I bambini hanno il sacrosanto diritto di amare entrambi i genitori, anche quando i genitori non si amano più tra loro.
L'albero del vicino – Under the tree è un film strano per chi sa provare empatia per l'altro, immedesimarsi, sentire com-passione e tenerezza, confortare.
Tutto questo, nel film con cui Hafsteinn Gunnar Sigurðsson ci porta nei quartieri residenziali della periferia di una plumbea Reykjavík, non c'è. E, se anche ne cercassimo esigue tracce, prevarrebbe un senso di indifferenza, apatia e disinteresse per i drammi altrui che sfocia in una sinistra e quasi compiacente violenza.
Tutto nasce da un albero, un po' abbandonato a se stesso, posto in un giardino. Curioso come il sempiterno simbolo archetipo della vita qui diventi, invece, la scintilla che genera divisione, morte e distruzione. Dai suoi ombrosi rami, esaltati da una magistrale fotografia (Monika Lenczewska) e da una intensa colonna sonora (composta da Daníel Bjarnason e costituita di parti strumentali e canti popolari eseguiti da un coro di sublime bravura), si scatenano polemiche, invidie, gelosie, pettegolezzi, giudizi che degenerano nei più beceri e violenti comportamenti.
Sullo sfondo, inoltre, si consumano crisi e drammi familiari irrisolti. Ciò che colpisce è l’accento posto da Sigurðsson sul maggiore interesse che dimostrano i protagonisti nell'osservare e giudicare le vite e talvolta i problemi altrui, procrastinando sulla propria condizione. Anche le figure più empatiche e attente ai bisogni degli altri, alla fine, vengono risucchiate da questo vortice di aridità, che sfocia nell'odio più istintivo e in irrimediabili raptus di follia.
A fronte di una storia intrisa di dark humour in cui l’unica empatia possibile avviene – quasi come un effetto collaterale – tra spettatori e personaggi, va sottolineato come il film sia tecnicamente perfetto e confezionato in maniera encomiabile. Innegabile, inoltre, la qualità artistica del cast che fa quasi confondere lo spettatore sulla vera natura della pellicola, al punto da chiedersi se si tratti di un documentario o un film.
Nel gruppo spiccano Sigurður Sigurjónsson ed Edda Björgvinsdóttir, capaci di un'interpretazione di alta drammaticità: lunghi silenzi, frammenti di dialoghi, movimenti lenti, andature stanche che rivelano tutto quell'interiore travaglio che non può essere esternato in modo costruttivo. I due attori oscurano quasi completamente l’interpretazione di Steinþór Hróar Steinþórsson e Lára Jóhanna Jónsdóttir, rispettivamente Atli e Agnes: monoespressivo l’uno e al limite dell’apatia che sfocia in uno stanco isterismo l’altra. Essi rappresentano, malinconicamente, il dramma delle giovani coppie che, messesi insieme con superficialità e più per la paura di rimanere soli, vanno presto in crisi, non riescono più ad ascoltarsi e trascurano il benessere dei propri figli.
Forse troppa carne sul fuoco per 89 minuti di proiezione, con risoluzioni spesso grossolane che rendono Under the tree complessivamente un po' arido: in tutto il dramma che si consuma prevale una sensazione di irrisolto, di patetico. Intendiamoci, non sempre lo scopo di un film è l'immedesimazione o magari una catarsi. Forse il cinema islandese preferisce raccontare una storia lasciando allo spettatore la libertà intellettuale ed emotiva di trarre eventuali conclusioni, tra un sorriso amaro e un sospiro di triste pietà per come oggi sia più facile osservare come l'erba del vicino cresca più verde, senza domandarsi come sia stato ottenuto davvero quel risultato.
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