Tre anni dopo gli eventi di Jurassic World, con class action milionarie ancora in corso, una minaccia incombe sui dinosauri di Isla Nublar: il vulcano dell’isola si è riattivato e minaccia di distruggere l’intera isola. Per molti, come Ian Malcom (Jeff Goldblum) è l’occasione per sistemare i danni causati chi ha avuto la scellerata idea di resuscitare creature che l’evoluzione aveva condannato all’estinzione. Per altri, come Claie Dearing (Bryce Dallas Howard) i dinosauri sono una specie da proteggere, pertanto da portare in salvo, magari in una riserva naturale. Quando Benjamin Lockwood (James Cromwell), la convoca per proporle di tornare a Isla Nublar in una missione di salvataggio, la donna richiama in servizio il riluttante Owen Grady (Chris Pratt), facendo leva non tanto sul loro amore naufragato dopo essere scampati al disastro del parco, quanto sull’affetto filiale per Blue, la velociraptor super intelligente da Owen allevata.
Con appresso due giovani stagisti ai quali si chiede di rischiare la vita in cambio di pagamento in visibilità, la paleoveterinaria Zia (Daniella Pineda) e il sistemista di rete Franklin (Justice Smith), indispensabili la prima per curare eventuali dinosauri feriti, il secondo per riavviare i sistemi del parco, con un codazzo di cazzuti contractor guidati dal “grande cacciatore bianco) Ken Wheatley (Ted Levine), i due tornano sull’isola affrontandone i pericoli.
Ma vulcani in eruzione e dinosauri incazzati sono nulla rispetto al pericolo maggiore: la cupidigia umana. Nell’ombra agisce chi invece vorrebbe acquisire i dinosauri come risorsa. Una organizzazione che è intenzionata a mettere le mani sulle creature e sul loro patrimonio genetico, per venderle ai migliori offerenti. Dalla Isla Nublar, sommersa dalla più scontata delle colata di lava old-style, alla California il passo è abbastanza breve, e le vicende dei nostri protagonisti s’incroceranno persino con la immancabile infante, la nipote di Lockwood, che sembra lì più o meno per ricordarci che si tratta di un film violento, ma per famiglie, senza quasi una goccia di sangue.
A condire il tutto, i soliti personaggi ancora più stereotipati del “grande cacciatore bianco”, come un avido banditore (uno sprecato Toby Jones), il trafficante di armi russo che parla come Ivan Drago, il manager ambizioso Eli Mills (Rafe Spall) per terminare con il Mad Doctor con gli occhi a mandorla Dr. Henry Wu (BD Wong).
Di corsa in corsa, di pericolo in pericolo, il film scorre fino a quello che i trailer annunciano da tempo: l’apertura definitiva del vaso di Pandora, con i dinosauri che irrompono nel nostro mondo con conseguenze che (lo sappiamo ormai da ben 4 film) per gli esseri umani non possono che essere nefaste.
Jurassic World – Il regno distrutto non aspira al grande cinema, ma vorrebbe essere cinema in grande. Grande spettacolo, tensione, amore, effetti speciali. Punta tutto sull’eterno fascino dei dinosauri e sull’ossessiva ripetizione della stessa “morale” espressa nel primo film su quanto sia pericoloso e senza senso giocare a fare Dio. Si tratta di un enorme "vorrei ma non ci riesco proprio".
La serialità è fatta di ripetizioni o di variazioni sul tema, ma la durata a lungo termine sta nella profondità e varietà del mondo narrativo. Il mondo di Jurassic Park era basato su una semplice situazione, personaggi semplici e ha retto per un paio di film, ma ora non c’è spazio per altro e, se i film di consumo sono paragonabili a una Coca Cola, questa è sempre più sgasata e annacquata.
P.S. Se volete scoprire quanto lontano può volare uno pterodattilo, e chiedervi perché diavolo in tre anni non lo abbiano mai fatto prima, aspettate la scena dopo i titoli di coda.
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