Dani e Christian vivono una storia d’amore ormai agli sgoccioli e l’unica cosa che sembra tenerli insieme è il terribile dramma che ha colpito la ragazza, dopo il suicidio della sorella bipolare che ha assassinato anche i genitori. Alla ricerca di una via d’uscita che la faccia stare meglio, Dani accetta l’invito ad unirsi al gruppo di amici del suo ragazzo e partecipare a un festival del folclore per celebrare la primavera in Svezia. Ben presto però diventa chiaro che gli strani riti seguiti da questa comunità isolata non sono affatto bucolici come appaiono, ma nascondono qualcosa di sinistro.
Dopo l’esordio folgorante, il secondo film di Ari Aster, Midsommar – Il villaggio dei dannati era atteso dai tanti che avevano riconosciuto in Hereditary – Le radici del male il più interessante film horror del 2018. Anche in questo caso il regista di New York scrive e dirige questo suo secondo lungometraggio riuscendo a ricreare la stessa atmosfera profondamente inquietante del suo lavoro precedente, con cui in larga parte condivide anche le tematiche. La famiglia avvertita come uno dei maggiori problemi che affliggono l’essere umano sta anche in Midsommar al centro di tutto il discorso. Che si tratti di quella naturale, causa di dolore per una sorella incontrollabile, di quella nata da un rapporto d’amore che però è ormai sul punto di esaurirsi, o di quella trovata in una folle comunità celtica, l’esito è sempre disastroso. Come nella famiglia disgregata di Hereditary dove i consanguinei sono condannati a uccidersi e la salvezza non viene certo dalla comunità esterna, fonte se mai di un orrore ancora più profondo, Midsommar restituisce lo stesso messaggio desolante.
Aster dimostra ancora una volta di dare forma tramite la fotografia, le inquadrature, i movimenti di macchina o gli indizi scenici inseriti nella storia, come i disegni sulla carta da parati di cui sono tappezzati i fienili della comunità, ma anche i quadri nell’appartamento di Dani, a un senso di inquietudine che entra di prepotenza sotto la pelle dello spettatore. Ogni cosa inquadrata sembra il frutto di una scelta consapevole da parte di Aster che, nelle due ore e venti di film, prende per mano lo spettatore per portarlo nell’inferno costruito per lui. Peccato però che sia proprio la mancanza di freschezza a far perdere a Midsommar parte della sua facciata, diventando specie nella parte finale, noioso più che emozionante. Che non fossero i plot twist il cuore del film era chiaro, ma snellendolo di almeno una mezz’ora, la pellicola non avrebbe perso di immersività ma, anzi ne avrebbe guadagnato in partecipazione.
Rimane ora da capire come un horror così autoriale sarà accolto dal mercato italiano che prova ad attaccare al titolo originale un improbabile Il villaggio dei dannati, sperando forse di portare in sala qualche amante dei classici della fantascienza, con cui però il film di Aster non condivide nulla.
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