Dopo dieci anni di governo alieno c’è chi sulla Terra crede che sia arrivata l’ora di accendere la scintilla della ribellione. Il governo appoggia i nuovi venuti che, se da principio hanno imposto con la violenza la loro legge, pare siano riusciti a dare all’umanità un ordine capace di risolvere molti dei problemi sociali che affliggevano il pianeta. Tutti gli uomini sono dotati di un sensore di riconoscimento che non solo ne attesta l’identità ma che monitora costantemente il luogo in cui si trovano. La polizia fa qualunque cosa per impedire gli attentati terroristici che una manciata di ribelli cerca ancora di compiere per scuotere le coscienze e, quando uno di questi va a buon fine la risposta degli alieni non si fa attendere.
Rupert Wyatt regista e sceneggiatore di Captive State non ha paura di parlare chiaro. Come in molti altri film, gli alieni sono il pretesto per evocare il sistema tirannico che s’innesca quando uno Stato più forte s’impone con la violenza su uno più debole. L’apparente “messa in ordine” di un sistema prima caotico, la compiacenza della classe politica, gli interessi dei potenti pronti a saltare sulla nave del vincitore chiunque esso sia, non sono temi nuovi. Captive State però ci va giù pesante, mettendo in scena un mondo realistico dove i poveri siamo noi, dove bisogna scegliere se sopportare ancora aspettando come animali portati al macello il limite oltre il quale l’esasperazione vince sulla paura, oppure provare a reagire sapendo però che ad ogni nostra mossa ne seguirà un’altra del nemico molto più violenta. In questa guerriglia quotidiana non ci sono buoni o cattivi, eppure ci sono scelte giuste e sbagliate.
Rupert Wyatt, aiutato da John Goodman il cui viso severo e a tratti inquietante riesce a dare il giusto carattere al poliziotto William Mulligan nella sua caccia ai terroristi, riesce nella funambolica impresa di fare un discorso politico che non toglie nulla alla suspence della storia. Bisogna spettare l’ultimo secondo come solo le storie ben scritte sanno fare, per capire tutto il senso di un film così importante travestito da prodotto di genere.
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