Il sud come “inferno e paradiso”, area geografica e sociale che richiama nei suoi archetipi “tutti i luoghi ai margini del mondo”: questa la visione che il regista e sceneggiatore Mimmo Calopresti incanala nel suo Aspromonte: La terra degli ultimi, lungometraggio ispirato dall’opera letteraria di Pietro Criaco Via dall’Aspromonte

Trama

Fine degli anni ‘50, i cittadini di Africo, villaggio isolato nell’entroterra dell’Aspromonte calabrese, si sentono abbandonati dalle istituzioni. Nonostante le promesse politiche e il regolare pagamento delle tasse, il paesino non ha mai ottenuto i benefici del servizio pubblico e, fatto ancor più grave, non gli è mai stato un medico curante. All’ennesimo lutto gratuito, gli abitanti insorgono e decidono di rimboccarsi le maniche per costruirsi autonomamente una strada che li connetta al resto del mondo.

Guidati da Peppe (Francesco Colella), un manovale con un grande ascendente sulla comunità, gli uomini del villaggio iniziano a doversi confrontare con l’ignavia delle istituzioni, con l’integrazione nazionale, con la malavita che vuole preservare la loro ignoranza. Il nuovo percorso, pur essendo tanto modesto, fatto com’è di calce e sassi, diviene un ponte alle speranze di integrazione e ai sogni di un futuro migliore, di un riscatto di difficile realizzazione. 

Tecnica

Le opere registiche di Mimmo Calopresti sono solitamente di natura documentaristica, non sorprende pertanto che la sensibilità della pellicola verta più sull’aspetto analitico che su quello narrativo. C’è una sorta di ripudio per l’abbellimento estetico. I paesaggi, pur essendo fascinosi, sono registrati con una certa spietata oggettività, con un cipiglio neorealista tipico delle pellicole italiane postbelliche.

Africo è spoglia, così come lo sono i suoi abitanti, così come lo è la pellicola stessa. Un’essenzialità genuina e tematicamente calzante, che tuttavia non si sposa con un copione troppo raffazzonato per offrire una narrativa focalizzata e lineare. Si tratta di fatto di un documentario mascherato a film drammatico e spacciato, per motivi di marketing, come western atipico.

Attori

Buoni nomi, spesso di retaggio teatrale, applicati a ruoli malamente esplorati. Francesco Colella (Trust, Made in Italy) è il solo a poter mettere in mostra le sue abilità, seguito a grande distanza da Valeria Bruni Tedeschi (La seconda volta, A Good Year), qui una stranita insegnante lombarda che su carta si fa portavoce dell’integrazione, ma che effettivamente ha magre conseguenze effettive sulle alchimie della storia. Ancor meno rilevante è la presenza di Marcello Fonte (Dogman, Gangs of New York) e Sergio Rubini (Nirvana, Denti), rispettivamente un poeta che sa armonizzare la cultura con la tradizione e un bandito locale dal grilletto facile. 

Conclusione

Aspromonte: La terra degli ultimi parla delle promesse mancate dallo Stato, di un Sud a cui non vengono forniti i mezzi per trasformare i paesani in cittadini, di una povertà la cui unica soluzione sembra essere l’emigrazione, del forte legame dei retaggi. È una ricostruzione dolce-amara di un sentimento misto di amore e frustrazione, franca nella sua esposizione, ma formalizzata impropria, come se un documentario avesse sentito la necessità di travestirsi a fiction nella disperata speranza di attirare un vasto pubblico.