Ho incontrato M.T. Anderson nella hall del suo albergo milanese, dove ha soggiornato ospite del suo editore Rizzoli prima di recarsi a Rimini il 17 giugno 2018 per partecipare a Mare di Libri, dove ha tenuto una conferenza sul suo ultimo romanzo pubblicato in Italia da Rizzoli, Paesaggio con mano invisibile.
Il romanzo lo abbiamo recensito tempo fa, adesso, dopo il tempo necessario alla trascrizione, vi proponiamo l’interessante intervista che ci ha concesso in esclusiva, che a partire dai suoi romanzi ha spaziato nell’arte e nella visione dei nostri tempi da parte dell’autore.
EM: Sono rimasto davvero sorpreso dal trovarmi davanti a un romanzo che narrava così in dettaglio di pittura e processo di creazione pittorica, e volevo chiederle come abbia lavorato su questi due aspetti del linguaggio, ossia abbia conciliato la scrittura con il linguaggio visuale.
MTA: Intendi in questo libro in particolare? In realtà, penso che sia per via del fatto che a me piacciono molto i quadri a soggetto paesaggistico, e quindi mi viene naturale pensare ai paesaggi, specialmente perché ritengo che, tante volte, costruiamo le nostre immagini naturali attraverso i paesaggi che crediamo siano tipici, facendolo a volte in modi davvero sorprendenti, altre volte non nel modo in cui necessariamente pensiamo.
In America, per esempio, nel corso del Diciannovesimo secolo, si diffuse il Movimento del Paesaggio, per cui non si raffiguravano nei dipinti binari ferroviari o altri segnali di progresso, perché lo scopo fu quello di creare una sorta di “romanticizzazione” degli spazi selvaggi americani. Fu come il tentativo di lasciare una testimonianza, che però non era una rappresentazione della realtà, quanto invece il frutto di scelte, alterazioni, al fine di creare una mitologia del paesaggio.
Mi ha colpito il fatto che non ci siano illustrazioni. È una scelta precisa? Evocare quadri senza mostrarli perché ognuno li ricostruisca?
Esattamente. A questo proposito ne avevamo parlato con l’editore David, che voleva ingaggiare un illustratore, tra l’altro uno che io assolutamente adoro, Shaun Tan, che crea delle stupende opere di fantascienza. E inizialmente ho pensato che sarebbe stato meraviglioso, se lui avesse creato le illustrazioni per il libro, ma poi il mio editore ed io ci abbiamo ripensato e siamo giunti alla conclusione che il romanzo ha un senso solo il lettore non vede immagini e deve invece ricostruirle mentalmente. La parte più interessante della scrittura di questo romanzo è stata proprio quel momento in cui la descrizione di qualcosa di statico diventa anche un ricordo, che coinvolge dialoghi ed emozioni. Penso che l’effetto non sarebbe stato altrettanto potente, se il lettore avesse potuto vedere delle immagini con i suoi occhi.
Si riesce a vedere il gesto pittorico nei capitoli, nelle descrizioni. Ha attinto a qualche fonte, qualche pittore che ha ispirata?
In passato ho letto molto a proposito di Arte del paesaggio, di Storia dell’arte e argomenti del genere. Mi riferisco in particolare ai pittori di paesaggi olandesi, perché la Scuola olandese è stata la prima che ha tentato di dipingere paesaggi con nessun soggetto di fronte. Anche voi, ad esempio, avete tutti questi magnifici dipinti di Santi con dei bellissimi castelli sullo sfondo e quando guardavo questi quadri da bambino non mi interessava l’immagine del Santo che vi era raffigurato, ma la mia attenzione era colpita da quelle stradine tortuose, per le quali avrei voluto inerpicarmi fino a raggiungere quegli strani piccoli villaggi sulla collina. E scoprire che vita si conduceva lì. Per capire come sarebbe vivere in un posto piccolo e isolato, lontano dal “grande evento”, che, in quel caso sarebbe San Francesco che riceve le stigmate. Questo è l’evento messo in evidenza, che si svolge in primo piano, l’evento fantascientifico, cioè i raggi di luce che vengono dall’alto e gli forano le mani. Ma cosa succederebbe se, invece, uno è solo un tizio qualunque, magari uno che bada ai maiali che si trova sullo sfondo e vede solo dei fasci di luce. Forse questo sarà un tratto tipicamente americano, ma specie nell’ambito della fantascienza, noi ci concentriamo sulle persone che sono al centro di ogni situazione, del tipo “questi sono coloro che sconfiggeranno gli alieni, questi sono coloro che scacceranno queste presenze, e non pensiamo mai a come potrebbe essere vivere in un regime diverso, che è in un certo senso la grande forza della finzione, cioè metterci dentro la narrazione.
I personaggi sono quasi tutti, anzi sono tutti vittime dell’arrivo dei vuuv. Il secondo tema è l’onnipresenza del reality televisivo, ma come si è mescolato con l’idea della pittura?
Penso che sia diventato una parte molto presente nelle nostre vite. Mentre camminavo in giro per Milano, oggi per la prima volta nella mia vita, tutto quello a cui pensavo era come fare degli scatti accurati, dai quali si percepisse come mi stavo divertendo in Italia. Siamo in una fase in cui ognuno cerca di produrre e “confezionare” una vita che gli altri possano consumare. Ed è un modo di vivere completamente diverso da quello della mia generazione, di quando eravamo ragazzini o ventenni, non era un’opzione pensabile all’epoca. Credo che la capacità di confezionare sé stessi e le proprie esperienze nasca dalla pressione sociale, ma al tempo stesso è diventata il nostro stesso elemento. Ed è una cosa che succede sempre. Mi viene in mente, ad esempio, quando i teenager scelgono di pubblicare se escono o meno con qualcuno, e farlo così sapere a tutti. Che incubo! Abbiamo creato un tipo di ambiente sociale molto specifico, che adesso permea ogni aspetto della nostra vita. Anche per me, la decisione di venire qui, per partecipare alla conferenza, ha cambiato il modo in cui vado in giro, il modo in cui scelgo di fare le foto e così via.
Gli adulti in questo romanzo sono ancora più perdenti rispetto ai giovani. Il messaggio è che la nuova generazione riscatterà la precedente e vivrà una vita migliore rispetto ad essa?
Penso che il punto sia che i giovani si adattano sempre e meglio alle nuove circostanze. Noi eravamo abituati ad un mondo diverso, noi sappiamo come muoverci in un mondo diverso. Sinceramente, riguardo all’uso dei social media, la mia generazione è tanto attiva quanto quella dei “Millennials”, che tutti accusano di essere la grande generazione di Internet. Certamente ci sono alcune cose che per loro sono più intuitive di quanto non lo potrebbero mai essere per me. Ma Facebook è completamente il loro elemento, di chiunque al di sotto dei trent’anni. E tuttavia io ho una vita sociale su Facebook molto attiva, perché sono un “anziano”.
Facebook non viene più usato dai teenager.
Sì, esattamente. Ma c’è un’adattabilità nei giovani che permette loro di prosperare in certe situazioni. Però, c’è da dire che, almeno al momento negli Stati Uniti, a causa della particolare situazione economica che stiamo attraversando, proprio per metà dei giovani è più difficile trovare un lavoro.
C’è un pericolo al giorno d’oggi, nel mondo occidentale, che con la demonizzazione dello straniero, i romanzi che trattano il tema dell’estraneo che stravolge il nostro sistema di vita possano essere travisati. Come si può evitare questo pericolo?
La storia della fantascienza, andando indietro fino agli anni ’40 e ai tempi della Guerra Fredda, incorpora totalmente il concetto di pericolo dell’estraneo. Nella letteratura fantascientifica americana degli anni ‘50 questo è talmente evidente da risultare oggi, per noi, ridicolo. A questo proposito mi viene da citare John Campbell, che ha scritto una storia che rappresenta benissimo la paura americana del comunista in incognito, che è anche un alieno sotto mentite spoglie. Nel mio romanzo ho scartato in un certo senso l’idea dell’alieno come nemico, per meglio dire l’ho pensato come un diverso tipo di nemico, che porta avanti un tipo di colonizzazione del genere di quella che l’America conduce nei confronti delle altre nazioni, cioè una colonizzazione economica.
Vari scrittori hanno affrontato il problema della convivenza con “l’estraneo” in modi diversi. Per citarne qualcuno, mi viene in mente China Miéville che, nel romanzo Perdido Street Station ipotizza l’esistenza di una società in cui convivono tante razze aliene, dove, per esempio è considerata normale una relazione tra un umano e un’aliena che ha uno scarabeo gigante a posto della testa. Ma, allo stesso tempo, è un romanzo molto intelligente, dove la tematica della convivenza non viene minimizzata. Quindi è certamente possibile affrontare questo tipo di argomento, anzi, gli scrittori che lo fanno meglio sono quelli che riconoscono che, quella delle differenze culturali è, specialmente a livello internazionale, una questione molto spinosa.
Qual è stata la scintilla che ha fatto nascere l’idea del romanzo? La prima riflessione, il primo pensiero intorno a cui è stato costruito?
Originariamente lo avevo scritto come racconto breve e trattava più semplicemente di colonizzazione. Penso che quello che sia successo poi, espandendolo come romanzo, è che mi sia reso conto che volevo andare oltre una semplice allegoria. All’improvviso ho realizzato che era molto più complesso di quello che avevo in mente all’inizio e che stavo scoprendo di voler parlare di cose a cui prima non avevo pensato. Per esempio, l’idea della storia d’amore in rete come reality show, all’inizio era una piccola parte della storia, che all’improvviso si è espansa e mi è sembrato che si adattasse molto bene, anche se non fa parte di un tipo di allegoria che rientra negli schemi.
Questa è la parte divertente del processo di scrittura, la sensazione di perdere il controllo sulla storia, che non è più una specie di esercizio simbolico, ma qualcosa che ti prende emotivamente, anche se non sai esattamente il perché.
Nei romanzi di fantascienza, la descrizione di questi mondi immaginari è forse il modo migliore per descrivere il nostro mondo?
Si, ma c’è sempre una limitazione interessante. Nei romanzi americani per ragazzi, ambientati in un futuro distopico, il governo è quasi sempre il nemico ma la cosa interessante è che, essendo la maggior parte di questi autori di ultra-sinistra, è facile capire il perché di questa scelta. E se quella del governo oppressore è sicuramente un’immagine molto efficace per i ragazzi, il problema è che poi si possa leggere tutto così. Voglio dire che, ad esempio, nel mio paese in questo momento è in corso una battaglia sulla limitazione dei poteri del Governo e contro i tentativi di distruggere il Governo. E la cosa strana è che una grossa percentuale dei miei connazionali è effettivamente convinta di vivere sotto un governo distopico e non si rendono conto di quello che vuol dire vivere davvero in posti come la Cina o la Russia sovietica.
In Paesaggio con mano invisibile in pratica non ci sono governi. È come nel cyberpunk, dove ci sono solo poteri economici che governano. È anche una denuncia contro la colonizzazione economica?
In realtà, devo dire di nuovo che non avevo pianificato fin dall’inizio di sviluppare questa idea, ma che è venuta fuori da sola a mano a mano che scrivevo. Il punto è che il potere politico e quello economico, i soldi e il potere, sono così talmente intrecciati che non riescono a distinguersi gli uni dagli altri. È impossibile pensare che le azioni intraprese dal governo siano slegate dagli interessi economici che girano intorno ad esse, che ogni decisione non sia presa per compiacere un gruppo selezionato di potere economico.
Sono stati fatti degli studi, negli Stati Uniti, che hanno preso in esame le legislature degli ultimi trent’anni, per capire come si fosse espressa la volontà popolare, attraverso il voto o vari sondaggi. E i risultati hanno dimostrato invariabilmente che gli esiti non coincidevano con quanto espresso dal 90% della popolazione, ma che solo il 5% aveva determinato il corso della legislatura. E questo è diventato sempre più vero, via via che il potere economico si è infiltrato nelle operazioni del governo.
È possibile pensare a cosa lascerebbero i vuuv se andassero via improvvisamente? Come potrebbe immaginare una loro partenza o un loro improvviso disinteresse nei confronti del nostro mondo?
Penso che ci sarebbe un periodo di declino, ma in circostanze del genere c’è sempre un gruppo di persone prenderebbe il potere per ricostituire il sistema. Quello che sarebbe interessante capire è che fine farebbe la tecnologia che lascerebbero sulla Terra, quanta di questa sarebbe da noi comprensibile e quindi utilizzabile. Una situazione del genere è narrata nel romanzo dei fratelli russi Arkadij e Boris Strugack Picnic sul ciglio della strada, dove si immagina che gli esseri umani si imbattano in manufatti alieni, da questi lasciati sulla Terra, ma nessuno riesce a capire come utilizzarli. E nel romanzo non c’è alcuna descrizione di questi resti alieni, perché gli autori non hanno fornito alcuno strumento per poterli immaginare. Quindi come si potrebbe guardare un oggetto completamente alieno e cercare di ricostruirne il funzionamento?
Ho immaginato i terrestri del romanzo come delle rane, messe in una pentola e che piano piano i vuuv hanno cotto e mangiato. E si sono create dinamiche come quelle di un’occupazione, con collaborazionisti e ribelli. Potrebbe essere una ribellione un eventuale seguito di questo romanzo?
In un certo senso una ribellione sarebbe possibile. Ma, se pensiamo anche come funziona il sistema del colonialismo nel nostro mondo, una possibile rivolta non sarebbe del genere umani contro alieni, come potremmo immaginare. Tanto per dire, sul volo che mi ha portato qui, c’era un tizio seduto nella fila di fronte, che guardava Indipendence Day, un film abbastanza ridicolo, che io detesto. Comunque, in questo film c’è una netta contrapposizione di umani contro alieni e il punto di svolta è quando il Presidente degli Stati Uniti prende in mano la situazione, al grido di Facciamo fuori quei bastardi!
e tutte le nazioni del mondo alla fine ringraziano gli americani.
Ecco, questo è un esempio di contrapposizione netta tra gli alieni invasori e gli umani uniti per sconfiggerli. Ma, come ben sanno per esperienza gli stati Europei, molto più degli Americani, questo tipo di conflitto non è mai così netto. Nel caso del mio romanzo, ci sarebbero degli umani armati dagli stessi vuuv, con i loro mezzi tecnologici e da questi istruiti, che combatterebbero contro gli altri umani. Pensiamo all’atteggiamento verso i partigiani, tenuto dalla popolazione durante la Seconda Guerra Mondiale, nei territori italiani occupati dai nazisti. Gran parte della popolazione insorgeva contro di loro o si opponeva, specialmente quando i nazisti adottarono come ritorsione che, per ognuno di loro ucciso dai partigiani venissero giustiziati dieci civili scelti a caso. Questo è, appunto, un esempio di collaborazionismo dettato dalla paura. Ma, nel nostro caso, potrebbe essere motivato dall’utilità economica, per mantenere un tenore di vita elevato. Quindi, nel caso ci fosse una rivolta, alcuni umani potrebbero organizzare una contro–rivolta.
Ritengo che se Paesaggio con mano invisibile dovesse essere adattato, un progetto tipo Netflix sarebbe più indicato rispetto ad un film, per meglio approfondire la psicologia dei personaggi. Mentre un film rischierebbe di essere trasformato in un kolossal fracassone sulla rivolta contro gli alieni.
Penso che sarebbe affascinante esplorare alcune delle relazioni umane, che scaturiscono quando qualcuno trae profitto da qualcosa che invece danneggia qualcun altro, vedere come si reagisce in situazioni di questo tipo. È un materiale molto interessante. Anche il produttore che sarebbe interessata a trarre un film da questo romanzo, con cui ho parlato proprio di questo la settimana scorsa, era contrario all’idea di farne un film su una ribellione, o qualcosa del genere, perché non avrebbe niente a che fare con il libro. Sarebbe il solito cliché di fantascienza che invece vogliamo evitare. L’idea sarebbe di fare qualcosa del genere di District 9.
Oppure Arrival?
Ecco, per esempio Arrival non è un film sull’alieno nemico.
Per me Arrival è uno dei film più interessanti, perché, dalla fantascienza speculativa, non si è costruito quel genere di film fracassone di cui parlavamo prima.
Infatti è un film più incentrato sugli umani che sugli alieni. E ha dei momenti davvero toccanti. Io avevo letto il racconto, prima di vedere il film e non avevo minimamente intuito in che direzione andasse la storia. E quando la madre dice so già che tutto questo accadrà, ma ho deciso di averti comunque
, ecco, questo è un momento davvero molto fico. È una storia terribilmente umana, anche se parla di alieni.
Potrebbe essere questo il limite della fantascienza che c’è oggi al cinema?Penso ai film sui supereroi, come quelli degli Avengers, che pure amo. Pensa che il pubblico si stancherà di questa visione esclusivamente battagliera e iperbolica della fantascienza?
Trovo molto noiosi i film di supereroi proprio per questa ragione, ma temo che questo trend continuerà ad essere molto seguito. E, sfortunatamente, per motivi che hanno a che fare più con ragioni sociali, che con i gusti in tema di fantascienza. Credo che l’intera popolazione mondiale stia virando sempre più verso un atteggiamento di aggressività generale. Sta succedendo qualcosa a livello quasi biologico. Sembra quasi che in tutto il mondo ci sia diffuso un inconscio desiderio di guerra, che non riusciamo a reprimere, anche se è una cosa assolutamente insensata. Ecco perché dicevo che è come se si stesse diffondendo a livello globale una sorta di risposta biologica, a qualcosa che normalmente sarebbe limitata localmente.
È una paura condivisa, in questo momento.
Ed è strano, perché allo stesso tempo tanta gente è preoccupata per questa situazione. Tuttavia, molti rispondono alla paura con la paura, che genera aggressività, che fomenta la paura. Ma nessuno si ferma a pensare a come fermare questo circolo vizioso.
Ho trovato il romanzo molto attuale, anche perché esce in un momento in cui questa polarizzazione di estremi buoni/cattivi, vittime/carnefici è diventata ancora più forte. È quasi profetico, direi. Forse è anche la forza della fantascienza, che riesce a guardare lontano.
Il problema è che siamo tutti parte di un sistema ed è veramente difficile immaginarci al di fuori di esso.
Comunque nel romanzo c’è una via d’uscita ed è alla fine, quando il protagonista smette di giocare, come gli adolescenti di cui parlavamo prima, che escono dai social network, quindi escono da questo sistema. Forse dovremmo ascoltare chi ci suggerisce di sottrarci a questi conflitti? Sarebbe questo il messaggio?
Non direi che ci sia un messaggio. È semplicemente ciò che penso che farebbe il nostro personaggio. Perché ci sono altre possibili modi in cui reagire, ma Adam decide che la migliore via di uscita è quella di perdere. Perché ha solo un valore limitato.
È una cosa che molti di noi non riescono a fare, per cui ho ammirato molto Adam. Ogni giorno io mi accedo ai social e dico a me stesso che non voglio starci, ma intanto sono lì. Quindi è ammirevole che lui scelga di uscire da un sistema. Il suo non è neo-luddismo però, ma è solo la sua via.
Sì, infatti. Potete vedere che è quello che emerge molto in questo libro (indica la mia copia del suo precedente romanzo Feed che sta sul nostro tavolo, pronto per essere autografata), che è di tanto tempo fa, che è stata la prima volta in cui ho pensato a come sarebbe stare connessi tutto il tempo.
In Feed c’è una maggiore ricerca di linguaggio rispetto a Paesaggio con mano invisibile.
Sì, in parte è dovuto al linguaggio di una generazione che non era più abituata a leggere. Se per Feed ho cercato di utilizzare pochissime metafore, similitudini, ma ho usato un vocabolario molto limitato, per via del fatto che qui il narratore è un idiota, ho fatto l'opposto in quest'ultimo dove il narratore è invece intelligente e si esprime bene. Nel primo caso l’effetto è quasi claustrofobico, non riesci a vedere il mondo come vorresti, perché il narratore è limitato, mentre invece Adam è in grado di esprimersi, darsi una spiegazione delle cose.
Ha avuto contatti con i traduttori per la versione in italiano del romanzo?
Sto cercando di ricordare se ci siamo scambiati qualche appunto.
Occasionalmente ricevo domande dai traduttori. A questo proposito, ricordo un episodio divertente, accaduto per la traduzione di un libro. Si trattava di un libro che avevo ambientato nel passato. Ho scritto due libri ambientati nel Diciottesimo secolo. Quello a cui mi riferisco The Astonishing Life of Octavian Nothing, Traitor to the Nation, Volume I: The Pox Party (vincitore del National Book Award for Young People's Literature nel 2006, Ndr), ambientato in una comunità scientifica del diciottesimo secolo ed è scritto interamente nella prosa inglese di quel secolo. Ricordo che ho ricevuto una domanda da un traduttore, portoghese, se non ricordo male, che mi ha chiesto Potrei usare una serie di pronomi ed espressioni formali, che non si usano più?
e io gli ho risposto Ma certo che devi fare così, amico!
E capisco che è molto fico, stava creando un linguaggio arcaico per la sua traduzione!
Era mai stato in Italia prima di oggi?
Sì, ma purtroppo ero troppo piccolo per ricordarlo. In tutto tre volte. Ho vissuto qui per un anno, quando avevo appena un anno e naturalmente non ricordo nulla. Poi di nuovo quando avevo quattro anni e lo ricordo, e infine sono venuto in gita scolastica quando ero al liceo. Quando avevo quattro anni ho vissuto qui con la mia famiglia, mio padre lavorava qui come addetto ai radar e questa esperienza ha in un certo modo contribuito alla formazione della mia estetica della fantascienza. Nel senso che, quando vivi in mezzo ad una cultura a te “aliena”, quando torni a casa ti rendi conto che il tuo ambiente di provenienza, che in fondo è solo l’America e che tutti intorno a te danno per scontato, invece a te all’improvviso sembra strano. E penso che sia questo quello che dovrebbe fare anche la letteratura: quando finiamo di leggere un romanzo e usciamo dal mondo della finzione, dovremmo guardare le cose intorno a noi, che ci sono familiari e dovremmo all’improvviso vederle come un po’ strane, come se si guardassero con gli occhi di uno straniero. A questo proposito, il libro di Shaun Tan, L’approdo, è un esempio di questo effetto di nazione aliena, creando un mondo che è alieno in accordo con il lettore, che fa la stessa esperienza di un immigrato.
E con questa ultima riflessione ho ringraziato M.T. Anderson del suo tempo e della interessante chiacchierata.
(Si ringraziano: Giulia Taddeo della Rizzoli per la traduzione durante l'intervista e Marina Urrata per la trascrizione dell’audio)
Paesaggio con mano invisibile
Una invasione aliena dai toni grotteschi e satirici che costringe l'umanità a "mettersi in scena" nel vero senso del termine in un romanzo che è anche un monito contro i totalitarismi di ogni tempo e le diseguaglianze.
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