Toby (Adam Driver) è un regista pubblicitario in cerca d'ispirazione. Alle prese in Spagna con lo spot di una vodka che per testimonial Don Chisciotte, non riesce a fare proseguire la lavorazione. Pressato dal suo agente/assistente Rupert (Jason Watkins), dal suo capo (Stellan Skarsgård) che farebbe di tutto per compiacere il suo cliente Alexei Miiskin (Jordi Mollà), la cui moglie Jacqui (Olga Kurylenko) gradirebbe da Toby delle attenzioni "speciali", una sera ritrova quasi "casualmente" un vecchio DVD che contiene un film molto speciale: L'uomo che uccise Don Chisciotte. Si tratta del suo vecchio saggio di quando studiava regia cinematografica e sognava Hollywood, girato in luoghi poco lontani da quelli in cui sta lavorando.
Sono passati dieci anni e improvvisamente a Toby viene la curiosità di scoprire cosa sia successo a quei luoghi e a quelle persone, in particolare al "suo" Don Chisciotte, il ciabattino Javier (Jonathan Pryce) e alla protagonista femminile, l'allora minorenne Angelica (Joana Ribeiro).
Il ritrovamento di uno Javier imprigionato nella illusione di essere davvero Don Chisciotte della Mancia sarà l'inizio dell'avventura di Toby alla ricerca di se stesso, perennemente sospeso tra la "realtà" e quello che viene percepito.
L'uomo che uccise Don Chisciotte di Terry Gilliam arriva nelle sale cinematografiche dopo una delle gestazioni più tormentate della storia del cinema. Si tratta di un progetto che molti appassionati pensavano ormai destinato allo stesso limbo del Napoleone di Stanley Kubrick o del Dune di Alejandro Jodorowsky. Gilliam invece ci ha creduto fino alla fine e, dopo tante false partenze arriva finalmente al pubblico.
Dico finalmente perché chiunque abbia visto il documentario Lost in La Mancha, che racconta una di queste false partenze (l'unica in cui sia stata girata qualche scena) e abbia un minimo di empatia, non ha potuto non partecipare alla frustrazione di Gilliam alla mancata realizzazione di questo sogno.
Non sapremo mai cosa sarebbe stato il film pensato in origine, perché è evidente che alcune situazioni narrative siano cambiate nel tempo, raccontando di cose a noi vicine, ma non importa. Abbiamo un film di oggi di cui parlare.
L'uomo che uccise Don Chisciotte è innanzitutto la storia di Toby, il vero eroe riluttante della vicenda, chiamato a essere il vero protagonista della sua vita dal mentore Javier/Chisciotte. Gilliam attinge alla valenza allegorica dell'opera di Cervantes, dimostrando come parlando di uomini che vedono giganti, castelli, castellani e castellane dove gli altri vedono mulini a vento, baraccopoli, straccioni e straccione, si parli dell'eterno conflitto tra cosa è reale e cosa è percepito ogni giorno.
Il film diventa, nelle sequenze ambientate nella "fattoria" con il fattore interpretato da Sergi López e la moglie da Rossy de Palma, il chiaro riferimento all'atteggiamento diffuso nei confronti del diverso per il quale è la stessa paura ad alimentare una visione illusoria di pericolosità. Visione che rischia l'auto avveramento perché innescata dalla stessa paura.
Gli episodi e le situazione del Don Chisciotte della Mancia sono quasi tutti lì. Chi li ha letti li troverà cambiati e trasfigurati con fedele infedeltà, incastonati nel percorso che porterà Toby al confronto finale con i suoi demoni, mescolati anche con autoironia a chiari riferimenti ai pregressi tentativi di lavorazione del film. Cinema e meta-cinema mescolati sapientemente.
Cosa succederà alla fine però non è affatto banale, e vi lascio scoprirlo.
Va detto che in alcuni punti la sceneggiatura sembra proseguire con qualche balzo logico, qualche incastro appare forzato. Ma l'acutezza della visione dei singoli elementi illumina e aiuta a proseguire il cammino.
Non solo situazioni e allegorie narrative. La visione cinematografica di Gilliam qui si esprime al suo meglio, ricordando a tutti noi, qualora ce ne fosse bisogno, che i primi effetti speciali sono dati dalla capacità di illuminare, di concepire inquadrature e movimenti di macchina, affidandosi alla varietà degli strumenti e delle professionalità che il linguaggio del cinema offre, dalla pre-produzione fino alla post-produzione e persino alle musiche di Roque Baños, tra le migliori da un punto di vista prettamente narrativo mai ascoltate negli ultimi anni.
Questa volta Gilliam non ha perso la bussola della situazione, rimanendo concentrato fino alla fine.
Senza poi l'eccezionale cast, questa peculiare versione del Don Chisciotte della Mancia di Miguel de Cervantes non sarebbe stata la stessa.
La bravura e l'affiatamento del duo Pryce/Driver è ai più alti livelli mai visti. I due attori lavorano su voce (nella versione originale) e gestualità rendendo totalmente credibili tutti i passaggi di tono che l'agrodolce di questa storia impongono.
Si tratta infatti sia di una farsa allegorica, che di una commedia, forse anche di un melò, con momenti di tragedia. Se non si avverte un senso di discontinuità in questo continuo cambiamento di toni è anche grazie alla capacità del duo di protagonisti, sui quali poggia gran parte del film, ben coadiuvato dal resto del cast.
In conclusione, L'uomo che uccise Don Chisciotte riesce a essere un imperfetto capolavoro, perché è un film fedele alla visione di chi lo ha bramato per tanti anni, perché anche i suoi passaggi meno riusciti mostrano che non sono tirati via, ma affrontati con tutti i sentimenti.
Un film da vedere, per ricordarci che per fare una cosa, non basta solo sognarla, ma anche dedicarcisi caparbiamente, sfidando tutte le forze avverse, tra le quali, va ricordato, possiamo esserci anche noi stessi.
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