Malqvist scolò depresso l'ultimo sorso di vino forte, inghiottì il boccone magro, lasciò il siclo sulla tavola e sedette accanto al fuoco che arrostiva agnelli e manzo. Da domani – come gli altri: quei mendicanti accucciati all'angolo – si sarebbe accontentato degli avanzi e il pavimento, pane secco, l'acqua fresca, qualche dattero e carrube.
Borsa vuota, notti fredde, stracci addosso ed immondizia! Maledì i mercanti tjarati, le loro favole di grassi affari; bestemmiò la dabbenaggine di aver creduto le loro fole: questo Mondo Occidentale, mesi d'oceano da Thanatolia, era il posto meno adatto a un tombarolo professionista… figuriamoci a un guerriero.
Figuriamoci a un eroe.
Carovanieri e mercanti e re cui offriva la bipenne, raccontando le esperienze con i non-morti, le streghe e mostri gli rispondevano, sconcertati, come parlassero ad un pazzo o sbronzo:
– Queste cose non esistono: tu vaneggi, via di qua!
Se insisteva per persuaderli, spergiurando le sue imprese, intervenivano quei miliziani vestiti in rosso con corte spade, giavellotti, quattro lettere indecifrabili sugli umboni degli scudi: S, P e Q R; va' a capire che significa… Tizi bassi, ma tignosi, ed addestrati coi controcazzi; legionari di un impero che dominava su quelle terre.
La prima volta ci si azzuffò, poi le prese, e telò svelto, ché non gli piacquero gli appesi in croce fuori le mura sui colli brulli:
– È la pena per chi sgarra – gli spiegarono i locali – chiodi, legna, corde a aceto non si negano a nessuno. Vuoi sfidarli?
Grazie, no.
Schiocchi e strappi di flagello dai peristili dei magistrati.
Sponde fertili di fiumi, solitudini di sabbie, oasi verdi, le rovine e le piazze dei mercati: da settimane vagabondava in quel paese senza avventure, e il poco argento che aveva in tasca finiva ora in un pasto misero, un letto comodo e un tetto in testa per almeno un'altra notte. Era quasi più incredibile degli incantesimi degli stregoni che di notte, in questa terra, non strisciassero i fantasmi: qui i sarcofagi son chiusi, qui gli abissi sono vuoti; qui chi è morto resta morto, non ci si trovano tesori o libri. Gli raccontarono di enormi tombe e ricchezze immense più ad occidente, grandi sepolcri piramidali di déi-re di un altro regno. Di città inimmaginabili in penisole oltre il mare, grandi arene gladiatorie e ciclopici acquedotti; di imperatori del mondo intero e di eserciti invincibili.
– Ma stavolta non ci casco – lui si strinse nelle spalle – no: non sono così grullo… e ho esaurito le risorse – dovette ammettere con sé stesso. Non aveva abbastanza cibo e quattrini per affrontare la traversata di un altro mare, scavalcare altre montagne o percorrere un deserto. Un furfante se la cava, ma rubare non si deve; e mendicare non è da uomini, gli insegnarono i suoi padri.
In questo mondo troppo tranquillo di avelli chiusi e silenti tenebre, dove i morti sono morti – non ci si crede, tornò a ripetersi – la sua ascia e il suo coraggio non servivano a nessuno. E a lui, che aveva vinto terrori neri ed abomini dell'oltretomba, combattuta la Necromadre, visto l'oro e gli splendori di Handelbab delle Botteghe, toccava adesso morir di stenti in questo buco di cittadina:
– Come hai detto che si chiama? – chiese all'oste che sparecchiava.
– Siamo a Nazareth, straniero.
Il vociare e le scoregge in quella sala gremita e calda, il rotolio di monete e dadi, gloglottii d'anfore e boccali pieni, si azzittirono a un improvviso e vigoroso frullio di ali, il fruscio di tenda d'asino sulla porta dell'osteria.
L'olezzo madido degli ubriachi, l'aroma grasso dai pentoloni, disinfestati per un istante da un sentore di saetta. L'odore azoto ed iperuraneo di una folgore incendiaria.
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