Henry Brogan (Will Smith) è un killer preciso e meticoloso. Uccide però solo i "cattivi", poiché lavora per il governo USA, più precisamente per la Defense Intelligence Agency (DIA). Ma dopo l'ennesima missione accusa la stanchezza. Ha da poco passato i 50 anni, e teme che prima o poi un errore possa causare vittime innocenti. Pensa sia tempo di andare in pensione e di dedicarsi alla pesca. Proposito che non fa in tempo ad attuare, visto che, a causa degli strascichi della sua vita precedente si ritroverà nel mirino di nugoli di killer, mandatigli contro inutilmente al massacro.
Uno di questi si rivelerà però più pericoloso del previsto. Uno che combatte, pensa e agisce come lui. Una sua copia più giovane (Will Smith ringiovanito in digitale), la cui genesi è avvolta nel mistero.
Aiutato da Danny Zakarweski (Mary Elizabeth Winstead) una capace agente della DIA, e dall'amico di sempre chiamato semplicemente Il Barone (Benedict Wong), Henry dovrà non solo sopravvivere, ma anche risolvere il mistero, e il ruolo del coinvolgimento in tutto questo del suo ex superiore Clay Verris (Clive Owen), capo di una organizzazione para-militare chiamata Gemini.
Tutti contro Will Smith.
Più o meno. Will Smith stesso, si potrebbe aggiungere.
E forse anche noi spettatori, provati da 116 minuti di botte, corse, inseguimenti ed esplosioni senza soluzione di continuità.
Una vulgata nel mondo della scrittura vuole che quando, nella serialità, si ricorre al trucco del protagonista verso il suo doppio, lo si faccia perché non ci sono altre idee.
Questo non tanto per stigmatizzare il McGuffin di Gemini Man di Ang Lee, ma quanto per spiegare quanto corto in fondo possa essere il respiro di un film che si sintetizza in una frase. Di certo non è con l'imprevedibilità della trama o con rovesciamenti narrativi che si vuole sorprendere lo spettatore.
Quello che Ang Lee ha costruito è un costoso esperimento visivo, un concentrato delle tecnologie del 3D e HFR (High Frame Rate) che, a quanto ci hanno promesso i vertici della FOX, sarà disponibile in numerose sale in Italia (perdonateci ma non ci è stato dato il numero esatto), dato che comporta solo un aggiormento del software dei proiettori digitali.
A queste tecnologie si è aggiunta l'evoluzione del motion capture, unita all'evoluzione della capacità di ricreare avatar digitali, che ha consentito a Will Smith di recitare nel doppio ruolo. Solo qualche anno fa, Bruce Willis si scontrò in Looper con il giovane se stesso interpretato da Joseph Gordon-Levitt, e si ricorse al trucco prostetico per realizzare la somiglianza.
No, non siete capitati su una rivista di informatica. Il vero problema è non c'è molto da dire sulle qualità artistiche di Gemini Man, che ha una trama e dei dialoghi a livello dei B movies action dei tardi anni '80, primi anni '90.
L'evoluzione odierna dei contenuti dell'industria dei videogiochi ha portato a sequenze cinematiche con sceneggiature e contenuti di maggiore spessore rispetto a quella di Gemini Man. Nei videogiochi però, una volta superato lo stupore per la strabiliante grafica, possiamo giocare. Al cinema non lo possiamo fare e quindi, nonostante l'immersività visiva, dopo pochi minuti subentra la noia.
A voler essere sinceri poi, se riconosco al 3D+ una certa sensazione di presenza fisica nello spettacolo, l'HFR mi dà ancora l'impressione, nonostante la maggiore definizione, di assistere a una delle vecchie produzioni della TV anni '70, con un visibile "effetto telecamera". Forse è un problema soggettivo.
Stupisce un po' sapere che questo è un film che Ang Lee voleva realizzare da vent'anni, ci si aspettava che avesse una storia un po' più articolata.
Ma siamo di fronte a un film che, come Avatar, vuole portare avanti l'evoluzione tecnica del mezzo. Ad Ang Lee manca la visionarietà di Cameron e il risultato si ferma alla demo.
La vera riflessione che Gemini Man porta è sulle future applicazioni di queste tecnologie. Già il cinema è di per se una consegna all'immortalità dell'immagine dell'attore, se pensiamo che possiamo vedere recitare persone morte da anni. Con sceneggiature e storie meglio articolate, siamo destinati non solo a vedere credibili doppi di attori viventi, ma anche potenziali attori defunti ricostruiti digitalmente?
Sono ben pochi i passaggi in cui l'avatar di Will Smith appare legnoso e poco credibile, pertanto posso affermare che l'avvento dell'attore digitale indistinguibile da quello "reale" (se reale è quanto proiettato su uno schermo) sia sempre più vicino.
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