In un futuro ormai prossimo il sogno americano si è infranto sotto una crisi economica sembra non avere fine mentre il tasso di disoccupazione non è mai stato così alto. L’America si affida ad un nuovo gruppo politico di estrema destra chiamato I Padri Fondatori, che promette di portare la nazione ai fasti di un tempo grazie a un esperimento sociale chiamato “Lo Sfogo”. L’idea è quella di lasciare per 12 ore la possibilità alle persone di Staten Island, quartiere particolarmente degradato di New York, di dare pieno sfogo ai propri istinti omicidi, senza alcuna punizione, ma anzi con un compenso economico per chi decide di aderire. Se tale esperimento avrà successo il governo promette di estenderlo a tutta la nazione. C’è chi decide di partecipare con entusiasmo come il folle Skeletor, chi come Nya si oppone a un sistema che aggredisce solo i più poveri, chi come Isaiah prende parte anche se contro voglia per guadagnare dei soldi e chi, come il boss Dmitri pensa di poter continuare indisturbato con i propri affari.
Era il 2013 quando James DeMonaco portò sul grande schermo La notte del giudizio, seguito l’anno dopo da Anarchia – La notte del giudizio e nel 2016 da La notte del giudizio – Election Year, la trilogia ambientata in un futuro distopico dove lo Sfogo è ormai una realtà ben impiantata nella società americana. La prima notte del giudizio (qui DeMonaco è produttore mentre la regia passa nelle mani di Gerard McMurray) è il prequel della trilogia, e vuole raccontare come tutto ebbe inizio, dichiarando fin dalla prima sequenza un intento politico. D’altronde Jason Blum fondatore e amministratore della Blumhouse che ha prodotto il film e i precedenti, così come tanti altri horror di successo degli ultimi anni, non ha mai fatto mistero di schierarsi apertamente contro Donald Trump. Se i film precedenti erano un ritratto esasperato della società attuale La prima notte del giudizio, anche per maggiore vicinanza temporale a noi, è il ritratto di un America capitalista, il cui programma è la scientifica soppressione di tutti i ceti più deboli e indifesi. La stessa Staten Island, un tempo luogo di accoglienza per gli immigrati, è scelta come primo terreno di sperimentazione per l’epurazione. Ma c’è di più, perché là dove non è la società stessa a procedere secondo i dettami della politica, è la politica essa ad intervenire rappresentata, non a caso, dalle maschere del nazismo o del Ku Klux Klan. In questo scenario l’unico appiglio sociale ancora esistente è la comunità, dove anche uno spietato boss capace di uccidere a sangue freddo un uomo diventa l’eroe.
Nella messa in scena Gerard McMurray riesce a trovare una sua strada, proponendo un film d’azione di genere senza abusare del montaggio e infarcendolo di citazioni horror da Romero a Carpenter, con soluzioni interessanti, come le lenti a contatto/telecamera fosforescenti che trasformano in una sorta di zombie i partecipanti allo Sfogo. Anche il cast funziona bene, peccato solo per il personaggio di Marisa Tomei, mal sviluppato e sfruttato pochissimo.
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