In un futuro lontanissimo, un impero si estende per tutto lo spazio conosciuto, solcato da astronavi guidate da esseri misteriosi, i Navigatori appartenenti alla Gilda Spaziale.
È un’epoca quasi post tecnologica. L’umanità ha rinunciato ai computer, eppure i Navigatori effettuano i calcoli per i balzi iperspaziali senza altro ausilio che loro percezione, ampliata dall’uso della Spezia, una droga prodotta in un solo pianeta: Arrakis, così desertico da essere definito Dune.
La nobile famiglia Atreides riceve dall’Imperatore l’incarico di rilevare la produzione della Spezia da un’altra nobile famiglia, gli Harkonnen, loro eterna rivale, che la gestiva sul pianeta con il pugno di ferro, vessando la popolazione locale: i misteriosi Fremen. Il Duca Leto (Oscar Isaac) si reca su Arrakis, insieme a sua moglie Jessica (Rebecca Ferguson) e al figlio Paul (Timothée Chalamet), ma anche con i fidi consiglieri militari Gurney Halleck (Josh Brolin) e Duncan Idaho (Jason Momoa), nonché il Mentat Thufir Hawat (Stephen McKinley Henderson), ovvero un calcolatore umano a cui la Spezia dà la facoltà di compiere ogni genere di operazione in tempo reale.
Una delle sfide per Leto sarà quella di riprendere la produzione della Spezia in collaborazione con i Fremen, guidati dal fiero Stilgar (Javier Bardem), e allo stesso tempo guardarsi dalle trame ordite contro gli Atreides dal feroce Barone Vladimir Harkonnen (Stellan Skarsgård) e dal nipote Glossu Rabban (Dave Bautista), che vuole a ogni costo riprendersi le ricchezze provenienti dalla produzione della Spezia.
Da parte sua Paul, futuro erede della guida della casa, ha sogni e visioni tutti da interpretare, nei quali vede il deserto di Dune, amici in situazioni di pericolo, nonché una donna Fremen (Zendaya) che sente di essere destinato a conoscere.
La facoltà di Paul destano l'attenzione di Gaius Helen Mohiam (Charlotte Rampling), Reverenda Madre del potente ordine religioso della Sorellanza Bene Gesserit, a cui la madre Jessica appartiene. L'ordine vuole comprendere se sia o no lui l'atteso Kwisatz Haderach, un messia destinato ad avere la preveggenza assoluta, con una visione unica di spazio e tempo, alla cui generazione la Sorellanza si è dedicata per millenni con un complesso programma composto di unioni combinate.
Ma Arrakis non è un luogo pericoloso solo per le complesse trame che lo vedono al centro di tutti gli interessi dell'impero. È anche di suo un luogo inospitale, completamente desertico, con pochissima acqua, temperature elevatissime di giorno e frequenti tempeste di sabbia così violente da distruggere il metallo. I deserti sono inoltre solcati da gigantesche creature, i vermi delle sabbie, capaci di ingoiare le mietitrici di spezia e tutti gli uomini e il carico all'interno.
Un luogo che però la ecologa Liet Kynes (Sharon Duncan-Brewster), nominata Arbitro del Cambio, ovvero garante del corretto avvicendamento tra la famiglie alla guida di Arrakis, sogna di fare tornare ad antichi splendori grazie anche all'aiuto degli Atreides, recuperando l'acqua nascosta nel sottosuolo del pianeta al fine di farlo tornare un luogo verde e fertile.
È improbabile che tra voi lettori di FantasyMagazine, specialmente tra i più attempati come me, ci sia qualcuno che non sa come proseguono le vicende di Dune, romanzo di Frank Herbert di cui questo film diretto da Denis Villeneuve è l'adattamento di una buona metà, ma nel dubbio mi fermo qui. Ritenevo necessaria una presentazione dei temi fondamentali, onde evitare le estreme approssimazioni lette anche nel materiale ufficiale. Leggere di Dune come di una lotta tra famiglie per il controllo della produzione di una potente droga
, è una reductio ad Narcos che il film non merita.
Il romanzo è stato ed è ancora un best-seller della fantascienza, amato dai fan di tutto il mondo, ha avuto vari seguiti e prequel, oltre che adattamenti in varie forme, come celebri giochi e videogiochi, film e serie televisive.
Questo film è la prima parte del secondo adattamento destinato al cinema del romanzo (il primo è stato diretto da David Lynch) non volendo contare quello di Alejandro Jodorowsky mai andato in produzione.
La storia degli adattamenti di Dune è lunga e non voglio riprenderla qui.
Di certo si tratta di un romanzo non facile da trasporre, tanto da rappresentare un'autentica sfida.
Prima di Star Wars, saga che da Dune attinge a piene mani in molti elementi, una prima difficoltà era costituita dal budget necessario alla resa visiva delle invenzioni del romanzo. C'è un senso della grandezza in Dune che tende a mettere a confronto le piccole figure umane con qualcosa di enormemente più grande di loro: immensi palazzi, immense astronavi, deserti sconfinati e creature gigantesche al loro interno, trame millenarie, intrighi complicatissimi, poteri sovrannaturali. Tutte cose facili da descrivere ed evocare sulla carta, ma la cui resa visiva e sonora rappresenta una sfida non indifferente e sulla quale negli anni '70 l'industria cinematografica pre Star Wars non voleva rischiare.
Questo senso di grandezza, e di schiacciamento conseguente delle figure umane coinvolte, è presente e imperante nella rappresentazione diretta da Villeneuve.
Molte sono le immagini volte a sovrastare i protagonisti. Lo schermo non sembra pieno, ma in realtà è proprio la distanza a darci l'idea dell'immensità. Villeneuve lavora ampiamente con il campo lunghissimo, salvo poi tornare ai primi e primissimi piani quando c'è da entrare in quello che coinvolge sia l'emotività dei personaggi, che una descrizione di dettaglio dell'ambientazione.
Non dimentichiamo infatti che il grosso convitato di pietra del film è il pianeta Arrakis, vero co-protagonista, non solo sfondo delle vicende. Non tanto per le distese desertiche che potrebbero ricordare il Lawrence d'Arabia di David Lean, quanto per piccoli ma fondamentali dettagli. L'immagine di come il Muad'dib, il piccolo topo del deserto, ricicli l'umidità, è più esplicativa di mille spiegazioni sui principi della tuta distillante dei fremen, e rende l'idea del "carattere" del pianeta.
Il resto dell'allestimento è minimalista. Se immaginavate visivamente la società praticamente feudale di Dune come barocca, Villeneuve la descrive spoglia e brutalista. Anche per i costumi la via scelta appare quella sintesi, con richiami ad armature medievali per gli eserciti delle casate, mescolate e contrapposte a uniformi dalle forme essenziali, fino all'estetica dei tuareg per i fremen.
Questo è conforme alla mescolanza di generi e suggestioni del romanzo originale: fantascienza con poca ma essenziale tecnologia, armi bianche, con mescolanze di fantasy, paranormale e tratti horror.
Anche ad Hans Zimmer sembra affidata la missione di una partitura musicale essenziale. In questo non compie molti sforzi ed è forse da qui che cominciano le note dolenti del film.
Se è vero che il materiale narrativo era vasto, pertanto è apprezzabile che si sia scelta la divisione in due parti, è anche vero che l’entusiasmo del regista per la sua rappresentazione rappresenta anche un limite. Villeneuve indugia e ripete più volte concetti espressi.
Al momento non è possibile giudicare le uscite di scena senza spiegazioni di alcuni personaggi, così per comprendere come s'incastreranno i vari pezzi del mosaico nell’economia della storia. Bisogna aspettare di vedere la seconda parte affinché si possa giudicare l’esito complessivo.
Quanto ai cambiamenti rispetto al libro, specialmente nel casting del film, croce dei fan più integralisti, posso dire che non minano la coerenza interna del film. Bisogna anche capire come ogni rappresentazione sia figlia del proprio tempo, per cui quello che è stato immaginato a metà anni ’60, che sarebbe stato messo in scena negli anni ’70, e che poi ha trovato una sua visualizzazione negli anni ’80 e ’90, è profondamente diverso da quello che possiamo e dobbiamo rappresentare oggi.
Quello che posso dire è che trovo l’adattamento fedele alla sostanza del romanzo, e in moltissime parti anche alla lettera. Anzi proprio alla solidità e bontà del materiale narrativo originale che la sceneggiatura di Villeneuve mostra nei dialoghi una grande efficacia.
Il viaggio dell’eroe, l’epica del predestinato, sono tutti concetti che ormai sono noti anche al grande pubblico. Siamo in tempi in cui tutti è destrutturato. Forse siamo meno ingenui per non smontare a pezzi gli elementi di Dune senza confrontarli con quelli dei successori ed epigoni, che alla storia originale però devono moltissimo. Ma Villeneuve riesce sicuramente nell’impresa di immergerci completamente in quest’epica, sia pure con qualche sbavatura e lungaggine.
Quello che spero è che Villeneuve possa portarla a compimento. Se è possibile che le visioni di Paul sul futuro siano in grado da sole reggere la vicenda, perché ne mostrano possibili conclusioni, ritengo che per la loro frammentarietà e contraddittorietà meritino la verifica nella seconda parte, nell’auspicio che venga messa presto in produzione.
Per poter godere del risultato complessivo, è indubbio che Dune sia un film da vedere al cinema.
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