Martu Palvarini è cofondatrice ed editor della neonata casa editrice Asterisco Edizioni, coniuga l’attivismo LGBITQ+ con l’editoria indipendente. Collaboratrice della Libreria Antigone tiene corsi di formazione su Cultura Geek, mondo digitale e panorama Nerd. Scrive di urbanistica, biotecnologia, ecosostenibilità e femminismi. Ha pubblicato il suo primo gioco di ruolo, Dura-Lande, per Asterisco Edizioni, e attende di svilupparlo ulteriormente tramite crowdfunding. Scrive per Tom’s Hardware di Gioco di Ruolo e GiocoAnalogico, nella sezione Cultura Pop.
Collabora con il gruppo di ricerca indipendente Ippolita, con cui ha tenuto una lezione al Festival della Tecnologia di Torino e con cui tiene delle lecture al NABA di Milano nell’ambito del corso di Culture Digitali su Bias, Gamificazione e Identità. Una premessa sul sistema che permette di giocare di ruolo Il gioco di ruolo è una rappresentazione codificata di un mondo in cui vivere esperienze mediate da un alter ego. Il mondo, per essere descritto e utilizzato, deve essere semplificato. Nel manuale di ambientazione non possono essere descritte tutte le specie di muschi che vivono in una determinata foresta, o tutto il corpus di leggi che regola la vita di tutti i popoli o le ricette di tutti i piatti serviti nelle locande. Allo stesso modo i personaggi, per essere giocati e interpretati, sono stati semplificati e parametrizzati. La realtà è molto più complessa e sfumata di quanto possano essere i modelli usati per esplorarla. Una delle semplificazioni che vedremo oggi è ridurre la scelta del genere a maschio o femmina, per di più con la femmina svantaggiata in vari aspetti.
Come erano i giochi di ruolo all’inizio?
La prima versione di Dungeon&Dragons di Gary Gygax e Dave Arneson, uscita nel 1974, non prevedeva malus per i personaggi femminili. I modificatori negativi furono suggeriti dai fan e vennero accettati in seguito, diventando canonici. Da quel momento fino alla terza edizione di D&D, i personaggi femminili cominciarono a differenziarsi dai maschili anche nel modo di affrontare le stesse sfide. Questo si vede per esempio nelle scene in cui la situazione può prendere una piega o un’altra a seconda del carisma esercitato dal personaggio: un uomo si affiderà alla sua abilità oratoria, mentre una donna dovrà tirare sulla sua bellezza. Attraverso l’analisi storica e antropologica del Gioco di Ruolo, le sue varie forme e i suoi vari sviluppi, emergono caratteristiche discriminatorie intrinseche per determinate identità non aderenti alla norma sociale della cultura dominante. Questa esclusione è determinata da una distorsione, un bias, interno alla produzione di molti giochi di ruolo, alle loro meccaniche e alla loro ambientazione.
Puoi farmi un esempio di bias nei giochi di ruolo storici?
Certo. Un esempio di bias nel sistema di regole è Central Casting: Heroes of Legend che è un manuale di supporto alla creazione del personaggio edito nel 1988 e utilizzabile per diversi sistemi di gioco. In questo manuale, qualsiasi orientamento che non sia eterosessuale è catalogato come difetto (Personalità Esotica) e creerà problemi nel gioco. Per quanto riguarda la rappresentazione prendiamo l’esempio del mondo di Warhammer, dove abbiamo Slaanesh, uno degli dei del Caos, caratterizzato come androgino, lussurioso, vizioso e ovviamente cattivissimo. In sostanza: se non sei etero, sei dalla parte sbagliata.
I bias sono inestricabili dal sistema di gioco?
Come tutti i codici, il regolamento di un gioco di ruolo contiene dei bias. Giochi nati in una cultura occidentale, maschile e patriarcale ne saranno influenzati. Giochi nati da una cultura LGBITQ+ avranno ovviamente i loro bias. È impossibile non avere bias, perseguire la neutralità a tutti i costi è inutile e inefficace. Avere invece una buona diversità di giochi a disposizione permette di vedere il mondo con occhiali diversi. Permette di prendere coscienza dei bias invece di viverli a occhi chiusi. L’obiettivo dell’educational è mettere a critica le discriminazioni per superarle con l’azione creativa e collettiva all’interno delle forme di Game Design, professionale, amatoriale o indipendente.
Come venivano rappresentate le culture non occidentali nei GdR?
Nel 1985, con la pubblicazione di Oriental Adventures abbiamo una delle prime ambientazioni fantasy non medievaleggianti e non occidentali. Il manuale era destinato a giocatori ancora per la maggior parte bianchi e maschi. A dieci anni dalla nascita dei giochi di ruolo compaiono per la prima volta abilità non di combattimento come l’etichetta e la calligrafia. A possederle sono però sempre classi combattenti, come il ninja e il samurai. L’oriente è modellato sull’immaginario occidentale derivato dai film d’azione, più che dall’accuratezza storica e antropologica.
Ci sono stati cambiamenti nella rappresentazione degli orientamenti non eterosessuali nei GdR?
Una delle prime tabella di creazione del personaggio (tabelle che venivano usate tirando un dado ed accettandone il risultato) dove poter scegliere di non essere maschio o femmina etero la troviamo in Cyberpunk alla fine degli anni ’80. La svolta è avvenuta nel 1991 con la pubblicazione di Vampire: The Masquerade, lì i personaggi erano morti in partenza. Il loro desiderio di genitorialità si manifesta con l’abbraccio che è l’adozione di un adulto fatta da un solo genitore. Il sesso non ha più scopo procreativo, dell’amore restano gli affetti svincolati dal genere e le attrazioni che possono finalmente seguire le priorità estetiche o morali scelte dal personaggio. Vampiri parla di sangue in un periodo in cui è necessario conoscere l’HIV. I vampiri sono immuni dal virus ma possono esserne portatori sani. Il gioco toccava argomenti di estrema importanza per la vita reale dei giocatori.
Pensi che la partecipazione femminile nel mondo del gioco di ruolo sia stata facilitata dall’espansione del gioco di ruolo dal vivo?
Sì, specialmente Vampiri, che è un gioco in cui conta la diplomazia e la narrazione molto più che la forza fisica. Vampiri ha cavalcato l’onda dell’estetica e della sensibilità goth. Molte ragazze vivevano il loro ruolo anche “fuori gioco”, continuando a vestirsi con accessori del proprio personaggio anche a scuola. L’importanza della narrazione cresce a discapito della meccanica, rendendo il gioco più accessibile e più coinvolgente dal punto di vista emotivo.
Quindi come vedi l’evoluzione della rappresentazione dei “diversi” nei giochi di ruolo?
Dalle azioni di risposta al controllo dei corpi in-game emergono anche forme di resistenza alle discriminazioni, resistenze già presenti nelle prime produzioni ludiche, e che influenzarono in maniera decisa le produzioni successive, attraverso l’uso di un bias partigiano in grado di portare a galla le comunità giocatrice degli “altri e delle altre”. La storia del Gioco di Ruolo ci insegna ad ascoltare la moltitudine di voci giocanti che resero possibile l’ampliamento da fenomeno di nicchia a passione su scala internazionale. Donne, soggetti LGBITQ+, persone non bianche, migranti, hanno sempre fatto parte della community, evidenziando contraddizioni e problematiche superabili (e a volte superate) grazie alla loro azione in gioco.
Bene. Per concludere, hai dei suggerimenti per chi volesse approfondire l’argomento?
A gennaio uscirà un’antologia di saggi dal titolo Fuori dal Dungeon proprio su questo argomento. Lo troverete nel catalogo di Asterisco Edizioni e conterrà saggi di diversi autori sul tema della rappresentazione del genere, dell’etnia e della classe nei giochi di ruolo. In generale, in Italia la trattazione delle meccaniche di gioco viene presa in carico solo da un punto di vista tecnico. I corsi per game designer che si tengono al Politecnico fanno largo uso di statistica e marketing. Servirebbe un approccio umanistico, anche a livello accademico, per studiare e produrre nuovi giochi adatti a una società sfaccettata e inclusiva.
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