Una persona sola, una soluzione tecnologica che si presta bene a colmare il vuoto, una storia sociale con risvolti fantascientifici: I’m Your Man (Ich bin dein Mensch) ha tutte le carte in tavola per dimostrarsi l’ennesimo dramma romantico portato avanti a colpi di ipotetiche intelligenze artificiali, tuttavia la strada che percorre è più eclettica e complessa di quanto non sia lecito aspettarsi e quello che ne viene fuori è un qualcosa di inatteso e genuino, a tratti anche divertente, ma anche un qualcosa che è appesantito da scelte registiche di basso spessore e da poca ambizione narrativa.

I'm Your Man – La trama

Alma (Maren Eggert) è un'accademica, una ricercatrice, una professionista che, come spesso capita nel settore, si trova a dover combattere quotidianamente per ottenere i fondi necessari a portare avanti il suo lavoro. Alma è anche una donna single, ovvero il soggetto perfetto per testare e valutare le complessità tecniche e deontologiche di un nuovo prodotto che promette di stravolgere la società: partner di vita artificiali.

Costretta dal suo capo a prestarsi al collaudo, la studiosa si trova ad avere a che fare con Tom (Dan Stevens) un robot programmato nell’aspetto e nel carattere per soddisfare appieno ogni necessità emotiva e fisica della donna. I due si incontrano per la prima volta in occasione di una serata galante organizzata per l'occasione, un evento tracimante di danze e di vita, con la coppia che è circondata da decine di persone festanti e da musica briosa. Peccato che sia tutto finto: i commensali sono tutti ologrammi e Tom si inceppa sulla pista da ballo.

La bizzarra serata si dimostra l’incipit di quello che evolve in uno strano rapporto tra l'essere umano e uno strumento che non è evidentemente in grado di emulare o comprendere la complessità di un organismo vivente. Tuttavia quello strumento è dotato di adattabilità e sapienza, diventa progressivamente tanto efficiente ed accattivante da stravolgere i foschi presupposti del rapporto di consumo di un prodotto, trasformando le interazioni con Alma nel simulacro di una vera relazione.

Tecnica

Nonostante gli ovvi presupposti, I’m Your Man non è un film romantico. Ci sono tracce di romanticismo, ma la questione amorosa è decisamente una postilla che viene inserita in aggiunta a una serie di tematiche molto più complesse ed interessanti. In questo senso vale la pena rendere onore agli autori Jan Schomburg e Maria Schrader – la quale siede anche alla regia – per aver scritto una commedia che è decisamente più interessata a parlare di Alma di quanto non sia portata e esplorare i risvolti sci-fi della sua premessa.

Nell’arco del lungometraggio vengono presentati grandi e piccoli problemi umani i quali culminano nella paura profonda di trovarsi a vivere una vita fallimentare in cui i percorsi familiari e professionali sembrano arenarsi irrimediabilmente, magari nell’attesa di una morte triste e solitaria. In tutto questo si affianca un’analisi semplice, ma non necessariamente banale, sul rapporto di felice dipendenza che si viene a creare tra la società e quegli strumenti tecnologici che, pur pregni di difetti e controindicazioni, si dimostrano attraenti fino a divenire indispensabili.

Sebbene la componente autoriale e narrativa sia degna di parole di elogio, la situazione non è altrettanto virtuosa se si considera il piano prettamente registico. Schrader ha dalla sua una lunga carriera attoriale, ma I’m Your Man è il suo primo lungometraggio e l’inesperienza è palpabile. I piani sequenza sono particolarmente scolastici, i giochi cromatici quasi inesistenti, la fotografia è priva di alcun vezzo artistico. Il prodotto finale non è di per sé brutto, ma è perlopiù privo di virtuosismi, più degno di un vecchio modo di fare telefilm che di una creatura pensata per il grande cinema, con il risultato che la forza di alcuni contenuti della pellicola finiscono con lo stemperarsi nella banalità dell’estetica che li rappresenta.

Attori

Maria Schrader non si sarà dimostrata fenomenale nella composizione delle inquadrature, ma ha indubbiamente saputo sfruttare la sua esperienza attoriale per gestire gli attori che hanno dato vita alla sua opera. Maren Eggert (The Experiment – Cercasi cavie umane) è stata in grado di regalare complessità a un personaggio che, su carta, non avrebbe motivo di essere tanto convincente. Nelle sue mani, Alma passa dallo sfogare una malcelata disperazione esistenziale verso un robot estremamente naïve all'accettare con approccio quasi fatalista i difetti propri della sua personalità, il tutto attraverso una transizione omogenea e naturale.

Ottimo anche Dan Stevens (Notte al museo – Il segreto del faraone, Colossal), il quale sembra aver messo da parte il suo naturale approccio attoriale per prendere ispirazione da Matthew Goode, collega con cui ha peraltro condiviso il set di Downton Abbey. Quello di Tom è un ruolo difficile da interpretare: deve essere meccanico e alienante, ma anche affascinante ed empatico. La riuscita del personaggio è in buona parte dipendente dai talenti corporei e attoriali di Stevens, il quale è stato capace con semplici movenze, mimiche ed espressioni a rendere simpatico quello che, fondamentalmente, è un elettrodomestico d’avanguardia.

La pellicola si regge di fatto sulle performance dei due protagonisti, ma non possiamo che menzionare anche solo di sfuggita l’ottima presenza di Sandra Hüller (Requiem, Vi presento Toni Erdmann), la quale si presta a interpretare una bizzarra addetta delle relazioni pubbliche intenta ad assistere Alma nella fruizione del suo partner artificiale.

Conclusioni

I’m Your Man non risulta un prodotto raffinato, ma è gradevole, ironico e godibile. Anche solamente la scelta di presentare Tom con sottofondo musicale puttin’ on the ritz – brano facilmente collegabile a Frankenstein Jr – dimostra che dietro ai presupposti apparentemente banali vi siano ampie dosi di estro e consapevolezza. La storia di Alma non segue i classici archetipi, piuttosto esplora uno spaccato – inclemente, ma delicato – sulla vita dell’individuo che abita la società contemporanea e sul rapporto simbiotico e un po’ tossico che stiamo consolidando con la tecnologia. Allo stesso tempo, il lungometraggio non veicola messaggi dirompenti, né si veste di quell’eleganza formale ed estetica che andrebbe a impreziosire l’opera. Nel complesso, la “creatura” di Maria Schrader sa intrattenere in maniera intelligente, ma è anche scevra di qualità spiccate, con il risultato che rischia di perdersi nell’oceano di prodotti omologhi senza aggiungere troppo al mondo del cinema.