A meno di un mese di distanza dalla pubblicazione dell’edizione italiana della trilogia Nevernight, composta da Mai dimenticare, I grandi giochi e Alba oscura, Mondadori ha portato in Italia il suo autore, Jay Kristoff, per alcuni incontri con i lettori. Noi lo abbiamo incontrato in esclusiva e abbiamo avuto occasione di scambiare qualche parola con lui.
In passato hai scritto una serie young adult, Illuminae file, mentre la trilogia Nevernight è destinata a un pubblico più adulto. Cosa distingue un’opera per adolescenti da una per adulti? E come cambia il tuo modo di approcciarti ai due diversi pubblici?
È difficile tracciare una linea di demarcazione netta, negli Stati Uniti ormai le opere destinate al mercato young adult sono lette per lo più da 25-35enni, e anche parlando con altri scrittori non abbiamo trovato una risposta definitiva che separi i due generi. Il confine è labile, spesso un’opera viene definita per adolescenti in base all’età dei protagonisti, ma è un’indicazione generica non sempre vera. Mia è un’adolescente, come lo è Arya Stark nelle Cronache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin, ma nessuna delle due opere è indirizzata a un pubblico giovane. Probabilmente la differenza maggiore si trova nel tono , più ottimista e speranzoso nei romanzi young adult, più cupo in quelli destinati agli adulti.
Qual è il tuo metodo di scrittura? Pianifichi tutto in anticipo o ti fai guidare dalla storia?
Anche se i momenti principali di una storia sono pianificati in anticipo, mi piace lasciarmi guidare dalla vicenda, farmi sorprendere. Per esempio, se io sto compiendo un viaggio so dove sto andando, lo posso pianificare, ma non posso sapere tutto quel che incontrerò per strada, o anche se sbaglierò strada, e spesso gli sbagli sono più affascinanti del progetto originale perché aprono nuove prospettive.
Sul tuo sito compare una frase, ripresa anche nel risvolto di copertina dei romanzi: “Non crede nel lieto fine”.
In tutto quello che scrivo ho una regola fissa: la vittoria deve arrivare tramite dei sacrifici, altrimenti non è una vera vittoria. Quando leggo una storia voglio essere preoccupato per la sorte del protagonista, sapere che sta rischiando qualcosa. Non è possibile, come in Harry Potter, agitare la bacchetta, dire qualche parola in latino, per compiere una magia. Questa è una strada semplice, mentre se le difficoltà sono reali non è possibile venirne fuori facilmente. Bisogna lottare, e c’è sempre un prezzo da pagare. Il prezzo varia, può essere una parte di se stessi come una persona cara, ma perché la storia sia interessante deve esserci un sacrificio. Star Wars è interessante proprio per quello che perdono i personaggi. La loro vittoria ha un costo, e per me vale la stessa cosa. In questo senso un finale davvero lieto non c’è.
Fin dalla prima pagina sappiamo che Mia morirà…
È stata una scelta precisa, volevo destare la curiosità del lettore, sviluppare un senso di anticipazione. Quello che importa nella storia non è se Mia morirà ma come, cosa è successo in mezzo, come si è sviluppato il personaggio, quali cambiamenti ha avuto. Per delinearla ho scritto molte cose che non ho usato, ma che mi hanno aiutato a capirla meglio e a svilupparla, con la vicenda del padre che la definisce, la fa incamminare su una strada oscura, e la sua ossessione per la vendetta, talmente forte da spingerla a rinunciare a una vita normale. Nell’arco dei tre romanzi la vediamo evolversi e interrogarsi sulla sua natura autodistruttiva che rischia di trasformarla in un mostro peggiore di quelli contro cui combatte.
Il personaggio più vicino a Mia è Messer Cortese, la cui presenza può essere un aiuto ma anche rivelarsi pericolosa.
Messer Cortese aiuta Mia a vincere le sue paure, ma sono le nostre paure a renderci vivi. Per quanto una paura eccessiva ci paralizzi, una certa dose è necessaria perché è tramite la paura che attribuiamo un valore a ciò che abbiamo e troviamo la forza di combattere per non perderlo. In questo senso la presenza di Messer Cortese, che si nutre delle paure di Mia, può essere sia un vantaggio che uno svantaggio, e rendersene conto è una parte fondamentale del suo viaggio.
Le due caratteristiche più evidenti del tuo mondo sono il richiamo all’antica Roma, quando generalmente il fantasy si concentra su altre ambientazioni, e la presenza di tre soli, che hanno dato origine a una notte che non è una notte, e che infatti è chiamata illuminotte.
Ho studiato l’antica Roma fin dalle scuole superiori e sono sempre stato affascinato dal passaggio dalla Roma repubblicana alla Roma imperiale, perciò non ho dovuto fare particolari ricerche per un’ambientazione che mi è venuta naturale. Al di là del contesto storico l’altra cosa che mi ha guidato è stata un’osservazione che potremmo definire religiosa. Avere una presenza così sbilanciata di luce e oscurità porta a interrogarsi sul loro rapporto, non solo fisico ma anche metafisico, con il confronto fra buono e cattivo. Il gioco è stato sovvertire la convenzione che vuole l’oscurità come qualcosa di negativo, sottolineando come è quando non c’è equilibrio fra le due forze che arriva la tirannia. A questo tipo di costruzione, al rapporto fra luce e oscurità, ho dedicato molto tempo, ed è qualcosa che si è evoluto durante la scrittura.
Una caratteristica dei romanzi è la presenza delle note a piè di pagina.
Io amo le ambientazioni molto complesse, articolate, mi piace perdermi in dettagli. Allo stesso tempo però mi rendo conto che non per tutti è così. Ho voluto creare uno spazio per il worldbuilding, dedicato a tutti quei lettori che, come me, sono interessati ai dettagli. Inserendo determinate informazioni in nota lascio a loro la scelta se leggerle o se andare avanti senza interrompere la narrazione, anche se nelle note c’è qualcosa in più. Per esempio spesso c’è un tono umoristico, che serve a tirare su il morale nei momenti più cupi, e nel terzo libro qualcosa cambia perché il narratore assume un’importanza maggiore, ma dire qualcosa di più sarebbe uno spoiler.
Un'ultima curiosità: quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Sto scrivendo un’altra storia epica per adulti dalle tinte dark, The Empire of the Vampire. Per certi versi le fonti d’ispirazione sono Intervista col vampiro di Anne Rice e Il nome del vento di Patrick Rothfuss. Il protagonista è Gabriel, membro di un ordine religioso che dà la caccia ai vampiri in un mondo in cui non c’è la luce del sole. La storia inizia con Gavriel che, avendo ucciso l’imperatore dei vampiri, deve essere giustiziato. Prima che questo avvenga viene ripercorsa la sua storia…
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