Spencer e Warren sono amici fin dall’infanzia e insieme frequentano il college. Uno è un brillante studente d’arte, l’altro ha preso una borsa di studio come sportivo, ma entrambi non sono soddisfatti dalla vita che stanno vivendo e che ritengono mediocre. Durante una gita alla Transylvania University di Lexington in Kentucky, Spencer scopre che la biblioteca contiene delle copie rare e molto preziose di alcuni libri senza non sono custoditi da particolari misure di sicurezza. Balza in mente al ragazzo, che coinvolge un entusiasta Warren e poi altri due ragazzi Erik e Chas, l’idea di organizzare una rapina. Il problema è come piazzare una refurtiva così scottante e, tramite dei propri contatti Warren riesce a intercettare alcuni mercanti d’arte europei. Tutto sembra pronto per la rapina, forse con qualche ripensamento.
Bart Layton, regista e sceneggiatore di American Animals parte dalla storia vera accaduta nel 2003 e che ha coinvolto quattro studenti nella tentata rapina di libri d’arte, poi arrestati e condannati a sette anni di carcere. Come nel suo precedente L’impostore – The Imposter, Layton intreccia documentario e fiction portando sullo schermo sia i protagonisti reali ripresi con telecamera fissa e centrale, sia gli attori che il interpretano nella narrazione cinematografica. Qualche volta i due universi s’intrecciano, così Warren si trova nella stessa macchina di Evan Peters che lo interpreta, o Barry Keoghan che impersona Spencer vede il suo alter ego reale dal sedile della macchina in cui si trova.
Questo gioco tra realtà e finzione non è nelle intenzioni di Layton un virtuosismo fine a se stesso, quanto un modo formale per permettere una riflessione su che cosa abbia portato agiati studenti americani bianchi e borghesi a compiere un atto criminale. Il tema è il medesimo di Bling Ring di Sofia Coppola con però, una maggiore chiarezza d’intenti. Se all’inizio si empatizza con i ragazzi, pensando che la loro possa essere solo una bravata da adolescenti disorientati da una società che urla a tutti quanto siano speciali, man mano che le cose si fanno serie sono gli stessi protagonisti (quelli veri) a togliersi ogni alibi. Non si tratta più di esporre la follia di fatti gravissimi come la strage di Columbine, quanto piuttosto raccontare la mancanza di un orizzonte che caratterizza tutta una desolante generazione che cerca di preparare un’assurda rapina guardando vecchi film e divorando pop corn.
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