Se tra le tante recensioni di Tonya disponibili in rete state leggendo proprio quella pubblicata su Fantasy Magazine è probabile che conosciate Margot Robbie (anche) grazie a Suicide Squad. Ebbene, dimentichiamoci per un attimo della follia di Harley Quinn e dei suoi codini colorati: questa è una Margot Robbie completamente diversa. L'ho intravista in un frame di Tonya (I, Tonya, 2017) e stentavo a riconoscerla. Rossa in viso, incollerita, sembrava un'altra persona. Che poi è proprio ciò che un'attrice, soprattutto se candidata all'Oscar, dovrebbe fare. La statuetta la Robbie non se l'è aggiudicata – è andata a Frances McDormand per Tre manifesti a Ebbing, Missouri – al contrario della collega Allison Janney (Miglior attrice non protagonista), che nel film interpreta sua madre. Ma Tonya è molto altro.
La sceneggiatura va subito al punto: tutto ciò che verrà raccontato è successo davvero e non va assolutamente preso con ironia. E partono le (finte) interviste agli attori della vicenda che narrano – dal loro non sempre affidabile punto di vista – gli eventi che portarono alla squalifica a vita di Tonya Harding dal mondo del pattinaggio su ghiaccio, dall'infanzia difficile fino all'aggressione della rivale Nancy Kerrigan nel 1994.
Tonya non proviene da una famiglia ricca e felice. Lei e i suoi genitori sono per sua stessa ammissione redneck, sua madre indulge spesso e volentieri nei piaceri dell'alcol e la picchia per spronarla a dare il massimo. Tonya è rozza e controversa e sebbene abbia talento, non ottiene mai il massimo perché non può rappresentare il volto dell'America. Tonya in fondo vorrebbe solo sentirsi amata. Finisce per sposare – parole di sua madre – il primo idiota che le ha fatto un complimento (Sebastian Stan), lo stesso uomo con cui avrà un rapporto molto burrascoso, segnato da gravi episodi di violenza domestica, e che avrà un ruolo decisivo nell'incidente alla Kerrigan, per il quale Harding tutt'oggi non ha ammesso alcuna responsabilità.
Sono tante le cose che funzionano in questo film, dalla straordinaria interpretazione di Robbie e Janney alla sceneggiatura autoironica e consapevole di portare sul grande schermo allo stesso tempo una vicenda pubblica realmente accaduta e mai del tutto chiarita e la storia privata di una donna che è una vittima pur senza corrispondere all'idea astratta di vittima che noi come società abbiamo costruito. Infine, un ultimo particolare: nella (bella) colonna sonora spicca Dream a little dream of me, che si sente durante il matrimonio di Tonya e quando scopriamo che ne è stato di Tonya dopo l'abbandono del pattinaggio. Perché in fondo l'happy end non è un matrimonio ma trovare la propria strada. E un film che osa proporre Dream a little dream of me durante un match di pugilato con del sangue che piroetta come Tonya durante il triplo axel merita di certo di essere visto.
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