Nel mese di novembre Alan Lee e John Howe hanno tenuto presso il Mimaster di Milano il corso I viaggiatori della Terra di Mezzo. Nel periodo della loro presenza nel capoluogo lombardo i due illustratori hanno presentato il loro lavoro agli iscritti al corso e ad alcuni addetti ai lavori in una conferenza intitolata Immaginifico Tolkien. Insieme a Lee e Howe erano presenti Luca Manini, traduttore di La caduta di Gondolin, e Roberto Arduini, presidente dell’Associazione Italiana Studi Tolkieniani.
Luca Manini è alla sua quarta traduzione di un’opera di Tolkien dopo Beowulf (2014), La storia di Kullervo (2010) e Beren e Lúthien. Se Beowulf era la traduzione di un’opera antica e La storia di Kullervo la rielaborazione in prosa di un mito del Kalevala, Beren e Lúthien e La caduta di Gondolin mostrano uno scrittore che costruisce la sua opera. Non si tratta di un testo finito, come Il signore degli anelli, ma di una serie di testi, variamente modificati fra il 1916 e il 1951. Lo stile si modifica, la lingua è ricca e si riaggancia volutamente al passato allontanandosi dall’inglese contemporaneo, sono presenti arcaismi, o costruzioni particolari che, anche se non possono essere rese alla lettera, in qualche modo vanno fatte percepire anche in italiano. Per questo ha cercato di usare parole desuete, per ritrovare lo spirito di una lingua non più usata e che ha forti echi di Edmund Spenser e William Morris, modificando la struttura sintattica italiana per compensare la perdita delle antiche declinazioni anglosassoni.
Gondolin, nell’immaginario di Tolkien come nelle illustrazioni di Lee, è la città della perfezione, della bellezza, e ciò che colpiscono di lei sono l’armonia e il biancore, ma proprio questa perfezione è ciò che la cristallizza e la rende immobile. È una città da contemplare più che da vivere, tanto è vero che nell’illustrazione della copertina un Tuor visto di spalle non può che contemplarla da lontano. Una perfezione destinata però a scomparire, tanto è vero che a pagina 96 improvvisamente il fuoco divora la città e il colore dominante è il rosso del fuoco e del sangue.
Per quanto interessanti fossero i rilievi di Manini, l’attenzione maggiore era concentrata sui due illustratori.
L’intesa fra Lee e Howe, che per anni hanno lavorato al fianco di Peter Jackson per costruire l’immaginario visivo delle trilogie cinematografiche Il signore degli anelli e Lo Hobbit era evidente. Numerosi i richiami a quanto aveva detto l’altro, o i commenti che facevano intuire un modus operandi per molti versi simile e un’identica visione del lavoro e del modo di approcciarsi, cosa che ci ha fornito un immaginario coerente, nel quale solo le affermazioni fatte dai protagonisti permettono di distinguere l’operato dell’uno dall'operato dell’altro. Lee, da sempre affascinato dalla mitologia, ha trovato nelle opere di Tolkien una mitologia moderna, e vorrebbe poterla illustrare nella sua interezza. Howe ha rimarcato come loro siano felici per la possibilità di rappresentare i mondi creati dai moderni autori. Fra gli altri mondi c’è anche quello di George R.R. Martin: a lui è stato affidato l’incarico di realizzare il calendario ufficiale delle Cronache del ghiaccio e del fuoco del 2020.
Se questo è un progetto a cui sta ancora lavorando, anche se ha quasi finito, Howe ha appena pubblicato la Guida ai luoghi della Terra di Mezzo, un volume che gli ha donato l’opportunità di organizzare le opere realizzate nel corso degli anni per i romanzi, quelle realizzate per i film, e di realizzare alcune opere nuove. Con quest’ultima tipologia di immagini ha potuto visitare luoghi che non aveva mai visitato prima. Qualche minuto più tardi Lee ha spiegato di voler realizzare un’opera simile. Intanto, corredato dalle sue illustrazioni, è arrivato in libreria La caduta di Gondolin.
Si tratta del terzo dei grandi racconti della Prima Era a cui J.R.R. Tolkien era particolarmente legato. Gli altri, I figli di Húrin e Beren e Lúthien, erano arrivati in libreria rispettivamente nel 2007 e nel 2017, sempre con illustrazioni di Lee. Alan ha spiegato come la realizzazione di queste illustrazioni sia stata una straordinaria opportunità, perché gli ha consentito di visitare una mitologia diversa da quella della Terza Era apparsa nei film.
Tornando ai film e parlando dei sei anni trascorsi in Nuova Zelanda per la prima trilogia, Lee ha mostrato alcuni schizzi eseguiti in vista della realizzazione del set di Minas Tirith, soprattutto disegni a matita e acquerelli, mentre Howe ha realizzato un maggior numero di tavole a colori. Lee ha seguito il percorso di Gandalf dall’arrivo, con la visione dell’esterno, al percorrere all’interno le diverse vie. Si è trattato di un passaggio continuo dalla visione d’insieme a quella al dettaglio, che ha compreso l’ideazione della pianta della città. Le illustrazioni erano sempre intese in funzione della ripresa filmica. La fase successiva ha compreso la realizzazione di una miniatura, che è stata fotografata e aggiunta con photoshop. Se gli oggetti di scena dovevano prima essere disegnati e poi realizzati, e alcune immagini del libro illustrato sfogliato da Sam hanno mostrato la cura con cui è stato eseguito il lavoro, la scenografia non è stata costruita ma aggiunta successivamente alle riprese.
Per Lo Hobbit sono state riutilizzate le vecchie location ma ne sono state aggiunte anche di nuove. Nella fase iniziale di ideazione la troupe ha trascorso parecchio tempo in elicottero per trovare i luoghi migliori. Il lavoro sui modellini è stato accantonato in favore della computer grafica, con set costruiti solo in parte.
Howe ha rilevato come spesso nei suoi schizzi compaiono dettagli che non hanno nulla a che vedere con la scena rappresentata. Quando viene un’idea, ha spiegato, è meglio fermarsi e metterla su carta, perché altrimenti sparirà e non si presenterà più. Gli schizzi testimoniano anche numerosi cambi di idee del primo regista, Guillermo del Toro. Rappresentare un set, ha aggiunto, significa girare nel e attorno al luogo, attraversarlo in tutte le direzioni per renderlo solido e convincente, esplorando luoghi vasti senza dimenticarsi dettagli minimo come possono essere le serrature delle porte. Anche il più umile degli oggetti è un’ottima occasione per esplorare la cultura del personaggio a cui appartiene, così, per esempio, se nei mobili della casa di Beorn ci sono riferimenti ai miti nordici, non mancano dettagli che ricordano la sua natura di mutapelle. E anche la cultura Maori dei luoghi in cui è stata realizzata la trilogia ha lasciato le sue tracce a livello visivo. L'idea non era tanto di realizzare un luogo legato a una specifica cultura, ma un luogo diverso da quelli abituali.
I set sono stati costruiti iniziando con le maquette, modelli, spesso in polistirolo perché sono rapidi da realizzare anche se non consentono una grande precisione. Una volta approvato, tutto ciò che doveva essere toccato veniva realizzato con materiali diversi. Howe era affascinato dal lavoro degli scultori, capaci di intagliare i materiali con un unico gesto, e trascorreva molto tempo intorno a loro. Per il fantasy la credibilità è fondamentale, ed è solo realizzando l’oggetto che si vede se si è raggiunto lo scopo che si erano prefissi. Lee ha sottolineato come la visione dei film per loro sia stato un momento magico perché, finita la parte creativa, hanno visto gli oggetti che hanno ideato inseriti nel giusto contesto e li hanno visti prendere vita. Una magia che gli spettatori dei film e coloro che guardano le loro opere vedono continuamente operare i suoi effetti davanti ai loro occhi.
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