L’impronta Ghibli predomina in Mary e il fiore della strega. Impossibile non riconoscere i tratti dello studio in cui per vent’anni ha lavorato il regista Hiromasa Yonebayashi e forse questo è un limite.
Le immagini sono di incredibile bellezza, c’è una cura del dettaglio notevolissima, la perizia non solo dei disegni (dai tappeti persiani a casa della zia, alle maniglie dei mobili, alla perfezione naturalistica dei fiori, delle piante), ma anche degli effetti luminosi e la colorazione sono veramente sorprendenti, ma ciò non basta.
La storia non gira bene, soprattutto nella parte centrale diventa lenta, risulta ripetitiva e ha un retrogusto di cose già viste, già dette e già sperimentate. Tanti i rimandi, non abbastanza sviluppati tanto da diventare citazioni, che rimangono dei pasticciacci fra Kiki – Consegne a domicilio, a cui molti hanno pensato, Harry Potter, ma anche La città incantata (si pensi a Zeniba-Yubaba). Anche qui c’è una signora apparentemente simpatica e carina, Madama Mumblechook, che dirige l’Endors College, insieme al fido compagno Dottor Dee, che ricorda tanto Kamaji (appunto della Città incantata). E come non pensare ad Alice nel paese delle meraviglie, quando Mary, la protagonista, segue il gatto nella foresta, annoiata dalla solitudine.
Il film non gira, come non girava Arrietty – Il mondo segreto sotto il pavimento, per motivi simili. La trama, liberamente ispirata al romanzo per ragazzi La piccola scopa della scrittrice britannica Mary Stewart, diventa un mischione di cose, anche il volo nel cielo con la scopa sembra una partita di quidditch. Ed è un peccato perché visivamente il film è molto curato.
Per fortuna la musica non è invasiva e non ridondante, accompagna senza sovrastare.
A onor del vero i bambini presenti in sala sono apparsi soddisfatti. Mary e il fiore della strega li ha catturati, così come probabilmente la magia delle immagini e le prove che la giovane ragazza deve superare. I grandi purtroppo erano notevolmente annoiati da metà film, interessati solo alla parte visiva.
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