Nel carcere di massima sicurezza di Belle Reve sono imprigionati tutti i peggiori criminali degli Stati Uniti, uomini dai poteri diabolici, esseri che sembrano animali ma anche semplici assassini. Ed è proprio lì che Amanda Waller pesca i suoi killer da mandare a compiere le missioni più disperate, quelli per cui uno stipendio o una medaglia non sarebbero abbastanza ma la promessa della libertà sì. Ai galeotti viene impiantato alla base del cranio un esplosivo per disincentivare qualunque tipo di fuga, perché l’importante non è il numero di perdite ma il compimento della missione, ovvero, in questo caso distruggere una misteriosa struttura nell’isola di Corto Maltese, poiché un colpo di Stato ha imposto un governo ostile agli Stati Uniti. Dopo una pioggia di pallottole e un mare di sangue, a portare avanti l’impresa ci pensano i sopravvissuti capitanati da Rick Flagg, e con Bloodsport, Harley Quinn, Peacemaker, Polka-Dot Man, Ratcatcher II e King Shark. L’unico a poter far entrare il gruppo tra le blindatissime mura della base segreta è Thinker, uno scienziato la cui vita è stata dedicata all’obbiettivo con il quale la The Suicide Squad dovrà suo mal grado misurarsi.
Chiamato a mettere la pezza in un universo narrativo che fa acqua da tutte le parti, James Gunn ha dichiarato di essere stato libero di creare il proprio film senza nessun vincolo, dando così corpo a un progetto fedele alle origini fumettistiche di The Suicide Squad. Diciamolo subito, questo secondo capitolo è nettamente migliore del primo ma non ci voleva molto. Il film di David Ayer era così profondamente sbagliato da rendere quasi impossibile fare di peggio. Ricordiamo che la Warner Bros nel 2016 era in pieno auto sabotaggio nella gara contro la Marvel, specie quando anche la stella di Zack Snyder sembrava essersi offuscata dopo i deludenti risultati ottenuti da L'uomo d'acciaio. Se da una parte Snyder tirava per dare all’universo DC toni cupi, dall’altra i box office diceva che Iron Man e company stavano vincendo su tutti i fronti. Si provò allora a cambiare un film già finito dandogli un tono più “leggero” con il risultato che oggi anche Ayer invoca il proprio director's cut.
Nonostante da allora ne sia passata di acqua sotto i ponti la Warner continua a non avere le idee chiare su cosa fare dei propri supereroi. Chiuso definitivamente il capitolo Snyder chiama per ritentare con la The Suicide Squad appunto James Gunn che, per chi non lo conoscesse è regista e sceneggiatore di Guardiani della Galassia uno e due. Altro film corale, altro cinecomics in cui mettere le mani ma con maggiore libertà rispetto alle maglie della Marvel, con personaggi che il pubblico pretende cattivi per davvero dopo l’esperienza di Will Smith/ Deadshot e salvando le poche cose valide del film precedente, ossia Margot Robbie (Harley Quinn) e qualche altro interprete. Una pellicola non semplice da concepire e che pure Gunn riesce a portare a casa con grande professionalità e momenti di ottimo cinema ma senza tirare in ballo la parola “capolavoro”.
Con queste premesse va da sé che il solo fatto che The Suicide Squad – Missione suicida sia un buon film, superiore alla media dei prodotti DC e nettamente migliori degli ultimi titoli, vedi Wonder Woman 1984, è già un mezzo miracolo. Ci sono delle intuizioni davvero carine come la falsa partenza, o l’evitare il solito pippone dell’introduzione dei personaggi uno per uno, con la storia stessa che, quando è il momento ci fa capire chi sono, ma soprattutto il messaggio politico che viene sparato in faccia allo spettatore medio americano senza alcuno zuccherino per indorare la pillola. Un pensiero chiaro, difficile da trovare in un film, figuriamoci in un cinecomics. Tra tutti i personaggi che ha a disposizione, Gunn dà giustamente tutto lo spazio necessario a Margot Robbie, la cui Harley Quinn è così strepitosa che dà il meglio da solista più che nel gruppo. Ma in generale ad essere giusta è tutta la scelta del cast a cominciare da Idris Elba, ottima faccia di cuoio, fino ad arrivare ai muscoli d’acciaio di John Cena. Ci sono anche delle intuizioni registiche non male, come il combattimento tra Flagg e Peacemaker mostrato sul riflesso del casco di quest’ultimo con un bel movimento di macchina, che aiuta a diversificare un po’ le scene d’azione.
Qua è la però anche The Suicide Squad perde di compattezza, cambiando tono in maniera repentina e disorientante, infilando a forza della comedy là dove non ce n’era bisogno, come a voler tenere il piede in due staffe. Non c’è niente di male a avvicinarsi più a roba come Atto di Forza che a Captain America, basta solo avere il coraggio di portare questa scelta fino in fondo. Colonna sonora invece da dimenticare con i soliti brani super cool a tutto volume ad accompagnare i combattimenti dei nostri eroi, con il solo risultato di renderli uguali ad altre mille pellicole ma senza gli anni ottanta a creare l'effetto madeleine.
Attenzione: c’è un cameo divertentissimo di Nathan Fillion e la scena post credit.
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