Massimiliano d'Asburgo, giovanissimo arciduca fucilato in Messico, vittima della storia ed Eduard Manet, rivoluzionario repubblicano, primo impressionista: un incontro mai avvenuto… fino ad oggi.
La mostra inaugurata lo scorso 11 maggio 2018, alle Scuderie del Castello di Miramare di Trieste, si propone di realizzare quest'impossibile riavvicinamento: nell'occasione dei cento cinquant'anni dalla morte di Massimiliano, la sua sfortunata vicenda viene rievocata tramite una mostra multimediale, dove le fantasmagorie di Manet, dai primi schizzi della fucilazione, ai tre quadri di denuncia, permettono una totale immersione dello spettatore nella vicenda storica.
La mostra Massimiliano e Manet. Un incontro multimediale si colloca dunque in una lunga tradizione commemorativa, dove l'avventura di Massimiliano assume un carattere profondamente romantico, dichiaratamente fantastico: un ingenuo regnante, Massimiliano, un cantore di corte, Manet, una terra straniera e lontana, il Messico e un tragico finale. Sullo sfondo, la rocca high fantasy di Miramare: gioioso scenario della giovinezza dell'eroe e al ritorno della salma dal Messico, austero mausoleo d'una dinasta destinata alla decadenza.
La tragica epopea di Massimiliano d'Asburgo nella terra del Messico ha sempre rappresentato un evento storico dall'innegabile fascino tanto tra gli intellettuali quanto tra il popolo: se i primi rimproverano a Napoleone III una politica spregiudicata e avventurista, i secondi amano il carattere profondamente romantico, fiabesco persino, della vita del giovane regnante.
Sentimento e giudizio, commozione e ribellione appaiono pertanto intrecciati nella figura di Massimiliano, dalla morte nel 1867 fino ai giorni nostri.
La favola di Massimiliano nascondeva tuttavia sotterranei interessi economici e militari, frutto dei giochi diplomatici di Napoleone III: la necessità di difendere il capitale francese, minacciato in Messico dagli interessi statunitensi; le proteste del partito clericale, in seguito ai soprusi del regime liberale di Juarez; la contrapposizione tra la monarchia del vecchio continente e la repubblica del nuovo e la necessità di allontanare dalla carica di governatore del Veneto Massimiliano d'Asburgo, onde cedere quella regione all'Italia. Una lunga serie di ragioni politiche motivava pertanto Napoleone quando nel 1861 iniziò a mandare truppe francesi in Messico, fino alla scelta fatale di proporre il trono di Imperatore a un giovanissimo e ingenuo Massimiliano.
Il ritmo della storia allora accelera fino alla sua tragica conclusione: Massimiliano scontenta in Messico tanto i conservatori quanto i liberali e nonostante i propositi di regnare benevolmente, è costretto a una sporca guerriglia contro le forze repubblicane dell'ex presidente Juarez.
Il ritiro delle forze militari di Napoleone III, impegnato nel conflitto contro la Prussia, segna la condanna di Massimiliano: intrappolato a Querétaro, viene catturato e fucilato da soldati messicani armati con fucili statunitensi. È il 19 giugno 1867.
L'esecuzione di Massimiliano genera già negli anni Settanta dell'ottocento, a partire dal ritorno della salma a Trieste con la stessa fregata, “Novara”, con la quale era partito, un'ondata di litografie, poesie e immagini commemorative, dove il ricordo si mescola alla protesta anti-napoleonica. Si realizza così il paradosso di repubblicani convinti come il pittore Manet, che si batte contro la censura attraverso la ritrattistica di un monarca quale Massimiliano.
In Austria prevale il sentimento e il senso dell'ingiustizia di un giovane prematuramente morto, con una rappresentazione (quasi) religiosa di quanto viene definito un “martirio”. Nei decenni a venire, i sentimenti anti-austriaci di un poeta irredentista quale Giosuè Carducci non gli impediscono di piangere la morte dell'Imperatore: sono le odi barbare di Miramar, dove risuona il fior d'Asburgo
, spentosi o puro, o forte, o bello Massimiliano
.
I circoli irredentisti a Trieste, nei salotti letterari dove si discute l'opposizione all'Austria, la sfortunata vicenda di Massimiliano, molto più tollerante rispetto al fratello Francesco Giuseppe, viene di tanto in tanto rievocata e compare ad esempio negli scritti nazionalisti di Lina Gasparini. Una formidabile prova della “trasversalità” della vicenda, rimasta popolare fino ai giorni nostri.
La mostra tuttavia reinventa questa tradizione di lunga durata con un innovativo apporto tecnologico, nella forma di quattro stanze calate nell'oscurità delle Scuderie di Miramare, le quali immergono lo spettatore nella storia di Massimiliano, mentre nella quinta sala quadri e reperti del Castello e dei Civici Musei di Trieste provano quanto precedentemente solo mostrato.
Siamo lontani dalla multimedialità posticcia e sostitutiva propria di tanti musei e mostre: in questo caso il nocciolo dell'argomento, ovvero la morte di Massimiliano in Messico, viene esclusivamente narrato con mezzi tecnologici. Senza di essi, la mostra svanirebbe nel nulla, si ridurrebbe letteralmente a stanze vuote.
Un viaggio nella storia – Il resoconto della mostra
All'entrata, il visitatore viene munito di cuffia e registratore audio, il quale si accenderà automaticamente entrando nella prima sala. Le pareti, in alcuni casi un libro dalle pagine bianche e in altri casi ancora dei pannelli, si animano allora con le proiezioni della vita dell'Imperatore. La narrazione, ideata da Alessandro Sisti, si accompagna alla voce dell'attore di teatro Lorenzo Acquaviva, con un misto di epistolario dell'Asburgo e invenzione letteraria.
PartenzaDescrive Massimiliano nella sua giovinezza di aspirante botanico e amante della natura, nel calore del Castello di Miramare, mai così fiabesco.
ViaggioTre schermi a grandezza d'uomo raccontano l'itinerario di Massimiliano fino al Messico, tra errori di giudizio e pura sfortuna. I fasti celebrativi dei quadri storici di Cesare dell'Acqua formano un brutale contrasto con l'epilogo di sangue della spedizione militare.
Manet
Un brusco salto dall'inferno messicano alla Parigi del Secondo Impero. Un invisibile Manet commenta e dipinge le bozze e i quadri raffiguranti la fucilazione, simbolica denuncia della cattiva politica di Napoleone III. Il dramma della censura verso l'autore, che non vedrà mai esposti quanto considerava i suoi capolavori, colpisce qui il visitatore con forza, forse anche più dell'esecuzione nella sala precedente.
Ritorno
Una sala tappezzata di un materiale simile alla stagnola e alle onde del mare, conclude il percorso, con l'arrivo della salma di Massimiliano nell'amatissima Trieste. Il Castello di Miramare si ripresenta, ma nelle forme fredde e sepolcrali di una tomba, contrapposte al calore della prima sala. La morale di questa favola, infine, rientra nel lascito culturale e architettonico dell'arciduca, tanto in Città del Messico quanto a Trieste.
Le ultime sale permettono di riunire reperti “reali”, dopo il “virtuale” delle stanze precedenti: quadri, litografie, libri e statue di Massimiliano, selezionate dal lascito museale triestino. Riveste particolare interesse in questo contesto una saletta laterale con i video-art di due artisti messicani, che re-interpretano la vicenda di Massimiliano.
La mostra è di per sé interessante, nella misura in cui non si è tanto visitatori, quanto spettatori: nonostante il carattere di “multimedialità”, non vi è interazione con la persona, la quale piuttosto appare sommersa dalle immagini e dalla narrazione nelle cuffie. Si ha la sensazione bizzarra di camminare dentro un documentario o in alternativa di essere dei palombari sprofondati nelle viscere della storia. Le tenebre delle diverse stanze, la voce di Acquaviva, l'incertezza su dove rivolgersi, dove guardare rendono la mostra un'esperienza surreale, decisamente fantastica.
Si tratta di divulgazione, senza alcuna pretesa di approfondimento: se vi compare un'indagine artistica nelle diverse forme di rappresentazione dell'arciduca, dall'altro l'approccio è puramente sentimentale. Il commento sul presente e sulle reali motivazioni abbozzate in precedenza per il gesto di Napoleone III sono assenti: si tratta di un fantasy, una fiaba tragica dove un buon re viene tradito dai suoi comprimari e abbandonato alla mercé dell'antagonista. La sezione a tutti gli effetti museale nell'ultima parte presenta alcune didascalie, ma appaiono elaborate a posteriori, senza connessione con le sale precedenti. La vicenda di Massimiliano dall'altro viene tuttavia inserita nell'intreccio globale di nazioni e lotte politiche in corso all'epoca: nell'antefatto si menzionano ad esempio le guerre dell'oppio in Cina, mentre risulta innegabile il legame con la storia locale.
A questo proposito, non c'è un reale collegamento negli ultimi minuti di narrazione: se certo il Castello è un lascito fondamentale per Trieste, tuttavia l'aggancio con i giorni nostri appare poco credibile. Il sentimento, ancora una volta, prevale nella narrazione.
Una bella fiaba, dunque, ma con una morale leggermente posticcia. Al fondo, una mostra per gli appassionati della vicenda di Massimiliano, tutt'oggi, a cento cinquant'anni di distanza da quel fatidico 1867, numerosi e fedeli.
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