Ve lo abbiamo presentato qualche settimana fa e tuttora è uno degli articoli più popolari di FantasyMagazine. Alberto Dal Lago, illustratore italiano e uno dei sette Lords che da due anni danno vita alle opere di J.R.R. Tolkien in uno splendido calendario, all'apparenza sembra molto timido, ma alle nostre domande ha risposto apertamente e con un sorriso. Diamo a lui la parola.
Alla scoperta dei Lords for The Ring: Alberto Dal Lago
Nell'attesa del secondo Calendario Tolkeniano dei Lords for The Ring, vi presentiamo Alberto Dal Lago.
LeggiAlberto, raccontati ai lettori di FantasyMagazine.
Ho sempre disegnato, fin da quando ero bambino e, dopo il liceo classico, ho fatto un po' di università, poi mi sono iscritto a una scuola di design, specializzandomi nel settore dell'illustrazione a Milano. Dopo di che, la mia gavetta è stata come tutti gli amatoriali, diciamo così, propormi ai vari editori, girare le fiere con il portfolio e nel 2005 sono entrato a far parte di un gruppo di lavoro italianissimo, seguendo il progetto da nome Nefandum, del quale ho curato la direzione artistica e alcune illustrazioni interne, nonché la copertina. Era uno dei primi giochi di ruolo italiani, che ha vinto poi anche il Best of show per due anni di seguito. Questo mi ha permesso di orientarmi in quello che è ancora il mio settore, il fantasy, e mi ha aperto un po' di porte per future collaborazioni. Ho conosciuto degli interlocutori americani, Margaret Weis Production, questo mi ha permesso di ampliare il parco clienti, diciamo così. Dopo sono entrato in contatto con Joe Dever, direttamente a Lucca, che fatalità aveva bisogno di un nuovo copertinista per la serie restaurata di Lupo Solitario. Questo mi ha spalancato ulteriormente le porte per l'estero. Sono arrivate collaborazioni con altri clienti, sempre americani. Poi, come tutte le cose legate al settore della creatività e ludico, mi sono fatto conoscere, quindi il mio nome è girato un pochettino. Da lì, le richieste sono arrivate anche più facilmente. Adesso, la situazione, è che io lavoro costantemente nell'ambito del fantasy come illustratore, che siano copertine o immagini interne, giochi di ruolo o romanzi. Parallelamente, sono entrato a far parte del corpo insegnanti della Scuola Internazionale di Comics di Padova.
Quanto è importante, secondo te, una buona accademia e quanto, invece, dipende dal sapersi vendere alle fiere?
Beh, è un po' un paradosso, perché puoi venderti, ma comunque se non hai le basi, che comunque ti darebbe un'accademia, diciamo che i limiti non verrebbero mai superati. Io credo che ci vuole sicuramente un mix di ingredienti: c'è il talento, che può essere innato o può essere sviluppato mediante l'insegnamento. Ognuno di noi ha un talento, bisogna solo capirlo dove indirizzarlo. Parlo chiaramente nell'ambito del disegno. L'accademia, se buona, fatta da professionisti, può veramente convogliare l'entusiasmo dei ragazzi nelle giuste direzioni. Dopo, non è sufficiente, perché il resto lo fa la costanza e l'impegno di una persona che, chiaramente, vuol fare di un sogno o, comunque, di una cosa che piace, il proprio mestiere. Io ci ho messo, o ci sto ancora mettendo del tempo, ma va già molto meglio rispetto agli anni scorsi. Diciamo che, alla fine, una finestra di dieci anni nel mio caso è stato l'arco temporale in cui mi sono fatto conoscere da zero a quello che sono oggi.
Quindi, l'ho fatto perché disegnavo sempre, a testa china, accettavo i consigli e le critiche. Soprattutto, non mi fermavo mai ed ero in costante ricerca stilistica.
C'è o c'è stato un insegnante o un collega che ti ha aiutato a crescere a livello personale o professionale?
Molti colleghi mi hanno incoraggiato. Per assurdo, la prima critica che ho avuto è stato da un mio concittadino, un famoso vignettista scomparso qualche anno fa, mi diceva che ero negato, per i colori soprattutto. Questo ha avuto un effetto paradossale, su di me: prima mi ha buttato giù, poi mi ha dato lo sprone per dire no, adesso gli faccio vedere che qualcosa posso tirare fuori dal cilindro
. Quindi, mi sono intestardito e ho concentrato i miei sforzi proprio per arrivare a qualcosa di concreto. Per quanto riguarda gli insegnanti, ci sono sicuramente stati, più dei colleghi nel mio settore che mi hanno stimolato, mi hanno dato non tanto consigli tecnici, perché alla fine la tecnica è un aspetto della nostra disciplina che va semplicemente portato avanti con costanza. Più lavori, più disegni, più il tuo muscolo creativo si allena. Mi hanno detto come muovermi nell'ambito del lavoro. Magari di chi mi potevo fidare, o da chi dovevo guardarmi. E soprattutto mi hanno detto guarda, prova a parlare con tizio, con caio
. Una sorpresa l'ho avuta un anno a San Diego, nel 2010, un artista di nome Todd Lockwood, uno della vecchia guardia degli anni '90, molto famoso, conosciuto per i suoi draghi, mi prese sotto la sua ala protettrice e mi indirizzò verso la Wizard of the coast, che era l'interlocutore che all'epoca stavo cercando con tutto me stesso. Una persona grandissima, ma umilissima, che mi ha detto: tu sei molto bravo, devi fare così, così e così, mi relaziono con loro e vedo di farti avere un colloquio quanto prima
. Anche perché lì funziona molto a caso: se sei estratto parli con loro, se no devi o tornare oppure aspetti l'anno successivo. Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che la grandezza di un artista è, in realtà, il modo in cui si relaziona con chi, come me, era alla ricerca di consigli di lavoro. E non se a tira.
A proposito di relazioni: com'è lavorare in gruppo? Paolo Barbieri ci disse che il lavoro degli illustratori è un lavoro solitario. Com'è stato lavorare con altre sei persone?
Rimane comunque un aspetto strano del nostro lavoro, ma non va a intaccare, dal mio punto di vista, quella che è la nostra solitudine. Ognuno di noi aveva uno specifico compito da portare avanti. Nel senso, il gruppo di lavoro crea sinergia e sicuramente da energia a livello mentale, perché c'è del rispetto tra di noi e una sana competizione. Nel momento in cui io so che devo avere a che fare con degli amici e dei colleghi, sono stimolato a fare bene.
Tecnicamente, io mi son sempre arrangiato da solo. Anzi, mi relazionavo con Angelo Montanini, che è stato il nostro coordinatore, il nostro direttore artistico. Per cui gli altri non li ho mai sentiti, se non in chat per aspetti organizzativi. Chiaramente, c'è stato un momento in cui ci siamo confrontati sul work in progress, per evitare che qualcuno di noi facesse delle scelte legate alla tavolozza cromatica che fossero troppo simili. Perché ognuno di noi ha uno stile distintivo e volevamo evitare di avere due tavole troppo simili cromaticamente. Questa è stata l'unica interazione dal punto di vista del gruppo stesso. Per il resto, rimane un lavoro che rimane in solitaria. Ed è un lavoro che ognuno fa, non so, nel suo studio, nella sua camera…
Ed è un aspetto che ti piace del tuo lavoro?
Io ho molte sfaccettature a livello caratteriale. Diciamo che, amo la solitudine, non ho paura di star solo con me stesso, perché, in realtà, il problema è star solo con se stessi il più delle volte. Mi manca, ogni tanto, una condivisione o un co-working, ma, al tempo stesso, mi rendo conto che sono molto geloso della mia privacy e dei miei ritmi, per cui ormai ho delle abitudini che si sono consolidate nel tempo e degli orari che sono difficili da condividere con un'altra persona, anche se tutto può essere in futuro. Per cui, sicuramente, vorrei continuare a farlo da solo, anche se questo, purtroppo, si scontra con un altro aspetto del mio carattere, che è quello di non potermi sfogare con qualcuno, magari in momenti non particolarmente positivi. In questi casi, la solitudine potrebbe essere contro producente, in questi casi.
Sul lato pratico del tuo lavoro, come la tecnologia ti aiuta o ti può o potrà aiutare?
Mi aiuta, nel senso che agevole il workflow, per forza di cose perché mi consente di lavorare su più immagini contemporaneamente, dove il tradizionale richiederebbe l'allestimento di più tavolozze o di più canvas, fogli. Col digitale hai la possibilità di interfacciarti con più progetti, e di lavorare con più facilità su alcuni passaggi del processo di lavoro. Soprattutto, il digitale ti aiuta a fare dei raggi dell'ultimo momento, dove per una richiesta del cliente o per un cambio di idea legato alla tavolozza o alla composizione, si può intervenire con pochi click, pochi comandi. Questo è un aspetto meraviglioso e ammaliante del digitale, che non trova chiaramente riscontro nel tradizionale. Ma di cui, bisogna fare attenzione per non farsi sedurre troppo, più del necessario. Recentemente, son tornato anche alle matite, proprio per un discorso mio, di non perdere quel muscolo creativo che, in realtà, è stato alla base per cominciare a lavorare. Proprio perché digitale e analogico richiedono due processi mentali completamente diversi.
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