La vita ha dato brutte carte ad Arthur Fleck (Joaquin Phoenix). Vive con la madre Penny (Frances Conroy) in una Gotham City sporca, affossata nei suoi problemi, dove la gente è sempre più incattivita. Se a questo si aggiungono la madre malata e il suo stesso disagio mentale, per il quale è assistito da precari servizi sociali, il quadro potrebbe essere completo. Invece il “cane morde sempre il più povero”, pertanto persino sul suo lavoro di clown la vita di Arthur è impossibile, tra pestaggi di teppisti, rapporti tesi con i colleghi e angherie del principale.
Arthur vorrebbe emanciparsi da tutto questo, intraprendere una carriera da comico nei locali, per la quale studia gli altri comici professionisti, si prepara con meticolosità. Sogna Arthur, sogna il successo. Sogna l’amore della bella vicina Sophie (Zazie Beetz), una ragazza madre anch’essa con il suo carico gravoso.
Poi, un giorno, tutti i tentativi di vivere una vita diversa s’infrangono. Tanti eventi si accumulano: l’aggressione di un gruppo di yuppie, la perdita del lavoro, l’esposizione della sua esibizione in un locale al pubblico ludibrio televisivo da parte del presentatore senza scrupoli Murray Franklyn (Robert De Niro), la scoperta di segreti inconfessati della sua vita.
Così Arthur, levata la maschera da clown, ne indossa una apparentemente simile, ma letale. Quella del Joker, un assassino che diventa inaspettatamente il simbolo di uno scontro sociale più grande delle sue stesse intenzioni. Uno scontro che genera un caos che però sembra essere l’elemento naturale nel quale può vivere e prosperare il Joker.
Todd Phillips ha realizzato il suo Joker senza timore di attingere a piene mani a diverse fonti, cinefile e fumettistiche.
Per collocare la vicenda nei primi anni ’80 cita a mani basse il cinema del padre putativo di questo film, Martin Scorsese. Arthur Fleck è l’ultima incarnazione dello stesso archetipo di figure tragiche come Travis Bickle di Taxi Driver, Charlie Cappa di Mean Streets, Rupert Pupkin di Re per una notte, mescolato all’archetipo del Matto dei Tarocchi ispiratore della figura del Joker fumettistico. Il Caos portato dal Joker è tragico e distruttivo, e il sorriso delle vittime è solo una smorfia posticcia.
La discendenza cinematografica s’intreccia a quella fumettistica, omaggiata e allo stesso tempo rinnegata in modo infedelmente fedele. Elementi che discendono persino dal primo Joker di Bob Kane, Bill Finger e Jerry Robinson, per passare dal Killing Joke di Alan Moore e Brian Bolland, senza dimenticare Dennis O’Neil e, ovviamente Frank Miller, che nel suo Il Ritorno del Cavaliere Oscuro non solo ha tracciato una via maestra nel rapporto tra il Joker e Batman, ma di quest’ultimo ha dato una versione delle origini che ritorna anche in questo film, al pari della Gotham di Year One, seppur trasfigurata dalla visione di Philips.
Non mancano poi i riferimenti alle trasposizioni del personaggio, da quello dei telefilm, ai film più recenti, senza dimenticare persino i cartoni animati.
Quello che si ottiene alla fine, è una figura inedita ma piena di riferimenti familiari.
Joker di Todd Phillips è nella sua mescolanza di influenze, un altro esempio di come le maschere dei fumetti possano essere usate per mettere in scena le tragedie umane, come marionette in un teatrino. Un’operazione simile a quella effettuata da Nolan con Batman.
La sceneggiatura gioca con alcune incongruenze logiche, tese a spiazzare lo spettatore, che non sa mai se quanto ha appena visto appartiene al “vero” narrativo o a una costruzione mentale del narratore bugiardo, la figura retorica adottata da Phillips e Scott Silver.
Ma qualsiasi dubbio sulla logica, sulla consequenzialità degli eventi e degli incastri narrativi, viene oscurato dalla luminosa e straordinaria prestazione di Joaquin Phoenix, una prova d’attore che dà letteralmente i brividi, fungendo da collante di credibilità totale e schiacciante.
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