L'incipit è un’avventura talmente realistica da confondere lo spettatore: il Capitano Hogancamp, "Hogie" per gli amici, guida il fuoristrada, per allontanarsi, o avvicinarsi a non si sa bene cosa e chi. Si capisce dall’uniforme che siamo negli anni della Seconda Guerra Mondiale. Al suo fianco una donna. I personaggi hanno movimenti strani, a scatti. Solo dopo si capisce che sono action figure, rappresentanti gli attori, che interpretano i protagonisti di questa vicenda tristemente vera.
Mark Hogancamp, interpretato da Steve Carell, classe 1962, nacque in un sobborgo di New York in una famiglia borghese. Fin da piccolo espresse la sua creatività, attraverso disegni e miniature. Si arruolò in Marina e descrisse attraverso i suoi schizzi la vita quotidiana nelle navi e in Europa. Certo, era evidente che Hogancamp avesse un po’ di problemi sia relazionali, sia di equilibrio psicologico. A parte per l’alcolismo, fu ricoverato varie volte in istituti di riabilitazione. Poi una sera, l’8 aprile del 2000, Hogancamp andò in un bar e chiacchierando con un tipo gli svelò un suo vezzo: indossare scarpe da donna. Le reazioni degli uomini (inteso come genere umano) sono le più strane e imponderabili agli eventi e alle notizie. Evidentemente l’ascoltatore non gradì molto le stranezze del protagonista e non appena fuori dal locale, con l’aiuto di altre quattro persone, lo massacrarono di botte, calci. Come se questo potesse liberare il mondo dalla stranezza, come se la stranezza altrui non avesse pari diritto di esistere.
Per fortuna un uomo lo trovò in fin di vita e da lì cominciò un lungo iter, dopo una lunga operazione chirurgica al viso, per riacquisire le funzionalità principali: mangiare, camminare, leggere. Aveva rimosso tutti i ricordi della vita da adulto. Ma quando qualcosa viene rimosso in modo deliberato, o meno, da qualche parte riemerge e spesso riemerge sotto forma di fantasmi, ansie, smanie. Qualcosa di incontrollato, con cui è difficilissimo convivere e che costringe a una qualità della propria esistenza bassa, intrappolata in paure non identificate. Una volta deciso il luogo in cui sopravvivere Hogancamp catalizzò i suoi interessi nella creazione di soldatini e miniature e dato che non aveva più la manualità di prima, aumentò la scala, facendo diventare più grandi i suoi eroi. Ne scelse uno che gli assomigliasse e che potesse essere il suo alter ego, appunto il Capitano Hoogie, quello che vediamo all’inizio del film, quello che incarna la sua voglia di riscatto, di libertà, quello a cui è demandata la rivendicazione dei propri diritti contro i barbari che lo hanno assalito, impersonati dai nazisti invasori del mitico paesino belga di Marwen, creato con le scenografie e gli edifici costruiti dallo stesso Hogancamp.
La vicenda quindi si svolge in parallelo fra storie inventate e storia reale della vita dell’artista, fra visite mensili dell’infermiera, il lavoro al pub, la conoscenza con Nicole, la vicina di casa, interpretata da Leslie Mann, su cui il protagonista poserà i suoi interessi non ricambiati.
Il film ripercorre anche, con delicatezza, il processo, l’incontro con gli assalitori e la scoperta di Hogancamp da parte di un vicino fotografo che apre la sua arte al grande pubblico.
Per carità il film è caruccio, tutto sommato interessante la storia e soprattutto la resa della storia con le action figures in primissimo piano. Ma quando passano i minuti e gli eventi cominciano a ripetersi e ripetersi e lo spettatore prevede ciò che ha già visto un paio di volte, ecco allora si fa chiara l’idea che in 20 minuti si sarebbe potuto concludere tutto, rendendo più agile ed efficace il messaggio e la comunicazione.
Peccato perché gli attori sono bravi, forse Carell un po’ sopra le righe, ma è vero che parliamo anche di una persona fuori dagli schemi. Un film che avrebbe potuto dare più illuminare meglio, evitando la noia soporifera, situazioni ancora troppo frequenti, problemi la cui risoluzione è purtroppo lontana.
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