È questa la Fondazione che aspettavamo?

In un lontano futuro si estende per l'intera galassia un impero, guidato con inflessibilità da Cleon, un imperatore i cui successori sono cloni di se stesso. Nel momento in cui entriamo nella vicenda infatti in realtà conosciamo: Fratello Giorno (Lee Pace) ovvero l'Imperatore in carica, quello realmente esecutivo; Fratello Tramonto (Terrence Man) ovvero l'ormai anziano ex Imperatore, ma ancora utile per consigliare le versioni giovani di se stesso; Fratello Alba (Cassian Bilton), il più piccolo, ancora non nell'età per governare, che osserva e apprende dalle azioni del "fratello" più grande, in attesa che venga il suo turno.

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L'impero dura da migliaia di anni, e niente sembra incrinarne la stabilità. Ma non tutti ne sono convinti. Il matematico Hari Seldon (Jared Harris) ha sviluppato una scienza chiamata psicostoria, con la quale, tramite complesse equazioni, riesce a stabilire le dinamiche evolutive della società, calcolando le probabilità degli eventi futuri. Secondo i suoi calcoli l'impero è destinato a crollare da lì a qualche centinaio di anni, dando vita ad almeno trentamila anni di guerre galattiche e inciviltà prima che venga ripristinato l'ordine. 

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Seldon non lavora da solo, e ha radunato intorno a sé a Trantor, pianeta-città capitale dell'Impero, matematici da ogni parte della galassia, tra i quali la giovane e talentuosa Gaal Dornick (Lou Llobell da adulta e Teyarnie Galea da bambina) che ha da poco dimostrato una congettura irrisolta da secoli.

Mentre incombono eventi incontrollati che rischiano di sovrastare tutto, minando già nell'immediato la pace galattica, Seldon viene considerato un profeta di sventure e sembra avere sempre più seguito. Questo non piace ovviamente all'Imperatore, che considera il suo dominio inossidabile. Il matematico dovrà quindi dimostrare la bontà delle sue previsioni, cercando di convincere il monarca a ragionare a lungo periodo, illustrando il suo piano che, se non impedirà all'Impero di cadere, potrà ridurre a soli mille anni il periodo di barbarie: realizzare una Fondazione, ovvero un luogo dove conservare la cultura dell'Impero per preservarla dalla distruzione.

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Fondazione è la serie, ideata da David S. Goyer e Josh Friedman, basata sui romanzi del Ciclo delle Fondazioni di Isaac Asimov.

La fonte di ispirazione di Asimov era il crollo dell'Impero Romano, che lo scrittore traspose in un lontanissimo futuro nel quale il concetto d'impero si era esteso all'intera galassia.

Per una combinazione del tutto personale, osservo come questa serie arrivi a quaranta anni esatti dalla mia prima lettura del ciclo, ovvero il 1981, anno in cui lessi Cronache della Galassia, il primo dei volumi di quella che all'epoca era solo la Trilogia Galattica. E osservo, per singolare coincidenza, che quella lettura è avvenuta quasi a quarant'anni dalla pubblicazione originale del primo dei racconti di Asimov, avvenuta nel 1942 dalla rivista Astounding Science-Fiction.

Stiamo quindi parlando di materiale narrativo pubblicato a partire dagli anni '40 ai primi anni '90 dello scorso secolo, in vari racconti – raccolti poi in volume -  e in romanzi. Un corpus narrativo di cui più che il numero di pagine complessive (1476 nel volume che lo raccoglie tutto, non moltissime secondo gli standard odierni), è enorme nell'arco temporale millenario che percorre.

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Questa piccola digressione non serve tanto a riepilogare la storia del ciclo originale, per la quale esistono tanti articoli che entrano nel dettaglio, quanto a contestualizzare questo adattamento.

Da decenni il cinema, e da tempi relativamente più recenti la televisione, dispongono dei mezzi tecnologici per mettere in scena la fantascienza asimoviana. Ma più o meno da quando mi ricordo, si è sempre parlato della "infilmabilità" di questo ciclo, oppure dei grandi budget che sarebbero stati necessari e che rendevano antieconomica una trasposizione.

Questo per svariati motivi: ci sono tanti personaggi, da cui consegue che di fatto la serie non ha un vero protagonista, lo stesso Seldon lo è giusto nei primi racconti (e poi in due romanzi prequel); non ci sono personaggi femminili di spicco, punto decisamente contrario alla logica produttiva per la quale è necessaria una co-protagonista femminile (al limite anche solo un "interesse amoroso"; la grande varietà di ambientazioni e di set che di conseguenza sarebbero necessari per realizzarla; la cosiddetta verbosità del materiale originale, con vicende in realtà prive di vera azione, che per la maggior parte volte avviene tra un dialogo e l'altro dei personaggi, che si raccontano a vicenda quanto succede e quanto successo; l'assenza in molti racconti di un vero antagonista, a parte qualche rara eccezione.

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Goyer e Friedman si sono quindi trovati, a quasi ottanta anni dalla pubblicazione originale, a trasporre quelle vicende dovendo rispondere alle logiche produttive del mondo audiovisivo del ventunesimo secolo.

Ne consegue che la fedeltà al testo è stata la prima cosa a saltare. Una serie, come un film, ha bisogno di personaggi identificabili, di mostrare gli eventi e non di raccontarli. Elementi importanti tanto quanto un allestimento credibile, necessario in qualsiasi caso, ma ancora di più in quello di una serie fantascientifica che vuole mostrare un futuro nel quale gli esseri umani viaggiano attraverso la galassia quasi in tempo reale.

L'estrapolazione dell'adattamento quindi ci propone nell'Hari Seldon recitato dal bravissimo Jared Harris un ottimo protagonista, coadiuvato da una efficace Lou Llobell nei panni di Gaal Dornick. Da quando è stato annunciato il cambio di genere di iquest'ultimo personaggio i puristi hanno inarcato le sopracciglia, quando non gridato alla "dittatura del politicamente corretto". Il dato di fatto è che nelle logiche moderne bisognava avere la coprotagonista. Non solo: sarebbe mai stato possibile pensare a una galassia popolata solo da caucasici, come probabilmente si raffiguravano i lettori degli anni '40? Ora non sarebbe più possibile concepire un racconto, figuriamoci un'intera serie.

Gaal Dornick della serie è un personaggio complesso, moderno, dotato di una sua storia personale che desta attenzione e interesse.

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Poiché serviva un antagonista, la serie sembra averlo nell'Imperatore Cleon, in particolare forse nella versione Fratello Giorno del bravo Lee Pace, che teme le previsioni di Seldon, che vede ovviamente come fumo negli occhi.

Questa terna di personaggi Seldon, Dornick e Cleon, può costituire una buona base di partenza, alla quale affiancare altri personaggi che nel corso della serie promettono evoluzioni, quali Salvor Hardin, interpretata da Leah Harvey  e Demerzel (Laura Birn), la consigliera e portavoce di Cleon (altri due cambi di genere).

Se il fronte dei personaggi promette bene, l'allestimento denuncia alcuni problemi. Se risulta credibile sul fronte degli effetti e delle scenografie, la messa in scena sembra evidenziare alcune scelte in economia per quanto riguarda i costumi.

Il problema di fondo però è dato proprio dal momento in cui arriva in scena Fondazione, dopo decenni di saccheggio da parte del mondo del cinema dei concetti visivi estrapolati dal materiale originale.

Se è vero infatti che i racconti non si lanciavano in descrizioni dettagliate, quei pochi elementi accennati, immaginati dai lettori nella propria mente, hanno contribuito a costruire alcuni momenti dell'immaginario cinematografico moderno. L'analogia tra Trantor  e la Coruscant di Star Wars è solo uno dei tanti saccheggi, per cominciare. Ma anche immense astronavi, costumi, atmosfere barocche dei palazzi imperiali. 

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Non si può negare che lo spazioporto di Trantor, o la reggia di Cleon, o le astronavi interstellari, siano come ce li siamo immaginati leggendone a suo tempo, ovvero come sono stati immaginati e rappresentati in questi anni da registi ispirati dalla stessa lettura, che li hanno posti nelle loro storie in parte derivative.

Se pur sontuoso in alcuni momenti, senz'altro pieno di sense of wonder, il concetto visivo della serie quindi non desta sorprese. Pertanto è difficile non pensare che, visti oggi da un grande pubblico, che magari non conosce e non deve per forza conoscere il materiale originale, questi elementi visivi, siano scambiati per un'imitazione, mentre in realtà sono fonte di prodotti epigoni.

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Una menzione spetta all'importanza della matematica e della scienza nella vicenda. Trovo efficace come sia stato rappresentato in una grafica il lavoro di calcolo e osservazione delle dinamiche delle equazioni. Mi è sembrato anche un intelligente inside joke riconoscere una possibile rappresentazione di un buco nero nella vista dei motori interstellari della nave. Segno che la serie, sia pure in una forma sottile, non tradisce la scienza nel nome dell'azione.

Siamo all'inizio di un viaggio che non sappiamo ancora se potrà seguire fino alla fine la vicenda originale, o se realmente lo farà.

Se così dovesse essere, assisteremmo praticamente a una serie nuova a ogni stagione, con vari recast e cambi di ambientazione. Pur se con qualche limite, comunque la serie di Fondazione è qui e, per quanto mi riguarda, posso rispondere affermativamente: è questa la Fondazione che stavamo aspettando.