Guy (Ryan Reynolds) è l’impiegato modello di una banca a Free City. La sua vita scorre ogni giorno sempre uguale. Ogni giorno prende il suo caffè, incontra il suo amico Buddy (Lil Rel Howery) che nella banca è parte delle guardie armate e, arrivato al lavoro, si stende a terra quando entra il rapinatore del giorno, facente parte dei dominatori di Free City, quelli dotati di armi e di occhiali scuri. Ogni giorno uguale all’altro, come da programmzione. Perché Guy non è un essere umano, bensì un PNG (Personaggio non giocante) di un videogioco Open World chiamato, per l’appunto, Free City. Gli utenti del gioco, i cui avatar si distinguono proprio per gli occhiali, sono liberi di acquisire punteggi rapinando le banche, rubando auto, facendo ogni tipo di atto violento nei riguardi dei PNG, la cui limitata programmazione è concepita a tale scopo.
Ma se il film si chiama Free Guy è perché racconta la storia di un PNG diverso dagli altri. Un personaggio che, in seguito all’incontro con una giocatrice molto particolare Millie (Jodie Comer), sviluppa una sorta di consapevolezza, che lo porta ad acquisire autocoscienza, modificando il suo programma e il suo destino.
Si troverà quindi a lottare per la sopravvivenza del suo mondo virtuale, aiutando Millie e il suo ex collega Keys (Joe Keery) a fare giustizia contro un cattivo del mondo reale, il proprietario di Free City, il perfido Antoine (Taika Waititi).
Free Guy – Eroe per gioco, diretto da Shawn Levy e scritto da Matt Lieberman e Zak Penn, è una piacevole sorpresa.
Come il suo protagonista sembra inizialmente diretto verso la solita commedia action, con un protagonista simpatico, altrettanto validi comprimari, e un cattivo ben strutturato. Ma come il suo protagonista, il film sta stretto nella sua gabbia narrativa, e tende a debordare.
La costruzione dei personaggi del gioco manipola gli stereotipi, per esempio, allo scopo di farli uscire dallo sfondo del gioco. I PNG che gradualmente diventeranno delle vere e proprie intelligenze artificiali, sono inizialmente stereotipati perché destinati a essere parte dello sfondo: il guardiano nero e simpatico, la perfetta barista, il cliente spaventato della banca, la biondona tutta curve a corredo della banda di rapinatori. Ma anche loro, esortati dall’esempio di Guy, troveranno nuove ragioni per la loro esistenza digitale, arrivando a riflettere, con una semplicità che invece dimostra molta profondità, su cosa sia reale e cosa virtuale.
Se è anche vero che la “chiamata” di Guy non è frutto di casualità, è anche vero che dopo quel momento, il suo percorso sarà caotico e disordinato, e del tutto autonomo. Una vera e propria micro-singolarità nascosta in una server farm che riesce a confrontarsi come pari con il suo “creatore”.
Free Guy sicuramente ha tanti elementi in comune con Tron e Ready Player One, cita The Truman Show tra le tante cose, attinge con ironia e senso della misura ai franchise di casa Disney, tenendo sottopelle Pinocchio e Philip K. Dick. Quello che conta però è come elementi riconoscibili e consolidati siano in grado di dare vita a una vicenda intrigante, piena di momenti divertenti ed emozionanti.
C’è qualche libertà narrativa sul fronte tecnico/informatico e alcune techno bubble (altrimenti dette "spiegoni") che superano alcune criticità forse troppo alla leggera, ma fondamentalmente il film regge alla prova della sospensione dell’incredulità, anche quando nella miscela di azione e ironia entra la sotto trama romantica, per nulla pretestuosa.
Merito non solo della trama semplice ma solida, ma anche della buona prova del cast, dal protagonista Ryan Reynolds, ai bravi e convincenti Jodie Comer, Joe Keery e Lil Rel Howery, dell’istrionico Taika Waititi.
Shawn Levy porta a casa la regia senza guizzi, ma con consolidato mestiere, dando agli spettatori momenti divertenti, con effetti speciali visivi funzionali allo scopo di un intrattenimento leggero ma non banale.
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