Joe (Joacquin Phoenix), veterano ed ex agente dell'FBI è un sicario che lavora in segreto per commissioni private. Si occupa della madre anziana (Judith Roberts) che vive nella casa d'infanzia a New York City.
Soffre di un disturbo disturbo da stress post-traumatico, per il quale spesso si ritrova ad avere flashback non solo della propria infanzia, vittima insieme alla madre di un padre violento, quanto anche delle precedenti esperienze lavorative: precisamente, Joe si occupa di ritrovare bambine e ragazze scomparse, vittime del traffico sessuale, usando metodi brutali contro i responsabili.
Tuttavia, la missione affidatagli per ritrovare la giovanissima figlia del senatore Albert Votto (Alex Manette), Nina (Ekaterina Samsonov), sconvolge tutti gli equilibri: da una missione per lui ordinaria, Joe si ritrova a propria volta vittima e dovrà venirne a capo, non senza sofferenza.
L'aggettivo che mi viene in mente per definire il film di Lynne Ramsay - ispirato all'omonimo libro di Jonathan Ames - è sconvolgente. Non tanto per la trama, purtroppo piaga del nostro tempo, quanto per come essa venga raccontata.
Brevi, brevissimi dialoghi. Lunghi, lunghissimi silenzi. Spesso la musica (Jonny Greenwood) sovrasta tutto il resto e domina sulla sequenza delle scene, con fermo immagini potenti, intense, che restano impresse (Thomas Townend).
Joacquin Phoenix è di certo la punta di diamante: la sua interpretazione è densa di sentimento, di pathos, di trasporto, è il protagonista indiscusso, a pieno titolo e merito. Ha saputo dosare due anime in estremo contrasto tra loro: la violenza del sicario e la dolcezza dell'uomo che non tollera i soprusi, del figlio che protegge la madre. Joe (splendidamente doppiato da Fabio Boccanera), il sicario col martello, un uomo dal fascino sepolto dall'abbrutimento, piagato non solo nel corpo ma soprattutto nel cuore di cui sembra di toccare il tormento, è un Thor 2.0, un difensore di una generazione di giovani che, se riusciranno a uscire vive da questa tratta di schiave del XXI secolo, di certo non avranno vita facile. La vita di un sicario è raccontata attraverso di lui con brevi accenni, con tutte le problematiche che la rappresentano: il segreto, la paura, il senso di instabilità e la preoccupazione per i propri cari, il fardello del passato, degli orrori percepiti a cui, purtuttavia, ha messo fine, nonostante l'orrore prosegua altrove. Se non fosse per il doppiaggio (affidato a Graziella Polesinanti che la riduce a tratti a una macchietta), anche l'interpretazione di Judith Roberts permetterebbe di cogliere questo senso strisciante di sofferenza e caducità delle famiglie di questi supereroi del nostro tempo.
Attraverso Nina e il suo sguardo vacuo, i movimenti lenti, le pochissime parole pronunciate, Lynne Ramsay riesce a raccontare i traumi dell'innocenza perduta e, nel silenzioso rapporto che nasce tra i due protagonisti, il bisogno intimo di normalità, di fiducia da ritrovare, e la speranza di arrivare a poter dire, prima o poi, "è un bel giorno".
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