Reduce dall’aver difeso New York dai piani della Mano insieme ai Difensori, Luke Cage (Mike Colter) torna a occuparsi della sua Harlem, mentre l’amata Claire (Rosario Dawson) vorrebbe che si tirasse fuori dalla mischia e dall’attenzione mediatica. Misty Knight (Simone Missick) deve fronteggiare le conseguenze del suo nuovo stato dopo la perdita del braccio e della scoperta del corruzione del suo defunto collega Scarfe (Frank Whaley).
Sul quartiere domina incontrastata regina del crimine Mariah Dillard Stokes (Alfre Woodward), insieme al suo fido tirapiedi/amante Shades (Theo Rossi), ma il suo dominio viene insidiato da una banda rivale, composta da giamaicani guidati dal misterioso Bushmaster (Mustafa Shakir), il quale non solo sembra dotato di poteri in grado di competere con quelli di Luke, ma è mosso da un desiderio di vendetta nei confronti di Mariah che risale a tempi remoti.
Ma non ci sono solo problemi connessi alla malavita ad affliggere eroi e criminali.
Mariah, combattuta tra il desiderio di potere e quello di riscatto nei confronti dell’opinione pubblica, cerca di riconquistare l’affetto della figlia Tilda (Gabrielle Dennis).
Luke rifiuta con malcelata riluttanza i tentativi di riavvicinamento del padre James (Reg E. Cathey). Lo stesso Shades deve bilanciare il suo rapporto fraterno con l’amico di sempre Comanche (Thomas Q. Jones).
Bushmaster stesso viene incalzato dallo zio Anansi (Sahr Ngaujah) che gli ricorda che il suo primo dovere è verso l’incolumità della sua famiglia e della sua comunità.
E come non ricordare che per Misty il collega era un mentore, praticamente un fratello maggiore?
La seconda stagione è pertanto un intreccio di azione, violenza efferata, sparatorie, drammi personali e familiari. Una versione blaxploitation de Il Padrino con l’aggiunta di personaggi con superpoteri. Le citazioni sono sparse per tutti i tredici episodi, talvolta sottili, poi sempre più palesi.
Nella miscela non manca qualche illustre ospite dalle altre serie Marvel/Netflix, come Foggy Nelson (Elden Henson) e Daniel Rand (Finn Jones), anche se per la maggior parte della serie Luke dovrà comunque vedersela da solo.
Ogni episodio è puntellato da musica che va dal blues al soul per arrivare all’hip hop. La narrazione non è sempre scorrevole, talvolta si ha l’impressione che i tempi dell’azione siano eccessivamente dilatati, per non parlare del finale che sembra arrivare per poi essere quasi pretestuosamente rinviato. Quasi come se si raccontasse quello che forse entrava in 8-10.
Si arriva comunque alla fine, incuriositi da un finale che prelude a orizzonti interessanti. Dove proseguirà l’esplorazione dell’antologia dei generi cinematografici nel mondo Marvel? La risposta in una possibile terza stagione o nelle altre stagioni in preparazione degli altri personaggi Marvel/Netflix.
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