First Man – Il primo uomo è il raccconto del percorso che ha portato Neil Armstrong a essere il primo uomo a mettere piede sulla Luna, il 16 luglio 1969.
Una vicenda che nel film inizia nel 1962, con la morte per le complicazioni dovute a un tumore della figlia Karen, e termina il 21 luglio 1969, con l’atterraggio dell’Apollo 11 e il successivo sbarco di Armstrong e Aldrin.
Il punto di vista di Damien Chazelle (Whiplash, La La Land) è quello di Armstrong, ingegnere pilota collaudatore che aderisce al programma spaziale più per cambiare vita che per una passione smodata per l’obiettivo.
Amstrong presenta la sua domanda pochi mesi prima del discorso di John Fitzgerald Kennedy alla Rice University nel quale il presidente degli USA indicava come prioritario l’obiettivo di mandare degli uomini sulla Luna entro gli anni ’60, pertanto non si può dire che fosse stato infervorato.
Il film racconta un uomo introverso, ligio agli obiettivi per pragmatismo professionale, che subisce i lutti del programma spaziale senza tradire emozioni, che reagisce con un “ok” alla proposta di comandare la missione Apollo 11, diventando di fatto il primo uomo che avrebbe posato piede sulla Luna.
Concentrata su Armstrong, la cui freddezza e incapacità di tradire emozioni sono una volta tanto congeniali alle poche gamme espressive del pur funzionale Ryan Gosling, la storia del film allarga di poco l’orizzonte, sia con i personaggi più vicini, come la moglie Janet (Claire Foy di The Crown), o gli sfortunati Elliot See (Patrick Fugit) e Gus Grissom (Shea Whigham), che con Buzz Aldrin, affidato alla cinica maschera di Corey Stoll.
C’è il tentativo di raccontare il contesto, sia attraverso la citazione di Kennedy, sia nel mostrare manifestazioni critiche dell’epoca di chi, alla luce dei costi e dei lutti subiti dal programma, dubitava della sua utilità.
Ma in ogni caso protagonista assoluto è Armstrong, nel bene e nel male, un uomo che rivela di avere sentimenti solo in rarisssime occasioni, tra le quali il deprecabile ed enfatico finale del film. La sua parabola diventa quella della sfida che ha rappresentato il programma Apollo, una sfida che anche chi l’ha accettata dubitava potesse riuscire, tanto che era pronto l'epitaffio sul possibile fallimento. Una sfida riuscita perché chi l’ha condotta ha fatto prevalere l’umana caoticità alla freddezza delle macchine.
Se c’è una cosa che emerge dalle tante scene e situazioni narrate dal film, è che non si è trattato solo di spedire degli uomini dentro una capsula con una traiettoria calcolata e definita, ma che il fattore umano è stato determinante.
La messa in scena è curata. Le capsule spaziali e gli ambienti appaiono caotici, assemblati come se fossero di fortuna, perché lo erano davvero, perché di fortuna più o meno sono tutti i prototipi.
Le scene spaziali pagano il loro esplicito tributo sia alla documentaristica relativa che al cinema di finzione, citando il Kubrick di 2001: Odissea nello Spazio, il quale nel 1968 a sua volta era ispirato dal programma spaziale in corso in quegli anni, proiettandolo in una dimensione fantascientifica ancorata al realismo.
First Man è invece un solido film realistico, che punta alla fedeltà della ricostruzione. In tal senso gli effetti sonori sono, più che quelli visivi, il perfetto completamento narrativo alle cura delle immagini. Anche in questo caso c'è un tributo cinefilo pagato, ed è il superbo Uomini Veri (The Right Stuff), film del 1983 diretto da Philip Kaufman che ricostruiva il programma Mercury, e che proprio sull’aspetto della ricostruzione sonora vinse premi e riconoscimenti.
Di quel film First Man è l’ideale completamento. Un film che racconta una storia importante, vista dagli occhi di uno degli uomini che ne hanno fatto parte.
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