Quando ho sentito parlare per la prima volta de Il Grinch ho pensato una cosa soltanto: “ancora?”. Il libro del Dr. Seuss (pronunciato “Soice”) è già stato adattato magistralmente in un film d’animazione narrato da Boris Karloff e, in maniera un po’ più impacciata, con un live action in cui Jim Carrey si divertiva a farsi coprire di pelo verde. Cos’altro può raccontare questo ennesimo lungometraggio? Quando sollevarono questi dubbi al produttore Chris Meledandri egli fornì una risposta sibillina, egli affermò che la trama avrebbe approfondito le origini del misantropo personaggio, raccontando lati nascosti della sua personalità. Solo ora capisco cosa voleva dire.
12 giorni a Natale – Trama
Il Grinch (Alessandro Gassman) è un burbero essere irsuto che trascorre le giornate isolato nel ventre di un’aspra montagna. L’unico compagno della sua vita è il fedele e servizievole cane Max, per il resto i suoi vuoti sociali sono colmati da un consumo alimentare patologicamente emotivo e dalla continua riproduzione della canzone All By Myself di Celine Dion. Proprio a causa degli eccessi gastronomici, il verde personaggio si trova a dover infrangere la sua vita eremitica per scendere alla vicina città di Chistaqua e recuperare scorte per l’inverno
Nel farlo deve però fronteggiare le intollerabili e chiassose celebrazioni natalizie, l’irritante cortesia degli abitanti del paese e la loro stomachevole allegria. Proprio questo eccesso di sentimenti positivi finisce con il fare definitivamente leva sull’istinto antisociale e burbero del Grinch, il quale decide di annichilire l’entusiastico buon umore dei suoi concittadini rubando il Natale.
Natale allo zenzero – Atmosfera
È importante affrontare l’elefante nella stanza ed esplicitare subito un particolare: questo Grinch non è particolarmente “seussiano”, è piuttosto un incrocio tra Gru di Cattivissimo Me e l’impacciata Bridget Jones. L’ingombrante presenza della casa di produzione Illumination Entertainment (Cattivissimo Me, Minions) adombra completamente le bizzarre deviazioni del caro dottore, il quale, tanto poliedrico da riuscire a destreggiarsi sia con la pornografia che con l’editoria infantile, era solito impepare le sue trame con sottotoni cupi e inquietanti.
La pellicola viene introdotta da un corto dedicato ai pluribrandizzati Minions, palesando a velocità disarmante la sua natura di blockbuster che mira ad appagare tutta la famiglia. Esistono tuttavia delle occasionali eccezioni in cui il film cerca di forzare i limiti minimi imposti dal mercato, barlumi di eccellenza che sembrerebbero voler valicare l’obiettivo del mero intrattenimento per ambire a traguardi più alti. A mostrare un potenziale innegabile è soprattutto la colonna sonora, squisitamente reminiscente del capolavoro che fu Nightmare Before Christmas e non per nulla affidata – forse furbescamente – proprio ai talenti compositivi del celeberrimo Danny Elfman. Anche la direzione artistica dimostra di avere un certo numero di assi nella manica: l’inizio è forte e roboante, vivo fino ai minimi dettagli, totalmente immersivo. Flora e fauna onirici aprono la scena, poi ci si sposta tra le altrettanto bizzarre e pittoresche abitazioni di Chistaqua, squisite nella loro meccanica e colorata complessità, quasi si trattasse di pezzi di un carillon. Sfortunatamente l’ispirazione lascia velocemente il passo a un design meno audace e poetico, a scelte registiche e fotografiche amaramente funzionali che impallidiscono al confronto con i fugaci attimi iniziali.
Bianco Natale – Conclusioni
Il Grinch è una rilettura per bambini di un cartone animato per bambini ispirato a un racconto per bambini. È un film pressoché innocuo, non aggiunge nulla di significativo all’arco narrativo del protagonista, anzi lo sconvolge per allinearsi ai gusti del mercato contemporaneo. Sostenuto da gag simpatiche e da un brillante staff di animatori, Il Grinch non entrerà certamente nella storia del cinema, ma si rivela nondimeno uno svago gradevole, capace di strappare qualche risata e di piacere a grandi e bambini.
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