È disponibile per la collana Odissea Fantasy il romanzo L'aliante scomparso, primo volume del ciclo Il libro delle anime, scritto da Maurizio Cometto.
Per l'occasione abbiamo rivolto all'autore alcune domande.
Presentati ai lettori di FantasyMagazine. Chi è Maurizio Cometto?
Questa è la classica domanda a cui rispondere esaurientemente è difficile, se non impossibile. Oltretutto io amo poco parlare di me stesso, preferisco lasciare spazio alle mie storie. Ma provo a dare qualche coordinata. La mia formazione è tecnico-scientifica, essendo io ingegnere meccanico, ma ho sempre amato le storie, di qualsiasi genere esse fossero, meglio se con qualche elemento fantastico. La scrittura è una grande passione ma non riesco a dedicarle tutto il tempo che vorrei, avendo un lavoro e una vita parecchio impegnativi su molti fronti. Altre mie passioni, oltre alla narrativa: la musica pop rock, il jazz, il mistero e l’esoterismo, gli sport in generale, i viaggi. Mi pare di aver tracciato un profilo abbastanza comune tra quanti frequentano l’ambiente della piccola editoria di genere in Italia… e forse non è un caso.
Da dove trai ispirazione per le tue storie?
Da tantissime cose. Un grande serbatoio è l’immaginario depositatosi nel subconscio in anni e anni di visioni di film e telefilm, di letture di libri e fumetti. Gli anni ’70 e’80 soprattutto mi hanno influenzato molto, non a caso gli anni della mia infanzia e adolescenza. Per citare qualcosa: i film di Spielberg, la new Hollywood, telefilm come Doctor Who, Zaffiro e Acciaio, Spazio 1999, i cartoni giapponesi, la musica progressive, i fumetti Disney e Bonelli… I ragazzoni della mia generazione, perché molto spesso quello siamo, ragazzoni di cinquant’anni, credo condividano tutti questo substrato, questa sorta di inconscio collettivo del nostro immaginario. Altre fonti mi vengono dalla vita quotidiana, dalle persone che incontro, da certe bislacche associazioni di idee. A volte perfino dal nulla: mi metto a tavolino e inizio a scrivere sulla prima cosa che mi viene in mente, e spesso il racconto che ne esce fuori è più intenso, più significativo di altri più ragionati. Anche i ricordi d’infanzia hanno un’influenza molto potente.
Come è nata la storia di Michele, detto Michelìn?
Le storie fantastiche e misteriose che hanno come protagonisti bambini o ragazzini mi hanno sempre affascinato, sia da scrittore sia da lettore. In quel periodo, poi, parlo del 2011, ero appena uscito dalla lettura del ciclo Queste oscure materie di Philip Pullman.
Ne ero rimasto così colpito da voler creare qualcosa di simile, ma in chiave avventurosa e legata al mio passato, alla mia infanzia, ai miei luoghi d’origine. Avevo già scritto un romanzo breve weird dal titolo Il costruttore di biciclette, che ha come protagonista una banda di ragazzini, ma volevo orientarmi di più verso il fantastico puro e il fantasy. Così creai Vallascosa, una versione meno oscura di Magniverne, e iniziai a scrivere il primo romanzo.
A che tipologia di pubblico ti sei rivolto nello scrivere il ciclo de Il libro delle anime?
Penso che il lettore ideale sia il “ragazzone” di quaranta/cinquant’anni di cui ho tracciato una sorta di identikit poco sopra. Una persona che ami l’avventura, il fantastico in senso lato, le storie piene di sorprese, di svolte e di misteri. Ma ovviamente penso che il ciclo sia apprezzabile da chiunque ami il fantasy e il genere fantastico, indipendentemente dall’età. Se si volessero dare delle coordinate letterarie, ovviamente facendo le debite proporzioni: il già citato Pullman per i temi di fondo, il Philip José Farmer del ciclo del Fiume per la presenza di un “mondo dell’aldilà”, certi romanzi di Jack Vance per l’attenzione alla sociologia e ai paesaggi dei mondi alieni visitati.
Uno dei temi portanti del ciclo è la morte vista come trasformazione, come passaggio: in questo ci si potrebbe riallacciare anche a Philip K. Dick, uno degli scrittori di cui sento più forte l’influenza. Infine, visti il legame con ambienti e tradizioni delle mie zone di origine, e la personificazione di entità ideali come le “anime”, ci si potrebbe riallacciare a una certa nostra tradizione letteraria che risale fino a Dante passando per i poemi cavallereschi e Dino Buzzati. Ripeto: facendo le debite proporzioni, si tratta solo di spunti e influenze in parte inconsce.
Avevi in mente una storia di così ampio respiro fin all’inizio?
L’idea era di scrivere una trilogia. Successivamente, vista la lunghezza del secondo volume, per ragioni di equilibrio ho preferito suddividere in modo diverso la storia. Alla fine è venuto fuori un ciclo di cinque romanzi, tutti aventi una lunghezza similare. In questo sono stato anche influenzato da una lettura più recente, il ciclo del Libro del Nuovo Sole di Gene Wolfe, di cui ho apprezzato tutto, non ultimo l’equilibrio nella scansione dei differenti capitoli.
Cosa ti ha lasciato, come scrittore, l’esperienza di un’opera così impegnativa, almeno dal punto di vista della lunghezza?
Reputo quest’opera la più importante della mia “carriera” di scrittore, almeno finora, per molti motivi. Non parlo del risultato artistico, che lascio giudicare ai lettori, ma dell’esperienza letteraria che mi ha permesso di maturare lungo tutti gli anni che vi ho dedicato. Credo che si possa percepire questo leggendo di seguito il ciclo e paragonando lo stile e la “complessità” delle storie presenti nei vari libri. Ciascuno è un tassello insostituibile del ciclo, e ciascuno ha una sua personalità ben definita, diversa dagli altri. La visione iniziale si è modificata ed è maturata nel corso della scrittura, come sempre avviene, ma inizio, fine e significato dell’opera (almeno come lo interpreta la mia sensibilità) mi sono sempre stati ben impressi fin dall’inizio, e non sono mai mutati.
Inoltre ho potuto approfondire alcuni dei temi a cui sono più affezionato, come quello della morte e della trasformazione, e ho potuto liberare le mie visioni senza pormi troppi limiti di lunghezza. In un certo senso è un po’ il compendio, arrivato ai cinquant’anni, di quello che è il mio immaginario.
Hai altri progetti per quando avrai terminato il ciclo de Il libro delle anime?
Ho molti progetti in cantiere, a cui mi dedico alternandoli tra loro per disinnescare in ogni modo la noia o l’abitudine. In fin dei conti, come molti miei colleghi, non scrivo per soldi, ovviamente (dove sono?), ma per passione e divertimento. E, naturalmente, per esprimere la mia creatività. Mi piacerebbe tornare a scrivere racconti, genere che prediligo e in cui penso di dare il mio meglio. Vedremo cosa ci riserverà il futuro.
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