Debuttò in Giappone nel 1988 e, con un incasso di 50 milioni di dollari, venne consacrato come uno dei film cult dell'animazione nipponica fantascientifica. Sceneggiato e diretto da Katsuhiro Otomo, Akira ne ha fatta, da allora, di strada. Uscito in Italia nel 1992, venne riproposto nel 2013 in occasione dei 25 anni dal debutto e ora, nell'anno del trentennale, torna in sala distribuito da Nexo Digital in collaborazione con Dynit con un nuovo doppiaggio.
Tralasciando per un attimo la storia di Akira come prodotto culturale, la domanda da porsi approcciando questo film di oltre due ore è: Otomo, in fin dei conti, cosa voleva dirci? La storia è più che complessa. La premessa è che lo scoppio di una bomba atomica nel 1988 causa lo scoppio della Terza guerra mondiale. Facciamo un salto temporale in avanti, nel 2045, e troviamo una realtà post apocalittica, ancora sconvolta dal conflitto, che ricorda molto da vicino il mondo violento di Ken il guerriero e Mad Max.
Di una banda di studenti/motociclisti fanno parte Kaneda e Tetsuo, amici fin dall'infanzia. Quest'ultimo, che da sempre viene trattato da Kaneda come un fratello minore, è il vero protagonista della storia, raccontata dal punto di vista di Kaneda. Tetsuo si trova suo malgrado coinvolto in un incidente che gli cambierà la vita, donandogli un potere troppo grande per essere gestito, il potere di Akira.
Non sappiamo bene chi o cosa fosse Akira, probabilmente il risultato (sin troppo potente) di una serie di esperimenti condotti dal governo a scopi militari. Questi esperimenti hanno lasciato dietro tre bambini, indicati con numeri e non con dei nomi, dall'aria malaticcia ma in grado di ricorrere a straordinari poteri. Man mano che il medesimo potere prende possesso del corpo di Tetsuo, Kaneda si rende conto che salvare l'amico sarà impossibile e che solo la distruzione totale potrà portare a un nuovo inizio.
Akira, da alcuni acclamato come divinità, è emblema supremo del caos. Quel che spesso dimentichiamo è che abbiamo bisogno dell'ordine e raramente il caos arriverà in una forma di nostro gradimento: per sua stessa natura, non sarà come lo vorremmo o ce lo aspettiamo noi. In tutto il film si respira un'atmosfera da fine del mondo, si ha l'impressione palpabile delle ultime ore da vivere di un mondo già morto e ancora inconsapevole, che continua a esistere per puro dispetto. Il tutto condito con scene allucinatorie a cui è difficile dare un senso senza operare un grosso sforzo interpretativo e a una critica sociale neppure tanto velata nei confronti del potere costituito che non è in grado di dare speranza e alternative ai giovani allo sbando.
Un film pensato nel 1988 che di nostalgico ha poco o nulla, resiste bene al tempo e mostra un mondo attuale e violento, che non si è realizzato ma resta tragicamente possibile.
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