L’anteprima di un nuovo libro è un’ottima scusa per incontrare due tra i maggiori autori del fantasy italiano, soprattutto se si tratta della preview di Terra senza Cielo, l’antologia che Luca Tarenzi e Aislinn hanno lanciato in anteprima al Lucca Comics and Games 2018 e che sarà disponibile in cartaceo da maggio 2019.

Antologia a quattro mani o esperimento di metaletteratura dialogata?

L’idea di un’opera a quattro mani, ci racconta Aislinn, nasce durante una chiacchierata davanti a un sushi. Un’antologia di racconti già pubblicati in altre antologie, ormai introvabili, con una sola regola: il numero di pagine a disposizione dei due autori deve essere la stessa; non importa la quantità dei racconti, ma lo spazio nell’antologia sarà perfettamente diviso a metà. E quindi, perché non aggiungere qualche racconto inedito? Una collezione di racconti che sia anche la fotografia dell’evoluzione dello stile e dei temi dei due scrittori, ma anche la storia della loro collaborazione: riprendere in mano vecchi testi, limarli, ma lasciare che raccontino il momento in cui sono stati scritti.

Così scopriamo, per esempio, la storia di Lucifero, che lega tra loro i due Angelize (avete scovato la strizzata d’occhio ai romanzi in Né al Dio né al Diavolo?); ma anche un racconto su Azazel, rimasto nel cassetto per dieci anni, che prende forma proprio grazie alla collaborazione tra i due autori (e che troverete come bonus track solo nella versione cartacea dell’antologia).

Terra senza Cielo
Terra senza Cielo

Terra senza Cielo è quindi un enorme puzzle del percorso narrativo di Luca Tarenzi e Aislinn, di cui ogni frammento viene raccontato nell’introduzione a ciascun racconto: non solo narrativa, quindi, ma una sorta di storia della storia, che procede con botte e risposte tra i due autori, fino a diventare un vero esperimento di metaletteratura dialogata.

Un esperimento che culmina quindi in un mescolamento delle carte in gioco: ognuno dei due autori scrive un racconto che ha come protagonista il personaggio di un libro dell’altro. E quindi, ecco che Tom di Né al Dio né al Diavolo prende forma nelle mani di Luca Tarenzi, mentre Giacomo di Di Metallo e Stelle rivive nella penna di Aislinn. I due scrittori spiegano le difficoltà di questo lavoro: capire, profondamente, l’ambientazione dell’altro, attraverso appunti, mappe, discussioni, ma anche entrare nella storia e  immaginarne sviluppi successivi che possano essere condivisi da chi ha partorito il personaggio nella sua mente.

Ma… e l’urban fantasy?
Di metallo e stelle
Di metallo e stelle

Come tradizione ormai consolidata per i due autori, il genere dell’antologia è l’urban fantasy ed è Luca Tarenzi, con la consueta passione (e competenza) a spiegarci il motivo della sua propensione per questo genere. Uno dei possibili presupposti della narrativa fantastica (di cui avevamo parlato anche con Fabio Guaglione e Maurizio Temporin, autori di IF, la Fondazione Immaginaria) è la presa di coscienza che la realtà in cui viviamo non ci soddisfa e questo ci porta a tre possibili reazioni: possiamo crearne una nuova (la strada del fantasy); possiamo portare la nostra alle sue estreme conseguenze (in una distopia o, più in generale, nella fantascienza); oppure, e questo è il percorso dell’urban fantasy, possiamo osservare che la nostra realtà non ci piace, ma che il cambiamento è già qui e, come ogni cambiamento, ci fa paura.

Un incrocio, due vie: dall’horror all’urban fantasy e viceversa

Se fuggiamo dal cambiamento, osserva Aislinn, se ci fa paura, non lo vogliamo, ci paralizza, il risultato è un senso di orrore e il genere che ne deriva è, ovviamente, l’horror: il nuovo, o il diverso, si intromette nella nostra realtà, è qualcosa di intrusivo, estraneo, che va combattuto, perché non siamo in grado di accettarlo.

Ma se spostiamo il nostro paradigma mentale, accogliamo il senso di meraviglia che si accompagna al nuovo e ce ne lasciamo trasportare, entriamo nel mondo dell’urban fantasy: un genere difficile da interpretare, ma che rappresenta l’emblema della contemporaneità. Se è vero che una storia basta a se stessa e non deve dimostrare niente, è anche vero che non esiste storia che funzioni senza dire qualcosa: un qualcosa che rappresenta, in qualche modo, una morale, una tesi del suo autore e che, anche se non voluta, finisce per rientrare nel racconto anche dal buco della serratura. Una storia che funziona deve cambiare il lettore, anche in minima parte, quanto meno perché lo induce a porsi una domanda.

Strano e diverso conditi con il fantastico
Né a dio né al diavolo
Né a dio né al diavolo

Il fantastico, per dirla con Lucrezio, autore latino del De Rerum Natura, è il miele che rende tutto più goloso. Ma l’urban fantasy, osserva Tarenzi, getta un’ancora al lettore attraverso la sua ambientazione contemporanea, con un secondary world ben definito nella sua mente (pensiamo a Milano o a Londra), un mondo in cui noi potremmo senza sforzo fingere di trovarci. Noi tutti siamo, in fondo, plausibili protagonisti di una storia urban fantasy. Certo, alcune location possono essere per noi esotiche: per quanti di noi New York è un mondo dell’immaginario, noto attraverso rappresentazioni grafiche e mappe, né più né meno di Mordor?

 

L’identificazione del mostro

Quello che rende speciale e (potremmo aggiungere) prezioso l’urban fantasy è la sua capacità di rendere lo strano in qualche modo normale e di aprire una finestra di dialogo con il diverso. Chi è diverso e chi è mostruoso, in un mondo urban fantasy? I personaggi non sono mostri per nascita. Sono mostri solo quelli che consapevolmente scelgono di essere mostri. Anche gli uomini possono essere mostri, poiché il mostro è l’entità totalmente aliena da un gruppo, qualcuno con cui non è possibile dialogare.

Il mostro lovecraftiano, che parla una lingua a noi totalmente ignota e inconoscibile, non ha scelta, qualcuno ha scelto per lui. Questa è l’essenza dell’horror: diversità inconciliabile, fuga e, se si è fortunati, esorcismo.

La diversità come libertà

Ma la nostra epoca è lontana da quella di Lovecraft e ha altre cose da dire: la nostra parola d’ordine è libertà, una parola vaga, ma che entra prepotentemente nei nostri dialoghi. E allo stesso tempo, l’urban fantasy attinge alle radici profonde della nostra cultura, fatta di divinità antiche e di mostri, in un inno alla libertà anche nella ricerca spirituale, che è bisogno di qualcosa di altro, ma senza alcun tipo di limitazione alla libertà.