1977, Ben è un bambino che ha da poco perso la madre, la bibliotecaria di una cittadina nel Minnesota, e non sa nulla del padre. Una sera, curiosando tra libri e vecchie carte scopre un misterioso biglietto dove una dedica affettuosa è stata lasciata da un certo David alla mamma. Un brutto incidente però lo rende sordo ma, nonostante l’improvviso handicap, decide comunque di mettersi in viaggio verso New York e cercare la libreria, il cui indirizzo è inciso sul biglietto.
1927, Rose è una bambina del New Jersey sorda dalla nascita e tenuta dal padre isolata dal mondo. Lei però sogna di andare a New York per vedere a teatro la sua diva preferita di cui colleziona tutti gli articoli di giornale. Per nulla intimorita dal mondo esterno fugge ed affronta con temerarietà la grande metropoli.
Dopo il successo de La straordinaria invenzione di Hugo Cabret, altro romanzo dello scrittore statunitense Brian Selznick, arriva sul grande schermo La stanza delle meraviglie, presentato in anteprima e in concorso alla 70ª edizione del Festival di Cannes. Sceneggiato dallo stesso romanziere, l’impresa è stata in primo luogo quella di tradurre un romanzo in parte scritto e in parte illustrato. Se, infatti, la storia di Ben diventato sordo già da grande è raccontata tramite la parola, quella di Rose non udente dalla nascita, è invece fatta di illustrazioni. Nella versione cinematografica si è risolto con un escamotage, trasformando il mondo della bambina in una sorta di film muto con musica d’accompagnamento, e mantenendo “realistica” quella di Ben. Alla regia è stato chiamato Todd Haynes, autore di film sofisticati come Lontano dal paradiso, Io non sono qui e Carol, alle prese per la prima volta con quello che dovrebbe essere un film per l’infanzia. Purtroppo però Haynes non è Scorsese il cui stile narrativo riesce a passare senza problemi dal gangster movie a Hugo Cabret, e finisce per perdersi in un bicchiere d’acqua.
La stanza delle meraviglie ha una regia affascinante, fatta di primissimi piani e di dettagli, quasi sensoriale, volta tutta a far entrare lo spettatore nel mondo dei sordi. Peccato però che il pubblico a cui si rivolga è quello dei bambini, senza dubbio meno pazienti degli adulti annoiati pure loro. Anche l’apparente mistero e la spiegazione del perché le due storie siano messe in parallelo manca di appeal, senz’altro presente sulla carta stampata, ma mal sviluppato nel copione. È del tutto assente la “meraviglia”, indispensabile in un film per bambini e, le citazioni da La storia infinita non fanno che accrescere la sensazione che qualcosa di fondamentale si sia perso per strada.
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