feci che l’agguato aveva lasciato sul campo. Anche l’imbrunire faceva la sua parte, confondendo i cadaveri ormai lividi, rendendoli simili a pallidi tronchi di alberi abbattuti da venti capricciosi. Sagome che si stagliavano scomposte lungo lo scabro pendio. In pace, ormai.
Del cruento, mortale agguato del pomeriggio, non vi era più traccia, se non nella passeggera testimonianza di quei resti che presto la terra avrebbe inghiottito.
Avevano tallonato il mercante e il suo seguito per ben tre giorni, tenendosi a debita distanza, lasciando che la vecchia Verga viaggiasse con loro, guadagnandosi la fiducia del gruppo, cucinando e stendendosi con quelli che non erano troppo schizzinosi, seminando tracce che Cet avrebbe potuto riconoscere.
Il pomeriggio del quarto, abbastanza lontani dall’ultimo villaggio in cui li avevano incrociati, Verga aveva acceso il fuoco per la cena del mercante, suo figlio e i tre guerrieri di scorta, usando stoppia bianca per alimentare le fiamme. In quel modo il padre di Thomas aveva saputo dov’erano accampati e che quello era un buon posto per l’imboscata, progettata appena la banda aveva messo gli occhi sul mulo del mercante e il suo carico.
Li avevano raggiunti in fretta, tenendo d’occhio l’accampamento a turno. Anche loro erano un piccolo gruppo: suo padre, Cet e Sieg, Auster col suo prezioso arco lungo, Farald il Vecchio e Cipolla, la figlia di Verga, che però non avrebbe preso parte all’agguato, come Thomas. Cipolla era la nuova donna di suo padre, da quando sua madre era morta, quasi un anno prima, e sapeva che lui non voleva rischiarla in una battaglia. Era giovane. Una donna giovane poteva dare altri figli: i figli erano importanti per un capo nell’Anello dell’Inverno. I figli erano discendenza: il proprio nome che sopravviveva al Dio delle Ombre.
Rohlaf non aveva che lui, che non era nemmeno sangue del suo sangue. Aveva preso la madre di Thomas all’uomo che era stato davvero suo padre, uccidendolo in una razzia nell’Autunno. Lei era già gravida, ma aveva deciso di tenere entrambi: anche le cose più piccole avevano valore nell’Inverno. Non era un cattivo padre; duro, certo, ma nelle lande nevose non potevi permetterti lussi come la gentilezza e, anche quando la madre di Thomas non aveva saputo dargli altri figli, non li aveva abbandonati o venduti. Se Thomas non ricordava né una carezza né un abbraccio da parte sua, supponeva che almeno quello significasse qualcosa. Non avevano mai avuto nemmeno troppa fame: Rohlaf era un capo e, come molti capi, sapeva sopravvivere. Sua madre gli aveva spiegato che un capo duro era molto meglio di un capo gentile ma debole.
Così Thomas era rimasto a guardare l’agguato steso tra l’erica, con Cipolla al fianco che trasmetteva un calore gradevole attraverso il corpo sodo e robusto, stringendosi a lui per carpire la sua parte di tepore. Se chiudeva gli occhi, poteva immaginare che fosse sua madre ad abbracciarlo, e quello era un buon pensiero.
Per questo non vide quando Verga, avvicinandosi di soppiatto a una delle due sentinelle, le tagliò la gola da parte a parte col coltello con cui stava pelando le patate. Il tizio andò giù con un rantolo gorgogliante che fece squittire Cipolla, strappandolo dal suo sogno. L’altro uomo di guardia cominciò a urlare, dando l’allarme, un dialetto gutturale che Thomas non seppe riconoscere ma fece balzare in piedi il resto degli uomini attorno al bivacco. Il mulo ragliò scartando, spaventato.
L’uomo che aveva gridato si precipitò contro Verga con la spada sguainata. Non fece tre passi che fu scaraventato a terra con la faccia nel fango, una freccia di Auster conficcata nella schiena.
Rohlaf attaccò in quel momento, scendendo di corsa il crinale con Cet, Sieg e Farald al fianco che urlavano a loro volta come ossessi, mentre Auster si precipitava, un’altra freccia già incoccata, dietro al mulo in fuga.
Thomas vide il ragazzo, alto e magro, quello che immaginava essere il figlio del mercante, stagliarsi in mezzo al campo. Un vecchio con lo scudo, diversi passi più indietro, gli gridava di raggiungerlo e nel frattempo si ergeva a guardia dell’uomo che l’aveva ingaggiato. Il ragazzo sembrava sordo o pazzo, perché Thomas lo vide avanzare in mezzo al bivacco, incurante dei richiami, la spada abbassata, all’apparenza troppo pesante per essere sollevata. Da quella distanza gli parve che stesse piangendo, o ridendo, o le due cose insieme.
Quando Sieg lo raggiunse, non rallentò nemmeno: lo colpì così forte con l’umbone dello scudo da farlo ruotare su se stesso. La testa gli rimbalzò all’indietro con violenza, e Thomas pensò fosse bastato quel colpo a ucciderlo. Suo padre invece volle andar sul sicuro piantandogli l’ascia dritta in mezzo alle scapole, fin quasi all’occhio del ferro, tanto da doversi arrestarsi e usare un piede come leva per liberarla dalla carne viscosa.
Mentre il ragazzo moriva, l’uomo con la freccia nella schiena si stava invece rialzando. La cotta di cuoio doveva averlo protetto in qualche modo, oppure Auster aveva centrato la scapola invece di qualche organo vitale. Sieg non gli diede il tempo di riprendersi, calando senza esitazione la lama contro il capo. Il cranio si spaccò con un rumore sordo, e l’uomo andò giù di nuovo, questa volta per sempre.
Tutti insieme circondarono il vecchio e il mercante.
Il vecchio sollevò lo scudo nella maniera corretta, come Farald aveva insegnato anche a Thomas. Doveva essere stato un guerriero capace in gioventù e si dispiacque per lui, ma quando infine cadde, lo fece con onore: il Dio Guerriero l’avrebbe accolto di sicuro tra le sue fila, oltre le Stagioni.
Il mercante alzò le mani, come se il gesto potesse in qualche modo indurre gli aggressori a risparmiarlo.
Rohlaf scosse la testa, mosse un passo in avanti, e sollevando l’ascia imbrattata di sangue la calò contro l’altro in un arco diagonale. La lama impattò tra spalla e collo, affondando in profondità nella carne, uccidendo l’uomo sul colpo.
Poi, come un vento che d’improvviso si placa, nell’Anello dell’Autunno calò di nuovo la quiete.
Cipolla era balzata in piedi correndo giù per il pendio, ridendo e battendo le mani incontro a Rohlaf, che si stava voltando nella sua direzione. L’ascia abbandonata lungo il fianco gocciolava sangue caldo sul terreno. Nessuno di loro era rimasto ferito e suo padre l’aveva presa al volo col braccio libero, baciandola con forza, stringendo la sua carne compatta e viva sotto le dita callose e il tessuto grezzo.
Gli altri stavano già frugando i cadaveri, compresa Verga; Auster ritornava reggendo la cavezza del mulo. Più tardi l’avrebbero ucciso e mangiato: qualcuno avrebbe potuto riconoscerlo e accusarli della morte del mercante, se l’avessero tenuto.
Nell’Inverno erano concessi pochi errori e nell’Autunno ancora meno, a gente come loro.
Thomas tornò a fissare il corvo e l’uccello smise di beccare, lasciando cadere un boccone mezzo divorato tra l’erica, sostenendo il suo sguardo.
Il brivido di un cattivo presentimento gli solleticò la schiena, ma gli altri erano partiti da un pezzo e lui non voleva rimanere indietro. Aveva voglia di mettere qualcosa sotto i denti.
Si fece coraggio e sguainò il coltello.
Il corvo non si mosse.
Thomas si avvicinò al cadavere. Avrebbe potuto spaventare l’uccello ma non gli parve una buona idea. C’erano cose lungo l’Anello dell’Autunno che non erano quel che sembravano, rammentò: forse il corvo era una di esse.
Con cautela affondò la lama tra la carne grigia, fino a incontrare la resistenza dell’osso della falange. L’anello che circondava il dito sembrava avere qualche valore, a suo padre avrebbe fatto piacere averlo. Spinse forte e l’osso si spezzò sotto l’acciaio, producendo uno schiocco secco che fece sobbalzare Thomas ma non il corvo.
Raccolse il dito, sempre sbirciando l’uccello nero che lo fissava a implacabile, e sfilò l’anello.
Il corvo, appollaiato sulla carcassa, piegò il capo: al ragazzo parve che sorridesse al suo indirizzo o lo schernisse. Poi spalancò le ali e Thomas cadde all’indietro.
– Ch-roho ah-sh! – gracchiò il corvo. – Ch-roho ah-sh! – ripeté.
Thomas lo fissò, spaventato.
In quel momento fu certo che il corvo si stesse rivolgendo a lui: non ebbe dubbi.
Invece l’uccello sbatté le ali un paio di volte e poi spiccò il volo, confondendosi ben presto col cielo dell’imbrunire.
Thomas s’infilò l’anello in tasca, si rialzò e corse via. Mentre scappava dal luogo dell’imboscata, rivolse una preghiera frettolosa alla Signora, anche se gli avevano detto che la sua protezione riguardava solo coloro che appartenevano agli Anelli dentro al Vallo, e non i reietti dell’Inverno. Magari, per questa volta, avrebbe chiuso un occhio, se lui l’avesse pregata abbastanza forte…
Quando raggiunse gli altri, la notte era scesa del tutto.
Li trovò accampati lungo le rive del Severn. Il profumo della carne di mulo che arrostiva sul fuoco gli fece ben presto dimenticare i morti, le sue paure e il corvo nero dallo sguardo implacabile.
Si addormentò accanto al fuoco, mentre Auster cantava una ballata lenta, lo stomaco sazio, convinto di godersi un buon sonno.
Invece si svegliò di soprassalto, nel cuore della notte, madido di sudore. Aveva sognato ancora il corvo nero. Solo che questa volta, quando l’uccello aveva lanciato il suo verso stridulo, appollaiato tronfio tra le costole esposte e biancheggianti del cadavere, Thomas ne aveva riconosciuto le parole. Roche e sgraziate, intrise dello sforzo di esprimersi nella sua lingua.
Non Ch-roho ah-sh! come aveva inteso nella brughiera. Ma Th-oho ah-sh! Th-oho ah-sh!
Thomas! Thomas!
Inorridito, rimase a fissare il cielo screziato da milioni di stelle acuminate.
Il cuore un tremante pugno di neve.
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